Astensionismo e un nuovo modo di porsi della partecipazione civica
di Enrico Conte
Un video diventato virale sui social mostra un gruppo di bambini che, messi di fronte ad un telefono anni ’60, riesce al massimo a riconoscere lo strumento tecnologico quale “telefono”, ma non lo sa usare. I bimbi, in età di scuola elementare, si interrogano davanti ai numeri da far girare e non riconoscono la cornetta.
Maneggiano invece con estrema disinvoltura, e abilità, lo smartphone e le sue applicazioni.
Se scopo del video è quello di far vedere quanto sia veloce lo sviluppo tecnologico e quanto incida sui comportamenti dei consumatori, l’esperimento sociale messo in atto, autorizza tuttavia alcuni interrogativi.
Se è vero che la tecnologia ha avuto uno sviluppo impetuoso negli ultimi 50 anni, sembra altrettanto lecito domandarsi in che misura, in tutt’altro campo, siano diventati obsoleti istituti introdotti sulla spinta delle istanze di partecipazione, partoriti negli stessi anni di quel fascinoso telefono con cornetta.
Perchè è ipotizzabile, questo l’interrogativo, che lo scollamento tra i cittadini e le istituzioni registrato con l’astensionismo, non sia solo frutto di dispositivi elettorali ritenuti superati, ultimi imputati il ballottaggio per l’elezione dei Sindaci o lo scollamento tra eletti e corpo elettorale dovuto ad una legge che premia la fedeltà al capo cordata ( listini bloccati), ma anche di un qualcosa che ha a che fare con il tasso di burocratizzazione nell’uso, quando c’è, degli istituti della partecipazione, quella tal cosa che precede e segue il voto, ma che dà sostanza alla quotidiana democrazia, per usare le parole del Presidente Mattarella a Trieste quando ha richiamato il fatto che “ogni generazione è attesa alla prova della alfabetizzazione e dell’inveramento della vita democratica….che non si esaurisce in un metodo, o in una procedura, ma richiede spinte valoriali, per non restare democrazia a bassa intensità”.
In un contesto che – altro interrogativo – come sostiene il sociologo Filippo Barbera nel suo “Le piazze vuote”, ha perso il senso dello spazio pubblico quale luogo fisico, e non solo virtuale, dove accadono le cose, si accendono le relazioni, si generano le idee.
Ecco allora che assunti come punto di confronto gli anni del “telefono con la cornetta”, per inciso gli stessi che, su spinta della società, hanno prodotto gli strumenti-istituti della partecipazione, c’è da chiedersi se non abbia ragione l’urbanista Elena Granata, quando sostiene che “la partecipazione non può darsi nelle forme del passato, non può solo significare prendere parte ( così Joelle Zask ), come si prende parte ad un convegno, ma deve diventare possibilità concreta di dare il proprio contributo, per il tramite di un’azione (di impronta educativa) che metta insieme pensiero e azione, arrivando a modificare la natura stessa dei gruppi e a partecipare ai benefici derivanti dall’azione collettiva”.
Andrebbero forse ripensati i modi attraverso i quali i cittadini co-progettano le decisioni pubbliche come avviene, ancora Granata, con il Terzo settore o in un’impresa collettiva dove gli individui usufruiscono in forme diverse dei benefici della società di cui fanno parte, nelle “partecipanze agrarie emiliane” o nelle proprietà collettive sul Carso triestino, o nelle “comunità energetiche” che si vanno diffondendo per condividere i benefici di un uso razionale ed efficiente nella produzione e consumo di energia, o nelle pratiche dei “Patti di collaborazione” della sussidiarietà orizzontale, messe in campo nei processi di rigenerazione urbana, e magari per trasformare le isole di calore presenti nelle città in spazi con verde e temperature più sostenibili (Parigi, Milano, Bologna). O nei “Patti di legalità” tra istituzioni, imprese e cittadini, per prevenire il fenomeno delle infiltrazioni crimimali. Insomma, con iniziative da “artigiani della democrazia” (Papa Francesco) che mescolino, con forme nuove e contenuti inediti, ricerca, azione, creatività, e con un pensiero che si traduca in evidenze tangibili, che agiscano sulla percezione dei servizi e alimentino la fiducia nelle istituzioni. Con un dialogo argomentato su temi scottanti (migrazioni) che occupi parti dello spazio pubblico, che è un bene comune e non solo di chi alza di più la voce.
Tutto ciò potrà anche non essere sufficiente a ristabilire, sul versante astensionismo, maggiore fiducia nelle istituzioni se l’offerta pubblica continuerà a non soddisfare adeguatamente le domande provenienti da tanti settori della società, tuttavia, questo approccio, tratto “dall’ urbanistica tattica”, potrebbe essere di supporto per migliorare la salute della democrazia che accade ogni giorno, non dando un’applicazione puramente”tecnica”alla partecipazione che, se non accompagnata da un coinvolgimento attivo sulle finalità che si intendono di volta in volta conseguire, e sui contenuti da rendere comprensibili, resta autoreferenziata, stereotipata, non generativa quando, piuttosto, sulle decisioni da prendere, servirebbe un percorso pubblico non disincantato, aperto nelle decisioni, preparatorio di una elaborazione condivisa.
Enrico Conte