Antonio Sacco, Manuale di scrittura haikai. Vademecum pratico per comporre poesie haiku e altre forme poetiche di origine giapponese, NullaDie, Piazza Armerina (EN), 2024.
Recensione di Lorenzo Spurio
Dopo il volume Eppure ancora i nespoli. Dissertazioni sullo haiku[1], pubblicato nel 2020, il poeta haijin e studioso di poetiche orientali Antonio Sacco ritorna con una nuova interessante e ricca pubblicazione sul tema. Per la medesima casa editrice, infatti, è da poco uscito il volume Manuale di scrittura haikai che, con un linguaggio fresco e dissertazioni piacevoli alla lettura, fornisce una grande quantità di informazioni in merito al mondo dell’haiku, alla tradizione e al contesto nel quale nasce e si sviluppa il dato genere e le derivazioni che, nel nostro Paese, ha avuto. Il libro si presenta di facile consultazione e fornisce risposte chiare e precise a molti dilemmi, aiutando così tanto gli haijin che si misurano con questo genere, quanto i neofiti curiosi, a comprendere meglio l’universo della scrittura haikai.
Sacco, come già rivelato, ha dedicato negli ultimi anni una serie di scritti critici alla scrittura degli haiku mettendo in luce come, contrariamente a quanto comunemente si pensi, sia delicato il mondo della scrittura di queste piccole perle poetiche. Vi sono, infatti, dei requisiti importanti da poter seguire (che vanno ben oltre ai caratteri metrici dello schema sillabico 5-7-5 nei tre versi) che sono radicati in primis nella sensibilità dello scrivente e il suo sguardo verso la natura.
Molti dei contenuti qui presenti, in questo volume, non sono di prima trattazione per lo studioso, avendoli già affrontati in tempi diversi, su varie riviste ma anche con il primo volume che si è citato.
A Sacco preme evidenziare come sia potenzialmente errato presentarsi come haijin scrivendo liberamente dei versi che, all’apparenza, possono associarsi alla forma dell’haiku, quando non si conosce la vera natura dell’haiku, il suo substrato, i richiami che esso immancabilmente evoca. Così l’autore, con opportune citazioni e numerosi esempi pratici di haiku scritti da lui stesso, ci consente di approfondire come la conoscenza di determinati dettami sia ingrediente fondamentale da coniugarsi nell’atto creativo con la sensibilità personale e l’approccio dell’io lirico che, in quanto tale, deve essere modesto o alluso.
Dopo una consistente prefazione a firma di Valentina Meloni, il percorso offerto dall’Autore si realizza mediante dieci capitoli, ciascuno importante per la centralità dei temi ivi affrontati. Il percorso inizia dai rudimenti fondamentali, tanto formali che stilistici, per introdursi in maniera assai più profonda nelle tecniche compositive e tra i concetti che esso tendenzialmente esprime.
La Meloni affronta alcune delle maggiori difficoltà che possono emergere durate la creazione di un haiku richiamando, tra le altre, quella dell’osservazione dal momento che questo tipo di testi sono delle istantanee, miniature che raccolgono l’istante in maniera precisa e unica. L’io-osservatore (l’io-haijin) è completamente e convintamente immerso nella totalità dell’ambiente naturale nel quale si inserisce al punto tale che è possibile dire che esiste una forte simbiosi tra l’uomo e la natura quello che, in gergo, viene a chiamarsi kikan.
Sacco fornisce al lettore tutti gli arnesi necessari per tentare di comprendere un haiku (ricordiamo che l’interpretazione di un haiku è sempre potenzialmente aperta ed è il lettore che, assieme al testo, costruisce il significato) a partire dalle sue peculiarità formali: la mancanza di un titolo, lo schema metrico 5-7-5 (con la differenza di computo che contraddistingue due diverse “scuole”), l’assenza di un impianto rimico, la presenza di uno stacco (kireji) che permette la giustapposizione d’immagini (toriawase), l’assenza (o semmai l’estrema rarità) di canonici segni interpuntivi come la virgola, il punto, i punti esclamativi o interrogativi a favore di sole lineette o (raramente) punti sospensivi, sino alle peculiarità sostanziali quali l’importanza dell’elemento stagionale (kigo), il senso di mistero che aleggia intorno alle immagini, l’imperscrutabilità e il non detto, l’evocazione e, da un punto di vista strutturale, l’estrema esigenza di minimizzare la presenza dell’io lirico. L’haijin deve limitare al massimo la sua presenza nel testo, evitando in particolare le personificazioni. Un capitolo intero è dedicato alle altre forme di poesia orientale quali, tra gli altri, il tanka (schema metrico 5-7-5-7-7), l’haibun che è una sorta di racconto di viaggio e lo haiga (letteralmente “dipinto haikai”) in cui parola e immagine si fondono in una rappresentazione evocativa di pillole di realtà. L’autore ci parla anche di una tendenza abbastanza diffusa, quella del monoku vale a dire dell’haiku monoverso, privo di stacchi a termine del verso che, invece, lo vede nella sua forma finale scritto per intero su un’unica riga.
In coda al volume è presente una sorta di sezione che possiamo intendere maggiormente aperta, quale un vero laboratorio, nella quale Sacco fornisce, sulla scorta di preliminari concetti approfonditi nel corso della dissertazione, qui resi in chiave sinottica, le peculiarità di un haijin da delinearne un vero e proprio identikit. Pure non mancano esempi concreti, casi esplicativi e consigli illuminanti e utili lungo questo percorso contenuto in questo volume di 154 pagine, che per il lettore si configura come un reliquiario prezioso.
Come ogni vademecum che si rispetti, il volume riporta anche un prezioso glossario nonché un apparato bibliografico utile per gli studiosi del genere o per chi, suggestionato dall’opera creativo-illustrativa del Nostro, vorrà approfondirne determinati aspetti.
Lorenzo Spurio
[1] Avevo dedicato un’ampia lettura a questo precedente volume di Antonio Sacco pubblicata il 04/08/2020 su «Blog Letteratura e Cultura» e «Culturelite», spazi ai quali si rimanda.