IL PENSIERO MEDITERRANEO

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Proverbi greci

Proverbi greci

di Mario Pintacuda

Nei primi mesi del 1976, durante l’ultimo anno dei miei studi universitari, alla Facoltà di Lettere di Genova frequentai (per mio diletto e senza alcun obbligo) un lettorato di Neogreco tenuto da un giovane studente di nome Georgoudis.

Iniziai così a conoscere e apprezzare la lingua greca moderna, cosa che mi consentì anche di migliorare le mie competenze nel greco antico (ad es. solo studiando il neogreco compresi il valore dell’aoristo, che non avevo mai capito davvero nonostante le volenterose spiegazioni dei miei docenti).

Studiavamo su fotocopie tratte da un libro di Sapfò Mavroula (“Neogreco per stranieri”, Τὰ νέα ἑλληνικὰ γιὰ ξενογλώσσους), che era stato pubblicato ad Atene nel 1967 (l’anno del golpe dei colonnelli in Grecia).

Le lezioni erano scritte nella linguademotica” (δημοτική) e non nell’arcaizzante lingua “pura” (καθαρεύουσα) ripristinata e favorita dal nuovo regime; tuttavia ancora non era stata adottata la riforma ortografica che nel 1982 avrebbe introdotto il sistema “monotonico” (μονοτονικό), con l’abolizione degli spiriti e di tutti gli accenti tranne quello acuto (che non viene più segnato sui monosillabi).

Per dirla più semplicemente, imparai un neogreco “alto”, destinato nei decenni successivi (soprattutto dopo il ritorno della democrazia) a subire ulteriori variazioni e “progressi”; conseguentemente, ho dovuto in seguito “aggiornare” molte delle mie conoscenze (cosa che tento tuttora di fare, leggendo spesso su Internet testi neogreci).

Nel libro della signora Mavroula erano spesso intercalati (per uso didattico, ma anche come semplice curiosità) alcuni “proverbi” (παροιμίες), che ho imparato allora e non ho dimenticato mai più.

Eccone dieci: presento prima la traduzione, poi il testo originale (che ho trascritto con la nuova grafia monotonica), la traslitterazione e un breve commento; come si vedrà, alcune massime sono evidentemente simili a proverbi italiani, mentre altre costituiscono ulteriori spunti di saggezza popolare.

1. “Ogni inizio è difficile” (Κάθε αρχή και δύσκολη, “kàthe archì ke dìskoli”) – Tutte le nuove fasi della nostra vita, le nuove esperienze, i mutamenti più o meno improvvisi, ci spiazzano e spesso ci scoraggiano; ma dobbiamo stringere i denti, adattarci al cambiamento e vivere il nuovo “inizio” come una prova che dobbiamo e possiamo superare.

2. “Manca marzo dalla Quaresima?” (Λείπει ο Μάρτης απ’ τη Σαρακοστή; “lìpi o Màrtis ap’ti Sarakostì?”). – Si dice quando qualcuno o qualcosa ci si presenta improvvisamente e pressoché inevitabilmente (è una specie di “lupus in fabula”); come il mese di marzo è ineluttabilmente legato alla Quaresima, così quella tale persona o quella tale cosa ci appaiono immancabilmente in certe occasioni.

3. “Chi viaggia, annusa” (Όποιος γυρίζει μυρίζει, “òpios yirìzi mirìzi”). – Splendido proverbio, che fa capire quando siano meravigliosi i viaggi e, soprattutto, come essi debbano essere fatti, cioè “annusando” i Paesi stranieri, cercando di “fiutarne” le caratteristiche peculiari (al di là della mortificante globalizzazione contemporanea). Bisogna essere curiosi quando si viaggia, tuffarsi nell’esperienza che si sta vivendo e tesaurizzare tutto ciò che si può.

4. “Fagiolo dopo fagiolo, si riempie il sacchetto” (Φασούλι το φασούλι, γεμίζει το σακούλι, “fasùli to fasùli, yemìzi to sakùli”). – Un passo alla volta, come la goccia che scava la pietra, anche il nostro “sacchetto” di esperienze si va riempiendo; lentamente forse, forse in modo a tratti esasperante, ma comunque andando sempre avanti. È un motto che mi piace molto, anche perché mi ricorda il motto latino che ho scelto come titolo del mio blog: “Nulla dies sine linea”.

5. “Anche se sei un prete, passerai con il tuo turno” (Αν είσαι και παπάς, με την αράδα σου θα πας, “an ìse ke papàs, me tin aràdhasu tha pas”) – Non dovrebbero esistere favoritismi: anche i preti ortodossi (tradizionalmente oggetto del massimo rispetto in Grecia) devono attendere pazientemente il loro turno, senza saltare mai la fila. Non faceva così, una ventina di anni fa, l’allora parroco della chiesa di S. Francesco di Paola a Palermo: una volta ero diligentemente in fila (lunga fila) all’ufficio postale di via Brunetto Latini, quando entrò, con la tonaca nera svolazzante, il rubizzo sacerdote partenopeo che, trinciando benedizioni accompagnate da ricorrenti “amèn”, scavalcò la fila e andò a pagare le sue bollette; la gente in fila chinò la testa rassegnata (molti evidentemente non erano stati in Grecia) e io mi limitai a bofonchiare il proverbio greco (che nessuno capiva).

6. “Cuci – scuci, il lavoro non ti manca” (Ράβε, ξήλωνε, δουλειά να μη σου λείπει, “Ràve xìlone, dhulià na mi su lìpi”) – Si intende dire che le cose da fare non ci mancherebbero mai; quello che ci manca è a volte la volontà, lo zelo, il desiderio di metterci in gioco; lasciamo prevalere la pigrizia e ci lasciamo andare: ma il lavoro, anche quando non c’è, bisogna cercarselo e inventarselo (in città come Napoli gli abitanti sono maestri in questo: basta rivedere il film “Mi manda Picone” di Nanni Loy).

7. “Le molte parole sono povertà” (Τα πολλά λόγια είναι φτώχεια, “Tà pollà lòyia ìne ftòchia”). – A chiacchiere siamo tutti bravi; spesso con la parlantina riusciamo a ingannare gli altri, a carpirne la fiducia; ma in realtà chi parla troppo tende a nascondere l’inconsistenza delle sue azioni: parla molto ma fa ben poco (e gli altri dovrebbero accorgersene).

8. “Scarpa delle tue parti, anche se è raccomodata” (Παπούτσι απὸ τον τόπο σου, κι ας είναι μπαλωμένο, “papùci apo ton dòposu, ki as ìne balomèno”). – Versione ellenica di “moglie e buoi dei paesi tuoi”; meglio una scarpa comprata nel proprio paese, magari aggiustata alla bell’e meglio, piuttosto che una calzatura elegante ma trovata chissà dove: sicuramente con la prima si cammina meglio e si sta più comodi.

9. “Meglio una cosa in mano, che dieci da dover aspettare” (Κάλλιο ένα και στο χέρι, παρά δέκα και καρτέρει, “Kàllio ena ke sto chéri, parà dèka ke kartèri”). – Equivalente di “Meglio un uovo oggi che una gallina domani”, anche qui con lo sbilanciamento proporzionale fra una piccola cosa (che però possediamo saldamente) e dieci sogni (forse irrealizzabili). Non è un proverbio che invita all’audacia e al rischio; però rispecchia il solido buon senso popolare di chi si accontenta e gode di ciò che ha.

10. “Meglio una vita libera di una sola ora, piuttosto che quaranta anni di schiavitù e galera” (Καλύτερα μιᾶς ὥρας ἐλεύθερη ζωὴ / παρὰ σαράντα χρόνια σκλαβιὰ καὶ φυλακή – “Kalìtera miàs òras elèftheri zoì parà sarànda chrònia sklavià ke filakì”) – Ho lasciato gli accenti antichi perché si tratta di due versi del grande poeta patriottico Rigas (Ῥήγας Φεραίος), vissuto nella seconda metà del ‘700. Emerge qui lo spirito indomabile dei Greci e il loro desiderio di libertà, di cui hanno dato prova innumerevoli volte (ne sappiamo qualcosa anche noi, visto che quando Mussolini ebbe l’insana idea di “spezzare le reni” alla Grecia stava per farle spezzare a noi e dovette affidarsi a Hitler per portare a termine quella dissennata iniziativa…). Un’ora sola di libertà è impagabile: quando senti il profumo della libertà non lo scordi più, neanche dopo quarant’anni di “schiavitù e galera” (figurarsi dopo appena un ventennio).

Ci sarebbero molti altri proverbi, ma mi limito a elencarne rapidamente qualcun altro:

Ogni cosa a suo tempo” (Κάθε πράγμα στην ώρα του), “Quando manca la gatta, i topi ballano” (όταν λείπει ἠ γάτα, χορεύουν τα ποντίκια), “Meglio tardi che mai” (Κάλλιο αργά, παρά ποτέ), “Dalla testa puzza il pesce” (Απ’ το κεφάλι βρωμά το ψάρι), “Alla porta del sordo, bussa quanto vuoi” (Στου κουφού την πόρτα, όσο θέλεις βρόντα), “Nella terra dei ciechi, il monocolo regna” (Στον τόπο των τυφλών, ο μονόφθαλμος βασιλεύει), “Goccia con goccia, l’acqua buca anche il marmo” (Στάλα με στάλα το νερό, και το μάρμαρο τρυπάει), “Se il tuo cortile ha sete, non versare l’acqua al di fuori” (η αυλή σου αν διψά, το νερό μη χύνεις έξω).

L’ultimo lo cito a parte, perché è un po’ strano: dice “Non ti abbiamo mica detto che sei gobbo!” (Δεν σε είπαμε και καμπούρη, “dhen se ìpame ke kambùri”). Dovrebbero impararlo tutte quelle persone che si arrabbiano e si offendono per un nonnulla, che sono suscettibili e permalose a vanvera. E che, gli abbiamo detto che sono gobbe? Ma per favore… diamoci una calmata!

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