Aemilia una strada lunga 2200 anni. Viaggio nella storia di una Regione
Di Mario Giangrande
Da Rimini a Piacenza, una città dopo l’altra, ognuna diversa dalla precedente. Tutte legate dal senso di appartenenza a una terra traboccante d’arte, storia e tradizioni.
Se c’è una regione italiana dai confini definiti, questa è l’Emilia-Romagna, anche se il doppio nome fa pensare a due Regioni: essa ha il Mare Adriatico a est, il fiume Po a nord e l’Appennino da Ovest e sud. All’interno di quella sorta di grande triangolo sono fiorite nei secoli mille diversità municipali. Tenute insieme da un comune sentire, da dialetti differenti ma assai meno di quelli della vicina Lombardia che vanno dal valtellinese al mantovano.
L’asse della Via Aemilia lastricata fa viaggiare carriaggi, cavalli, eserciti, mercanti da Rimini a Piacenza già nel 187 avanti Cristo spingendo a crescere, dove prima c’erano più acque che terre boscose, una città dopo l’altra, ognuna diversa ma legata all’altra, a dieci miglia circa di distanza, quanto ne può percorrere un trasporto prima della nuova stazione di posta per il cambio dei cavalli.
Rimini e il suo porto, all’interno Cesena, Forlì, Faenza, Imola, Bologna, Modena, Reggio Emilia, Parma, Fidenza, Piacenza e altre cittadine in mezzo, e finalmente il Po. Fiume che per secoli, rappresenta la più trafficata via d’acqua d’Europa, sino alla foce che, all’epoca romana era vicina a Ravenna ed al porto di Classe, una meta dopo aver lambito Ferrara.
E’ una terra che, anche grazie a questa sua posizione geo-politica, fruisce di un duplice rapporto con l’altra sponda adriatica e più in generale con il Levante greco-bizantino e con l’Europa centrale. In un certo momento storico, dopo la dissoluzione dell’Impero Romano D’Occidente, l’Emilia-Romagna attuale è di fatto divisa in Longobardia e in Ròmania, cioè Romagna.
Nella prima prospera la civiltà del latte, del burro e del maiale. Nella seconda mantiene le proprie radici la civiltà della pecora e dell’olio d’oliva. Qui c’è lo storico basolato romano, lucidato dai secoli, della Via Aemilia a unire le due aree, così come, per via d’acqua il Po. Terra del Gotico e soprattutto del Romanico dalle grandi cattedrali di cotto e arenaria sopra il confine immaginario, eppure storicamente netto fra Emilia e Romagna. Quest’ultima volta a Oriente coi mosaici e i campanili tondi di Ravenna. La sola “ fabbrica “ romanica in Romagna è il campanile di San Mercuriale a Forlì, sul quale Guido da Montefeltro si inerpicava con l’astrologo di fiducia di nome Bonatti per studiare il favore o il disfavore delle stelle in battaglia. Forlì e Guido da Montefeltro, ovvero il ”sanguinoso mucchio “ dei francesi entro le mura forlivesi, dov’erano stati attirati dall’apparente assenza di difensori, subendo nel 1282 inermi e ubriachi la repressione di Guido e dei suoi.
A ovest, sull’Appennino, durava ancora la leggenda della gran dama Matilde di Canossa, che, bionda e gentile cavalcando meglio di un uomo sapeva stare alla testa delle proprie truppe per difendere uno sterminato feudo che andava dallo Lombardia al Lazio. L’anno della sua morte (1115) venne assunto come anno di lutto infinito. Terre di soldati e di guerrieri gloriosi, crescono le fastose Signorie, veri e propri stati: i Malatesta fra Rimini e Cesena, gli Este a Ferrara e poi Modena, i Farnese fra Parma e Piacenza, e così via. Mentre altri famosi capitani come Muzio Attendolo da Cotignola, detto lo Sforza, fondano a Milano casati e poteri forti, riuscendo laddove i Papi hanno fatto fallire i Bentivoglio. Ecco avanzarsi un altro rapporto storico, quello antico e difficile con la Chiesa di Roma che farà della più antica città universitaria d’Europa, Bologna, la più importante del proprio stato dopo Roma, dando i natali a tanti papi e cardinali fra Piacenza e le Romagne, molti dei quali Bolognesi. Per secoli e secoli prevale in tutta la regione quella “economia di rappresentanza “ che produce di continuo bellezze nelle città, nei palazzi, nelle chiese, nelle rocche, nelle abbazie con cicli di affreschi, tele e tavole dipinte, arredi preziosi, sculture all’esterno e all’interno delle fabbriche, veri e propri piani urbanistici come nella ducale Ferrara. O come l’altro piano urbanistico settecentesco, disegnato da Du Tillot a Parma.
Il Teatro Reggio
Purtroppo quando le grandi famiglie si esauriscono o deperiscono e tramontano, anche quei patrimoni straordinari prendono strade che li portano assai lontano: i cento dipinti più significativi delle collezioni estensi di Reggio e di Modena vengono acquistati in blocco da Augusto III di Sassonia e trasferiti a Dresda. Per non parlare delle spoliazioni di opere emiliane e romagnole a opera di Napoleone, a cominciare dalla esemplare Santa Cecilia di Raffaello che allora era in San Giovanni in Monte a Bologna e oggi tornata nella Pinacoteca Nazionale.
Nonostante ciò, le città e le cittadine dell’Emilia-Romagna sono ricche di musei e di pinacoteche, mentre numerosi capolavori stanno ancora nelle chiese. Ancora è scarsa la propensione di quelle città dell’arte a spingersi sul terreno della promozione turistica. Fa eccezione Ferrara che recentemente ha unito musica e arte. Si è detto della bellezza profusa in Emilia-Romagna nel medioevo, nel rinascimento, nel seicento della controriforma (coi pittori di scuola bolognese, dai Carracci a Reni, a Domenichino, a Guercino). Ma non va sottaciuto quanto di bello producono nella regione il Settecento e l’Ottocento specie nel colmo del Neoclassicismo. Ci sono teatri splenditi dappertutto, a Fidenza, a Correggio, a Faenza a Gualtieri e a Lugo. Oltre settanta edifici storici quasi tutti restaurati e correttamente utilizzati. Passando alla musica, a mettere in fila i musicisti emiliano-romagnoli non si finirebbe tanto presto. Basterà ricordare fra i compositori Orazio Vecchi, Claudio Merulo, Gerolamo Frescobaldi, Arcangelo Corelli, Giuseppe Verdi, Ottorino Respighi e il direttore d’orchestra Arturo Toscanini. Senza dimenticare che Gioacchino Rossini, nato a Pesaro si formò nella citta del padre Lugo di Romagna e al liceo musicale di Bologna, frequentato pure da Donizetti. Museo musicale che conserva la più vasta biblioteca musicale d’Europa. Terra “melodrammatica“per eccellenza, giocosa e carnale, ha saputo unire sapere e piaceri. Il punto di riferimento per una nuova e consapevole cultura della tavola imbandita rimane Pellegrino Artusi, di Forlimpopoli autore del primo libro dell’Italia unita. Capace di coniugare da questo posto della Penisola le ricette della sua regione di origine e quelle toscane, le romane, le napoletane, le piemontesi, le milanesi e le genovesi, senza mai dimenticare il tocco elegante della cucina francese. In questa regione dalle mille città, dalle tante torri, lungo il Po, l’Adriatico o la arborata Via Aemilia, in cucina si sperimenta “la scienza e l’arte “del mangiare bene e anche meglio del bere bene.