Ad Ahmet Alkan. Caro amico ti scrivo
Di Paolo Rausa
Caro Ahmet,
accolgo l’invito di qualche giorno fa pubblicato da Roberto Saviano sul Corriere della Sera. Scusami se prendo a prestito l’inizio di una canzone del grande cantautore italiano Lucio Dalla. E’ del 2002, un po’ vecchiotta, ma sempre significativa. Peccato che tu non ne possa ascoltare il ritmo: https://www.youtube.com/watch?v=mg7-vncTcpQ (se mai ti sarà possibile questo è il link di YouTube). Comincia così: “Caro amico ti scrivo così mi distraggo un po’ e siccome sei molto lontano più forte ti scriverò. Da quando sei partito c’è una grossa novità, l’anno vecchio è finito ormai ma qualcosa ancora qui non va…”
L’anno che verrà è il suo titolo. Ed è di buon auspicio, secondo i nostri desideri, quelli più intimi e riposti, ma anche quelli collettivi, sociali, politici, e i diritti. Nessuno più di te ha assaporato il sale e l’amarezza della loro negazione da parte di un Regime che si è fatto Stato. La dichiarazione dei diritti dell’Uomo sancisce i nostri diritti inalienabili, quello alla salute, all’istruzione, al lavoro, al pensiero, all’azione e soprattutto come loro condizione l’esercizio della libertà, certo all’interno delle norme in vigore.
Ma quelle norme non possono confliggere con la Dichiarazione Universale, non vale il diritto di lesa maestà che pure era largamente usato da alcuni imperatori romani quando sentivano l’impulso a liberarsi degli oppositori politici definiti nemici dello Stato. Si allestivano dei processi farsa, a volte neanche quelli. Accuse mai provate, ma quando il potere traballa tutto è lecito. Solo che sono passati più di 2.000 anni e ancora aspettiamo l’anno che verrà, come canta Lucio Dalla…
E’ complicato, immagino, vivere segregato, lontano dalla propria famiglia, dai propri affetti, dagli amici e dai luoghi più cari che si vedono, descritti in trasparenza, nei tuoi romanzi d’amore per il tuo Paese, ambientati in anni lontani che trasudano di attualità. E’ sempre terribile pagare il fio di una colpa non commessa, solo per aver espresso liberamente il proprio pensiero, aver denunciato le nefandezze di un sistema politico che appare democratico e invece è autocratico, tirannico, ammantato da forme persuasive e apparentemente legali, che si fondano su principi religiosi.
Tutto viene chiamato per sostenere un regime traballante. Ci spiace che tu sia recluso e molti altri come te, giovani dalle belle speranze che si sono lasciati morire per affermare il diritto alla vita piena. Sembra un paradosso, ma non lo è. Noi siamo animali che non possono vivere in gabbia per un ordine che nega i principi umani. Rappresenteremo il dissidio fra la legge umana e quella naturale nella figura di Antigone, che si ribella alle disposizioni del re e seppellisce suo fratello Polinice, condannato anche da morto per aver preso le armi contro la propria città, contravvenendo alle norme in vigore. Sogniamo con te, Ahmet, un Paese libero, dove ognuno possa esprimere liberamente il proprio dissenso e possa lottare per affermare i principi del proprio pensiero, secondo le forme previste nel sistema democratico.
Per questo la tua persona ci è doppiamente cara, per la tua ansia di libertà e per la tua testimonianza: che non bisogna mai abbassare la guardia e lottare contro chi vuole imporre la propria volontà con l’esercizio del potere, che va beffeggiato come sapeva fare un grande teatrante italiano, Dario Fo, Premio Nobel per la letteratura. Un grande istrione, che giocava con le parole e con il suo corpo, ma esprimeva il desiderio insopprimibile di deridere i potenti e di stare dalla parte del popolo, che deve essere allegro per compiacere il re. Lo dice un’altra canzone, cantata da lui e da Jannacci.
Ti abbraccio Ahmet, forte forte, e ti incoraggio ad essere forte, a resistere, a trovare il modo attraverso la tua umanità e cultura di tenere vivo il filo della speranza nel futuro, nel cambiamento. Termino, caro Ahmet, con le parole della canzone di Dalla: “Vedi caro amico cosa ti scrivo e ti dico, e come sono contento di essere qui in questo momento, vedi, vedi, vedi, vedi, vedi caro amico cosa si deve inventare per poterci ridere sopra, per continuare a sperare”.
A presto, Ahmet, un caro abbraccio, Paolo Rausa.
La presente lettera di Paolo Rausa ad Ahmet Alkan è stata dall’autore trasmessa all’Ambasciata Turca di Roma.