ABBASSO IL MARE di Paolo Vincenti
Ad agosto, “quando incrudelisce la rovente criniera del Leone” per dirla con Marziale 1 , qui da noi fa
molto caldo, specie quando è scirocco, cioè quasi sempre. Il vento umido dal sud non fa respirare,
attanaglia in una cappa di caldo, mosche e zanzare, e c’è chi lo vive come una vera maledizione. È
il favonio, “sciroccu mputtanatu”, si dice in dialetto salentino. Io, ad agosto, quando prendo le ferie,
mi trasferisco nella residenza estiva ma negli ultimi anni lo faccio più per compiacere mia moglie,
che ama (come il 99% degli italiani) trascorrere le ferie al mare, che per reale convinzione. Anzi, a
dirla tutta, ormai per me non è nemmeno un piacere, avendo sviluppato negli ultimi tempi una vera
idiosincrasia per il mare e la spiaggia. Starò invecchiando?
Non lo so. È certo che la confusione
delle spiagge affollate ad agosto, il frastuono prodotto dalla musica ad altissimo volume, dai
bambini schiamazzanti, dal passaggio di yacht, moto d’acqua, elicotteri, pedalò e gommoni, mi
creano profondo fastidio che non riesco neanche a dissimulare, con la conseguenza che in quelle
rare permanenze in spiaggia il disagio mi si legge in faccia e amici e famigliari evitano persino di
rivolgermi la parola perché temono di averne in risposta degli improperi. Mi lasciano così sotto
l’ombrellone, come un polipo appena sbattuto sulla roccia o un granchio cui sono state strappate le
chele, a leggere un libro, nell’attesa che si faccia ora di pranzo ed io possa risalire in casa dopo aver
pagato pegno, cioè onorato quel debito di convivenza famigliare che mi strozza peggio del nodo dei
cravattari per l’usurato.
Lo scirocco porta le nuvole cariche di sabbia, la fulva caligine 2 , e a volte
anche delle tempeste improvvise, come dice Orazio, che descrive lo scirocco scatenatore di nembi 3
e lo chiama niger, cioè “negro”o “fosco” 4 , proprio come il colore della pelle dei venditori ambulanti
che infestano le spiagge d’estate e un tempo spregiativamente chiamati “vu cumprà” o “tappetì”.
Che strana evoluzione, a pensarci bene, il costume. Mutano i tempi e le abitudini della gente. Una
volta, quando il concetto di “politicamente corretto” era del tutto sconosciuto anche a livello
terminologico, chiamavamo gli immigrati di colore appunto negri o mori; ricordo bene, ero ancora
un bambino, che la gente si mostrava insofferente alle richieste degli ambulanti di comprare la loro
merce specie quando erano insistenti e nessuno si faceva scrupolo di scacciarli in malo modo
apostrofandoli con insulti razzisti.
In spiaggia, li si teneva alla larga e, se proprio non si riusciva, li si respingeva bruscamente: “ma cci bboi? Vabbanne de qquai! Ancora quai stai? No mme serve nenzi, camina!”. Nessuno si scandalizzava perché quello era l’unico codice comunicativo conosciuto. “Ah… te nou qquai staie quistu… torna a casa tua!” Oggi, in nome di un malinteso concetto di integrazione e del famigerato politically correct, non solo non si insultano o dileggiano i
vecchi “vu cumprà”, ma anzi li si invitano ad avvicinarsi all’ombrellone e si offre loro qualcosa da
bere o da mangiare e non li si fa andar via senza aver comprato qualsiasi cosa.
Sovente, signore borghesi o giovani alternativi e radical chic intrattengono con loro in spiaggia ameni discorsi
tempestandoli di domande sulla loro provenienza, sui motivi dell’esodo forzato (anche quando è
chiaro un miglio che non sono emigrati politici o economici), sui loro usi e costumi, sulle
convinzioni religiose, a volte spiazzando gli stessi commercianti i quali vorrebbero solo rifilare ai
ricchi occidentali “spiaggiati” la mercanzia ed asolare al più presto. Io mi sento a disagio e
nemmeno la lettura a volte riesce a farmi estraniare da quella situazione e dai vicini di ombrellone
ciarlieri. A proposito di Marziale, mi viene di pensare all’assenzio, santonica medicata virga, erba medicamentosa dei Santoni, di cui l’autore latino parla in una suo epigramma 5 . I Santoni erano un
popolo della Gallia che aveva capitale Saintes, ovvero Aquitania (sita tra La Rochelle e Bordeaux),
come riferisce Plinio nella Naturalis Historia 6 , da cui “santoni” per maghi, profeti, guru, i quali
avevano fama di essere esperti naturalisti e guaritori ed una delle erbe che essi manipolavano era
l’assenzio. Ecco, forse mi servirebbe quest’erba per mettermi calmo e trascorrere questi quindici
giorni di agosto (“la quindicina” si diceva un tempo) in santa pace. Quando sono nella casa al mare
sogno di tornare in paese per riprendere le mie passeggiate in campagna. Amo percorrere chilometri
e chilometri su sentieri campestri d’estate, anche quando fa caldissimo, perché questo svago è per
me un toccasana, mi procura un benessere diffuso al corpo e alla mente. Quando le città si svuotano,
ad agosto, è ancora più piacevole.
Il massimo è camminare a piedi sotto la canicola all’ora di pranzo nelle strade deserte. A quell’ora davvero sento miei il paese e le campagne e mi torna in mente la bellissima scena finale del film Un sacco bello di Carlo Verdone in cui l’ingenuo Leo, in una Roma agostana semivuota (che oggi non esiste più) fa il su e giù dal supermercato e dalla farmacia per conto della mamma dispotica che lo attende per le ferie a Ladispoli e in un moto di scoramento,
stanco e sudato mentre torna a casa carico di buste, ad un omaccione che dalla finestra gli chiede
“Ahò, embe?”, lui risponde: “Sì fai presto te a di’ embè, là alla finestra, calmo. Te ci vorrei vedè io
a combattere con la vita, co e strisce, con l’olio, coi pompelmi, con mi madre, aho dice…”. Ma
intanto “da Cipro, terribile per il troppo calore” 7 , lo scirocco continua a imperversare ed io
soccombo. La rosa dei venti non gira mai a mio favore.
Marziale, 9, XC, 12, in Idem, Epigrammi, Volume secondo, a cura di Simone Beta, Milano, Oscar Mondadori, 2005, p.
589.
2 Pseudo Virgilio, Appendix Vergiliana, Dirae, v.38, in Appendix Vergiliana, a cura di Maria Grazia Iodice, Prefazione di
Luca Canali, Milano, Oscar Mondadori, 2002, p. 10.
3 Orazio, Odi, II, 16, v.23, in Idem, Odi Epodi, a cura di Luca Canali, Note di Maria Pellegrini, Milano, Oscar Mondadori,
2004, p. 171.
4 Orazio, Epodi, 10, v. 4, Ivi, p. 398.