A Nardò un uomo di nome Giuseppe
di De Florio Pietro
Antefatto
Tra i dipinti che raffigurano le vicende di San Giuseppe, nell’omonima chiesa di Nardò, si segnala il piccolo dipinto olio su tela con cornice mistilinea 80 x 90 (Fig. 1) posto sulla balaustra della cantoria dell’organo (Per approfondimento si veda: La Chiesa e la Confraternita di San Giuseppe a Nardò, a cura di Marcello Gaballo e Fabrizio Suppressa, Congedo Galatina, 2014).
L’opera, realizzata da pittore locale (ignoto), intorno alla seconda metà del Settecento, raffigura il sogno di San Giuseppe. Il Vangelo di Matteo narra che Maria prima di andare a vivere con il consorte, rimase incinta per opera dello Spirito Santo, ciò avrebbe determinato il suo ripudio (in segreto o in pubblico), tuttavia un angelo apparve in sogno a Giuseppe e gli disse, “Giuseppe figlio di David, non temere di prendere con te Maria tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”. Al suo risveglio il dubbio svanì e Giuseppe prese con se la sua sposa (Matteo 1, 18-25).
Più suggestivo è il Protovangelo di Giacomo (II sec. d.C.): Giuseppe accortosi di Maria incinta “si picchiò il viso, si gettò a terra sul sacco e pianse amaramente, dicendo «Con quale faccia guarderò il Signore Dio mio ? Che preghiera reciterò per questa ragazza? […]. Chi mi ha insidiato? Chi ha commesso questa disonestà in casa mia, contaminando la Vergine?»”, come il serpente sedusse Eva? Al tormento del suo sposo Maria, piangendo, risponde: “Io sono pura e non conosco uomo”. In me “vive il Signore, mio Dio, questo che è in me non so d’onde sia”. Queste parole intimidiscono Giuseppe, non sa cosa fare, se denunciarla pubblicamente o ripudiarla in privato e tenerla con sé. Con questa afflizione lo sposo di Maria si addormenta, sognando l’angelo del Signore e qui la narrazione pressappoco coincide con quella di Matteo (Protovangelo di Giacomo, cap. 13 e 14).
L’angoscia si impossessa di Giuseppe deve decidere, è paralizzato, non si trova più nello stato d’innocenza del suo libero fare creativo di artigiano in cui tutto si svolge con regolarità rasserenante e nulla pare preoccuparlo. Adesso, però, si aprono davanti al lui molteplici possibilità, cioè la condanna pubblica e conseguente pena capitale, con tutti gli innumerevoli tormenti e rimorsi, soprattutto se Maria fosse innocente e veramente in lei albergasse il Divino. Oppure Giuseppe può vivere nel peccato con una donna impura, capace di mentire, di conseguenza oppresso dalle infinite afflizioni, ancor più pungenti, in quanto discendente da David. In definitiva potrebbe spingesi nel poter peccare guardando solo al presente e “custodire” la propria donna, trasgredendo la legge di Dio acquietando passivamente il proprio animo. La lacerazione interiore rimane aperta egli vive l’angoscia nell’ambigua nuvola dei possibili, ma non è il singolo uomo Giuseppe a uscire da questa vertigine, come direbbe Kierkegaard, interviene, invece in suo soccorso il deus ex machina angelico. Quindi è la condizione extraumana trascendete che fa risplendere la verità, mettendo fine al tormento di Giuseppe, tutto è possibile per volere di Dio e Gesù entra nella storia tramite il nome dello sposo di Maria.
L’Opera
Tornado al dipinto di Nardò si vede un San Giuseppe triste, abbandonato a se stesso, reggendosi il capo reclinato con una mano, troppi pensieri lo assillano, ma improvvisamente ecco l’angelo che proferisce le fatidiche parole, pare anche gli alberi si pieghino per ascoltare, la casa in lontananza (segno della storia), il paesaggio, cioè la natura, sono testimoni di ciò che viene detto nel sogno a Giuseppe. Stilisticamente il dipinto evidenzia incongruità formali e una certa approssimazione esecutiva (per ciò che concerne i particolari), ma l’opera vale quale schietto e pregante segno di sincera fede popolare. Pregevole, invece, è l’impostazione generale della scena divisa in due: da un lato in alto l’angelo, dall’altro Giuseppe, una ripartizione in primo piano che richiama alcune soluzioni di scuola del Tiso a Lecce, per quanto riguarda i piccoli formati (abside Santa Croce). Anche l’intelaiatura cromatica segue la demarcazione anzidetta: a sinistra i toni caldi del mantello rosso svolazzante (che ricorda l’Annunciazione del Catalano in S. Francesco a Gallipoli) attenuati dai neutri della veste, a destra le tonalità fredde della tunica di Giuseppe moderate dal giallo ambrato del manto avvolgente. Nel mezzo la cesura paesaggistica azzurro-verdastra, tinta complementare di contrasto al rosso del manto angelico, ma in accordo con il turchese chiaro di Giuseppe. Insomma si avverte un certo indiretto richiamo agli effetti coloristici coevi di ascendenza giaquintesca che rifugge dagli intensi chiaroscuri e ampi colpi di luce in voga nel ‘600. Sebbene le figure in primo piano siano strutturalmente preponderanti, lo sguardo dell’osservatore si spinge in profondità e la lettura si dà con un procedere dal davanti verso il fondo, mentre le forme staccano in primo piano, mostrandosi tondeggianti e volumetricamente definite, senza che ci siano linee oblique in scorcio a tracciare la profondità di campo. Forse l’artista, per quest’opera si sarà ispirato anche agli eleganti quadretti secenteschi del Coppola nella cattedrale di Gallipoli.
La santità in cammino
Per il pieno riconoscimento del ruolo di Giuseppe (documentato dai Vangeli di Matteo, Luca e apocrifi), quale padre putativo di Cristo, bisogna andare oltre il Medio Evo, infatti, per esempio il santo non compare nella più antica natività scultorea del Salento, cioè nei rilievi del portale di Cerrate (tra XII – XIII sec.), i vangeli apocrifi lo hanno sempre descritto come un vecchio calvo e con la barba bianca. Inoltre, come si è visto, i vangeli ufficiali parlano poco di Giuseppe, oltre a Matteo viene citato solo da Luca nell’episodio dello smarrimento di Gesù (2,41 – 52) e in quello della nascita (2, 4-5). Ricompare in Matteo al momento della fuga in Egitto e del suo ritorno in Israele dopo la morte di Erode (2, 19 -13), poi nulla. Ha avuto anche il suo peso restrittivo il racconto di Santa Brigida di Svezia (1303 – 1373) nelle “Rivelazioni Celesti” in cui scrive che il Cristo appena nato, con il suo splendore riuscì a sopraffare la luce del cero di Giuseppe, inoltre nel Medio Evo il Santo fu addirittura oggetto di scherno nelle rappresentazioni dei misteri. Quindi va da se che si creino le condizioni per un ruolo secondario di Giuseppe nelle rappresentazioni artistiche, come si nota nella piccola adorazione dei magi, coeva all’opera di cui si è trattato, presente nella stessa chiesa a Nardò. Il padre putativo di Cristo, con la tradizionale verga fiorita (secondo la narrazione di San Girolamo), sta defilato alle spalle della Madonna, quasi schiacciato contro la cornice. Nelle altre natività neretine in San Francesco d’Assisi e al Carmine a Nardò, sebbene di proporzioni pari a quelle di Maria, Giuseppe sta sempre indietro, in subordine anche rispetto ai pastori adoranti. Nelle tre raffigurazioni di natività e adorazioni dei magi del 1450 ca. in Santa Caterina d’Alessandria a Galatina si vede Giuseppe lontano dall’evento, posto su un piano più in basso, barbato e vecchio. Con un salto di due secoli anche a Gallipoli nell’adorazione dei magi del Coppola in cattedrale (1637 -1640) il Nostro sta quasi nascosto alle spalle della Madonna e nella tela di Lecce al Rosario la luce irradiata dal bambino appena nato rischiara la Vergine e gli adoranti, ma non Giuseppe forse nascosto nell’ombra. Nel presepe scultoreo più antico del Salento, vale a dire quello di Nuzzo Barba della fine del 1400, ancora in Santa Caterina d’Alessandria a Galatina, Giuseppe risulta asimmetrico (rispetto la Madonna), in una postura casuale e “pensierosa”. Nei due presepi plastici cinquecenteschi di Stefano Da Putignano in San Francesco a Gallipoli e nel Carmine a Grottaglie, Giuseppe nel primo è abbastanza anziano, nel secondo risulta di proporzioni ridotte rispetto a Maria
Tuttavia la popolarità e l’ascesa verso i gradi più alti della santità di Giuseppe si deve a Santa Tersa d’Avila (1518 – 1582), Sant’Ignazio di Loyola (1491-1556) e alle disposizioni del Concilio di Trento, d’ora in avanti il Santo comincia a comparire più giovane, sebbene maturo, acquisendo un proprio autonomo ruolo iconografico, infatti nel rilievo – presepe scultoreo (cinquecentesco) in cattedrale a Copertino Giuseppe è della stessa importanza e dimensioni della Vergine e nei presepi scultorei a tutto tondo del ‘600, nella cattedrale di Lecce e in quello Settecentesco del Carmine a Galatina, Giuseppe è pari alla Vergine in figura e dignità.
(Peri i testi e le immagini riguardanti le opere menzionate si rimanda alla rivista online “Cultura Salentina”, articoli Figura e Norma. Presepi e natività storiche in Terra d’Otranto, I, II, III, IV, V, nov.- dic. 2023 di P. De Florio https://culturasalentina.wordpress.com/?s=Figura+e+norma&submit=cerca )
Assurge ad una dimensione monumentale, edificante e devozionale (secondo i principii post tridentini) la pala dell’altare maggiore nella chiesa di San Giuseppe a Nardò dove il Santo è solo, amabilmente con il bambin Gesù, un vero e sereno padre. Sono presenti i consueti attributi iconografici, raffigurate le vicende agiografiche, il Padre eterno ecc. alla maniera tardo cinquecentesca. Un’ opera dei primi del 600’attribuita da M. Cazzato al Donato D’Orlando, mentre S. Tanisi pensa che sia di Ortensio Bruno (La Chiesa e la Confraternita, cit. p. 53). L’alta dignità sacrale può dirsi pienamente riconfermata, quando nel 1870, Pio IX proclama San Giuseppe patrono della Chiesa universale, ecco che nella cattedrale di Nardò, in una piccola natività dipinta del 1900 si vede un San Giuseppe sovrabbondante rispetto alla minuta, anche se inginocchiata, figura della Vergine (Fig. 2)