A Giuseppe Vese di San Donato di Lecce è intitolata la nuova pinacoteca comunale
di Maurizio Nocera
Il 21 settembre 2023, a Galugnano (San Donato di Lecce), si è tenuta una folta assemblea popolare con numerosi rappresentanti di istituzioni (sindaci, consiglieri regionali, tra cui Donato Metallo, Presidente della Commissione cultura della Regione Puglia, il vice presidente della Provincia di Lecce), altre personalità e non poche associazioni e gruppi musicali, tra cui il celebre Sud Sound System. A fare gli onori di casa il sindaco Alessandro Quarta e tutta la Giunta comunale. La mostra delle opere, donate dalla famiglia Vese al Comune di San Donato di Lecfce è stata curata dal Prof. Lorenzo Madaro, docente di Storia dell’Arte dell’Accademia di Belle Arti di Brera (Milano). Quella che segue è la relazione tenuta da M. Nocera.
Cito Raffaele Polo da un post pubblicato su internet. Si tratta dell’inaugurazione a Galugnano [frazione di San Donato di Lecce] della nuova Pinacoteca intitolata [appunto all’artista Giuseppe Vese]. Scrive Polo:
«Le Opere in permanenza sono proprio quelle di chi ha conosciuto e frequentato, in vita, Giuseppe Vese. In particolare sono esposti lavori di Rafael Alberti; Cosimo Carlucci; Eugen Drăguţescu; Pietro Fanigliulo; Marcello Gennari; Emilio Greco; Antonio Massari; Umberto Mastroianni; Gaetano Martinez; Cosimo Monticchio; Luigi Novara; Josè Ortega; Ercole Pignatelli; Giovanni Pinto, Lino Paolo Suppressa; Orfeo Tamburi, Ernesto Tavernari; Franco Zilli, oltre che dello stesso Vese».
Ecco. Giuseppe (Pippi per gli amici) Vese (Galugnano, 1933 – Lecce, 2003) è stato giornalista, critico d’arte, poeta. Quand’ancora era vivo e viveva a Lecce, la sua casa si trovava in via san Bernardino Realino, sulla via per San Cesario, nei pressi dell’attuale rotatoria della Questura. Io abitavo a cinquanta passi da casa sua, per cui accadeva spesso che i nostri sguardi s’incrociassero. Un saluto, un veloce scambio di vedute su quel che andava accadendo in città, in particolare su eventi culturali, e poi via, io al mio lavoro, lui al suo. Per anni si è svolto tale rituale. Poi, un triste giorno del 2003, Pippi se ne volò in cielo, ed io rimasi a guardare gli scalini d’ingresso di quella sua casa. Ancora oggi lo faccio, per cui, diciamo che, quasi quotidianamente, il mio pensiero va alla sua cara persona.
Giuseppe è stato un intellettuale importante per Lecce, ed anche per la sua piccola patria locale – Galugnano – perché gran parte della sua vita l’ha dedicata appunto a mettere in rilievo storie, eventi e personaggi del nostro territorio. Penso, ad esempio, alle decine e decine di artisti già citati sopra (pittori, scultori, cartapestai, figuli, ecc.) per i quali ha scritto note critiche d’arte; penso ai poeti e agli scrittori in genere, ai quali ha recensito libri e raccolte poetiche. Penso al legame con la sua stessa Galugnano. Quanti discorsi e scritti non le ha dedicato. Ad esempio, si pensi alle Porte della Chiesa matrice, che in più occasioni ne ha decantato la storia. Ma Pippi Vese è stato anche un buon poeta, con non poche sue raccolte di liriche date alle stampe, che è bene citarle qui:
– Giorni del mio tormento, Poeti d’Oggi, Milano, 1962;
– E quando…?, Editori Giardini, Pisa, 1971, raccolta poetica che ebbe numerose recensioni.
– Lecce alla morte di Garibaldi, Editore Capone, Cavallino, 1982;
– Profilo biografico di Scipione Ammirato, Editrice Salentina, Galatina, 1984;
– Quinto Ennio e Rudiae, Editore Del Grifo, Lecce, 1987;
– Origine e fine delle carrozze a Lecce, Editore Del Grifo, Lecce, 1988;
– Monografie varie di pittori e scultori italiani e stranieri, Edizioni varie,
– Mielamaro (Poesie), Zane Editrice, Melendugno, 2001.
Mielamaro è l’ultimo libro da Lui pubblicato. Glielo presentò Donato Valli, suo amico il quale, nella Presentazione – Dal crepuscolo all’aurora – scrive:
«Giuseppe Vese è uno di quegli intellettuali i quali credono ancora fermamente che la vita non è cosa diversa dalla letteratura, ma è la sua fonte, la sua giustificazione teorica e pratica. […] Non succede mai in Vese che una parola sia detta o scritta per la sua intrinseca forma, per la sua struttura, per la sua musicalità, bensì perché ad essa corrispondono un preciso valore estetico e morale, un atteggiamento della mente, un comportamento dell’esistenza».
Valli definisce la forma poetica di Vese come di «un moderno crepuscolarismo». Non ha torto, anzi, mi sembra opportuno aggiungere alla definizione del grande critico letterario salentino anche l’anelito del poeta rivolto verso una sorta di misticismo interiore da Lui inseguito lungo il corso della vita. Quindi, crepuscolarismo e misticismo che sapeva sapientemente esprimere con un linguaggio estremamente semplice. Non a caso, molte delle sue liriche hanno la struttura di una preghiera, una sorta di Ave Maria o di un Pater Nostro dei nostri tempi. E poi, è Lui stesso a confermarlo in una nota autobiografica. Scrive:
«In tutte le mie espressioni di natura letteraria, sia essa giornalistica, poetica o narrativa, ho sempre preferito l’uso di un linguaggio semplice, che potesse essere compreso da ogni categoria [di persone] e non soltanto da addetti ai lavori. […] Solo in apparenza può sembrare una forma povera, scarna, priva d’incidenze lessicali, ma è solo una scelta, un progetto, uno stile, un modo di raccontare se stessi in chiave meno tortuosa possibile, facendo leva sull’originalità delle immagini e la bontà dei fatti» (p. 11, di Mielamaro).
Leggo qui una delle sue liriche per dare un’idea di quel che Valli ha inteso dire nella sua Presentazione a Mielamaro.
Già il titolo della poesia dice tutto:
«Gloriosa dicta sunt/ de te civitas dei// Col cuore in gola e senza dirti addio/ mi allontani da Te, Madre dei santi,/ venendo meno alla promessa fatta/ di darti in sacrificio il vigor mio./ Nel sogno mi hai sorriso e nulla/ del mio fuggir da Te mi ha biasimato/ e la corona del rosario abbandonata,/ durante la mia fuga disperata,/ con gesto d’amore mi hai riconsegnato./ Sconfitto dalla vita, misero e confuso,/ con un fardello di colpe mai espiate/ eccomi al Tuo cospetto a chieder grazia,/ a rinnovar promesse tessute di paura/ di non riuscir nel tempo a consacrare./ Madre, guida dei miei passi incerti/ verso la notte che precede il giorno/ e la morte dal mio patir sia vinta/ per ritrovar con te vita novella».
Leggendola e rileggendola questa lirica (ma come questa ce ne sono delle altre) non si può non pensare che ad una preghiera di un mistico verso la Madre celeste, che il poeta ha elevato a Madre dell’umanità e, soprattutto, Madre di se stesso. Ci sarebbe da fare la decriptazione di tutti i suoi versi, ma mi limito solo a chiedermi del perché il poeta si sente in colpa per avere abbandonato per un tempo relativamente breve il suo appassionato amore per la Madonna. Scrive:
«Nel sogno mi hai sorriso e nulla/ del mio fuggir da Te mi ha biasimato/ e la corona del rosario abbandonata,/ durante la mia fuga disperata,/ con gesto d’amore mi hai riconsegnato».
Non poche poesie, Giuseppe Vese ha dedicato alla Romania, per la quale Nazione ha scritto:
«Terra odorosa/ di piante e fiori profumata,/ ricca di fede e santa nel patire/ risorgi all’alba mistica e baciata/ da mille luci e annunci/ il canto nuovo dei poeti tuoi/ che da Eminescu a Sadoveanu,/ Creanga e Bacovia giunge fino a noi […]».
Altre poesie, Vese le dedica all’amico Eugenio Dragutescu, e poi ancora a grandi altri autori rumeni come, ad esempio, Costantin Brancusi, al grande poeta Eminescu (da lui paragonato al nostro Leopardi).
Ma le amicizie letterarie e artistiche di Giuseppe Vese sono state eccezionali. Non si tratta di amicizie passeggere, perché Egli si fa amici letterati e artisti che lo vengono a trovare anche a Lecce e a Galugnano. Cito solo alcuni di essi che fanno vedere sia il loro spessore sia quello del poeta galugnanese.
Vese fu amico e sodale del già citato Eugen (Eugenio) Dragutescu (Iaşi, 1914 – Roma, 1992), pittore e grafico, nato in Romania da una famiglia di origini genovesi. Vissuto in un primo tempo a Bucarest, si trasferisce poi (1959) a Roma, la quale diventa sua città d’elezione. I nazisti lo perseguitarono come politico e lo internarono in un campo di concentramento (1943-45). Nel 1964 diventa cittadino italiano. Dragutescu, amico di Ungaretti, Giulio Carlo Argan ed altri poeti e artisti italiani ed europei, è noto anche per essere stato un grande illustratore per la Treccani e altre rinomate case editrici rumene.
Fu amico e sodale del grande Rafael Alberti (El Puerto de Santa Maria, 1902 – Cadice, 1999) pittore e poeta spagnolo andaluso. Per tutta la vita fu un patriota antinazifascista e a lui si devono non pochi eventi democratici. Fu amico del nostro Vittorio Bodini e di quasi tutti i grandi intellettuali italiani. Fu stretto amico di Federico Garcìa Lorca e di Pablo Neruda. Fu uno dei grandi poeti della Generazione del ’27. Rafael dedicò a Vese una bella grafica con dedica: «A Giuseppe, mio grande amico».
Fu amico e sodale del grande José García Ortega (Arroba de los Montes, 1921 – Parigi, 1990), pittore e illustratore spagnolo, antifranchista e antifascista, di grandi ideali democratici, fu perseguitato e incarcerato per la sua attività politica. Presente in Italia e in Salento più volte. Noto per le sue 60 incisioni riguardanti la guerra civile spagnola e quelle dedicate ai lavoratori della terra. Di Ortega, trasferitosi nel 1973 a Matera, è noto il ciclo di dipinti Morte e nascita degli innocenti, ancora oggi custodito nella Casa Ortega di Matera.
Vese fu amico anche di Antonello Trombadori e di Giulio Carlo Argan e, soprattutto fu amico e sodale del grande scultore Umberto Mastroianni (Fontana Liri, 1910 – Marino, 1998), partigiano antinazifascista e grande scultore. Noto per i suoi raffinati bassorilievi [Danae (1926), la Deposizione di Cristo (1926/27), la Madonna della Pace, la Madonna Gotica (1938). Presente a tutte le Quadriennali di Roma, alle Promotrici di Torino e alle Biennali di Venezia].
Vese fu amico e sodale di Emilio Greco (Catania, 1913 – Roma, 1995), pittore, scultore e scrittore. È noto per il monumento Pinocchio e la Fatina (1956) a Collodi e per il Monumento a Papa Giovanni XXIII in San Pietro e per le Porte del Duomo di Orvieto (1970).
Fu amico e sodale di Amerigo Tot (Feheérvàrcsurgò, 1909 – Roma, 1984), pittore e scultore di origini ungheresi. Fu partigiano antinazifascista. Visse quasi tutta la vita a Roma, dove di lui resta il grande Fregio nella Stazione ferroviaria Termini. A Budapest c’è il Museo Amerigo Tot. Fu anche un apprezzato attore cinematografico.
Fu amico e sodale di Giuseppe Selvaggi (Cassano Ionio, 1923 – Roma, 2004) poeta e giornalista. Note le sue raccolte poetiche e le sue inchieste giornalistiche.
C’è da aggiungere che Giuseppe Vese ha dedicato non pochi studi anche alla vita amministrativa della città di Lecce ed anche a quella di San Donato e della sua frazione Galuganano, riscoprendo personaggi ed eventi dimenticati. In una sua attenta ricerca, ad esempio, ha scritto che:
«molti personaggi del periodo unitario [Risorgimento], pur non avendo ricoperto la carica di sindaco, fecero parte attiva dell’amministrazione comunale come assessori e consiglieri comunali»,
dando così il loro contributo alla crescita civile e culturale della città e della provincia salentina.
E proprio al Salento ha dedicato una delle sue più belle liriche. Appunto
«Salento// Terra dai molti linguaggi,/ di storie impresse da sempre/ sulle arcate di antichi blasoni./ Come note che non tramontano mai/ vivi ancora un’armonia lontana/ di lodi, di inni, stagioni e scongiuri/ di ataviche fedi e mitiche credenze./ Il sole, il mare, le tue vigne/ restano sempre panorama insigne/ di generosi artisti e celebri cultori/ osannanti la natura e i suoi colori» (da Mielamaro, p. 31).
Giuseppe Vese era una sorta di laico religioso, la cui fede era il suo pane quotidiano. Non aveva paura dei pericoli che la vita comporta ogni giorno, come pure non aveva paura della morte, o, per meglio dire, come tutti i mortali di questo mondo che facevano esperienza, Egli aveva quel che si suol dire «timore di Dio», nel senso che subiva il fascino della trascendenza divina ma, nello stesso tempo, la anelava. C’è una sua poesia che mostra questo aspetto della sua personalità:
«Morte// Sei tu che nelle notti oscure m’insegui/ ed arresti i miei passi stentati/ davanti a montagne di paura?/ Nel silenzio dei miei sogni-brivido/ muto ed indifeso mi cali nell’abisso,/ l’anima ferita mi tormenti/ e non ha senso alcuno il pentimento,/ quello vero delle miei arroganze./ Non sei tu che tra surreali deserti/ ai mitici fantasmi mi dipingi,/ è l’ombra orrida del mio peccato/ che mi strozza, mi schianta, mi uccide/ ed il rimorso del male che ho fatto,/ vedendo il tuo spettro,/ costantemente mi fruga nel cuore».
Vedete, in questa lirica, c’è come una sorta di confessione e la richiesta di un’assoluzione per un qualcosa (un peccato di religione) che Vese credeva di avere commesso. Si tratta solo di un’idea dell’uomo che, in particolari momenti di scoramento, crede di aver fatto chissà che, ma, noi amici sapevamo, come sappiamo, che Pippi era per noi un cristiano a modo.
Ho avuto l’onore e il piacere di essere in indice con lui nel libro Lecce e Garibaldi (Capone editore, Cavallino, 1983, dove, alle pp. 77-84, è pubblicato il suo bel saggio Lecce alla morte di Garibaldi.