A caccia dell’orso: ma che poi nessuno tocchi Caino
Di Gianvito Pipitone
“A caccia dell’orso andiamo
Di un orso grande e grosso
Paura non abbiamo
Oh-oh, tempesta!
Di neve che fischia
Non si può passare sopra
Non si può passare sotto
Ci si dovrà passare in mezzo…”
Michael Rosen
Se ne dicono tante in questi bui tempi di guerra… Sarà per frustrazione o impotenza di fronte alle notizie che arrivano dal fronte o anche per quell’innato spirito di polemica tutto italiano, dall’inizio dell’aggressione russa si assiste ormai a un incessante defilé di sermoni del giorno dopo e di lectio magistralis impartite con il senno di poi, mentre fra i social tracimano le verità ex-post, come se piovesse. Ci manca poco e pare quasi di doversi aspettare a questo punto “la familiare di Peroni, un tifo indiavolato e rutto libero” di fantozziane memorie.
Peccato solo che a riportarci all’orrore della guerra ci pensano puntuali e a cadenza ormai istantanea, gli inesorabili bollettini di guerra. Mentre, a noi che abbiamo un tetto sopra la testa, un lavoro con cui sfamare i nostri figli, un termosifone attraverso il quale riscaldare questa gelida coda d’inverno, niente sembra più inopportuno delle sterili polemiche da salottino televisivo.
Fra i trending topic si segnala la caccia alle streghe, con tanto di processo sommario e rogo al pubblico ludibrio, riservata ad amici e sodali dello zar Putin. Fuori dall’ignobile teatro di guerra, è lì che l’occhio di bue s’ingegna a sfruculiare capziosamente fra coloro che si sono macchiati di mescolare affetti e stringere affari con il dittatore Russo, colpevole di aver scatenato la guerra più ingiusta e assurda che potesse mai essere immaginata. Se mai sulla terra ce ne fosse una giusta da combattere.
Ora, brevemente e giusto per chiarezza: non c’è dubbio che in tempi non sospetti sarebbe stato per lo meno opportuno prendere l’Orso russo per il suo giusto verso o mantenere da lui almeno la giusta distanza di sicurezza. E invece sappiamo che sia a destra quanto a sinistra, uniti in una sorta di goffo balletto russo, fra salmone, vodka e caviale beluga, si è fatto a gara nel malsicuro tentativo di accaparrarsi le simpatie e il cuore dell’uomo (ora ne abbiamo le prove) più triste e ridicolo del mondo. Per poi vantarsene spudoratamente, mostrandone urbi et orbi lo scalpo come fosse trofeo di guerra.
Senza sorvolare sulle dichiarazioni d’ amore pronunciate nei confronti di Putin da ministri (Salvini) e capi di governo (Berlusconi) non più tardi di qualche anno fa, con solennità e trasporto, c’è un dato che sembra accomunare nel tempo la politica con l’opinione pubblica in Italia: questa sorta di persistente e strisciante russofilia degli italiani. Una corrispondenza d’amorosi sensi, peraltro, a suo modo ricambiata, se si guardano i dati di presenze del turismo russo d’elite lungo tutto la penisola. A causa o a ragione di questo, sono in tanti, se non in tantissimi gli italiani che si sono fatti stregare dalla smisurata grandezza del paese di Masha e del suo Orso.
Per inciso, a costo di rischiare di passare per naif, ho sempre pensato che il trait-d’-union fra Russia e Italia, due paesi profondamente diversi, fosse sempre stato un senso di mal celato provincialismo o di sofferta marginalità che entrambi i paesi avrebbero accumulato storicamente nei confronti di quell’Europa che conta. Chissà, magari potrebbe essere un filone di ricerca.
Nel frattempo, ora che sono cominciate a cadere le bombe, la festa è finita e tutti gli amici si sono dileguati, lo stesso povero Dostoevskij rischia di passare per il mentore del dittatore Putin (come lo fu un tempo Nietzsche per Hitler) in un incredibile rincorrersi di imbarazzate prese di distanza da parte dei protagonisti, nel loro spiacevole e penoso ritrattare, nel maldestro tentativo di sminuire l’amicizia dei tempi che furono. Triplo salto carpiato con avvitamento e destra e scappellamento a sinistra. Antani…
Una operazione quella della caccia alle streghe che non ha comunque risparmiato nessuno. Nemmeno i tedeschi. Leggevo che l’ex cancelliere tedesco, Gerard Schroeder, antico e intimo sodale di Putin, che negli ultimi anni ha rivestito incarichi di vertice in Gazprom per la costruzione del gasdotto russo-tedesco sul Baltico, il Nord Stream 2, sarà con molta probabilità espulso dal Partito Socialdemocratico, e invitato a lasciare le diverse fondazioni di cui faceva parte e …visto che c’è, anche del circolo della bocciofila di Hannover, città dove risiede…
Giustizia sarà fatta insomma… Peccato solo che quel gasdotto era stato creato ad arte con il preciso intento di bypassare l’Ucraina e, in ragione di questo, salutato da quasi tutta la politica e dagli stessi media come un nuovo e più conveniente corridoio di approvvigionamento, non solo per la Germania ma per l’Europa tutta. Ciononostante, ai media tedeschi basteranno verosimilmente le dimissioni di Schroeder per lavarsi la coscienza in maniera convincente, nascondendo il resto dell’ipocrisia bellamente sotto il tappeto.
Ecco, questo senso di giustizia ex-post o di regolamento di conti interno collegato alla immane tragedia dell’Ucraina, mi pare si possa individuare come vettore di due sentimenti in certo qual modo contrastanti, nella purtroppo labile opinione pubblica generale di questi ultimi giorni.
Intanto è spia di una lancinante rabbia e frustrazione per l’impotenza di tutta la classe politica e dell’intera diplomazia occidentale. Visto che, come dato di fatto acquisito, nessuno ha davvero mai compreso nel profondo l’indole vera dell’Orso russo. E visti anche i vari fallimenti accumulati dall’Occidente nutrendolo, appoggiandolo, foraggiandolo senza mai chiedergli conto e ragione dei suoi colpi di testa (Cecenia, Ossezia, Georgia, Crimea, diritti civili etc…).
L’altro sentimento è opposto ma non contrario. Si arrovella nella triste consapevolezza che chiunque al loro posto, al posto dei politici che hanno mangiato nello stesso piatto di Putin, avrebbero agito nello stesso identico modo. Chiamiamola realpolitik, ragion di stato, interesse economico, geopolitico e, perchè no, anche militare.
Non dimentichiamoci che Mosca è una delle città più iconiche al mondo. Assetto imprescindibile, sia che si giochi a Risiko o che si guardi ai reali interessi geopolitici sul campo. Dove a trovarsi fra la Piazza Rossa, la chiesa di San Basilio e il Cremlino, sembra come di stare a cavalcioni del Mondo, nel punto esatto dove la Storia e la Cultura (specie del Novecento) si sono date appuntamento.
Oltre che per gli equilibri, la stabilità economica, politica e militare del mondo, più prosaicamente Italia e Russia sono legati da grandi interessi commerciali. La Russia figura ad oggi, secondo dati freschi dell’ICE del 2021, all’ottavo posto fra i paesi più importanti per il nostro mercato. Importiamo da Mosca per un valore di 11 miliardi di euro: gas naturale, metalli preziosi come il palladio, petrolio grezzo, antracite, prodotti chimici e legno. Leggermente inferiore sulla bilancia commerciale il peso del nostro export verso la Russia, 7 miliardi di euro, concentrato principalmente su macchinari e apparecchiature (comprese quelle militari…). Mentre al secondo posto si trovano i capi di abbigliamento e del lusso made in Italy, molto apprezzati tra i magnati russi: Moncler, Brunello Cucinelli, Ferragamo e Tod’s per citare solo alcuni dei brand italiani più forti in Russia. Seguono i prodotti chimici e farmaceutici. È il peccato originale del capitalismo, bellezza … direbbe qualcuno, senza per questo lasciarsi scandalizzare dal crudo realismo.
E certamente la colpa più grande non è quella di aver cercato l’empatia, l’amicizia, la connivenza con il tiranno Putin. La colpa più grande della politica è semmai un’altra. Quella di non aver capito che questo immenso paese, abituato dalla Storia ad essere egemone e declassato invece ad un tremendo provincialismo all’indomani della caduta dell’ Unione Sovietica, in questi ultimi 30 anni non si è sentito altro che un paese fallito, alla mercé degli occidentali e disperatamente alla ricerca degli antichi fasti e della sua orgogliosa identità perduta. E che pur di ottenere il risultato, non avrebbe esitato di scatenare anche la terza guerra mondiale.
Ho sentito in questi giorni i miei amici russi, alcuni dei quali li conosco da vent’anni. Alcuni piangevano per la rabbia, altri invece sembrano nascondersi dalla vergogna, mentre altri ancora sono presi da iperattivita’: mandano email e whatsapp compulsivamente, chiamano a tutte le ore anche per dire niente. Vogliono così forse dimostrare che la Russia non è Putin e che ciascuno di loro si sente profondamente distrutto da tutto quello che sta succedendo in Ucraina. Immeritevoli dell’odio e del profondo disprezzo che il mondo sta dispensando loro. Senza che abbiano un briciolo di responsabilità se non quella di essere probabilmente troppo deboli per essere opposizione politica.
Mi chiedo a questo punto, quanti ancora ne dovranno arrestare, a Mosca e San Pietroburgo, o peggio, vessare e pestare a morte, per mettere a tacere le lacrime e la rabbia dei tanti partigiani russi ?
Nel frattempo, mentre il conto dei morti civili comincia in Ucraina a far sanguinare le nostre orecchie, bisognerà probabilmente prepararsi al peggio. Uno scenario che con il passare dei giorni sembra purtroppo diventare sempre più probabile. Con l’Occidente dilaniato fra interventisti e dispensatori di sanzioni ad oltranza.
Con questi chiari di luna, con Putin che non arretra di un passo e che anzi ad ogni giorno che passa, si ingegna ad innalzare il tenore dello scontro, non ci resta davvero che augurarci lo scenario meno doloroso e piu’ veloce per tutti noi. Quello di una fronda interna ad esempio: citare la pur sfortunata operazione Valkiria con protagonista il tenente Von Stauffenberg, durante la Seconda Guerra mondiale, magari può servire da scaramanzia e da gesto apotropaico. Bisogna solo affettarsi a stanare l’Orso. Prima che sia troppo tardi.
Le fronde si sa, a volte cominciano male e spesso finiscono anche peggio. Talvolta però hanno successo. Quando cioè le teste rotolano o vengono esposte all’ingiù. C’è una grande arteria che dal nord della città di Mosca finisce per sfociare nella grande Piazza del Cremlino, la Tverskaja. Sono sicuro di ricordare che a metà altezza vi è una grande stazione di servizio, Lukoil con ogni probabilità. Anch’essa ha una grande tettoia, bella alta, esattamente come quella di Piazzale Loreto, un tempo. Quel tempo là. E ora che ci penso, anche a testa in giù si dovrebbe vedere benissimo il Cremlino, le meravigliose cupole di San Basilio e la statua di Lenin li’ a pochi passi. In tempo di guerra un luogo perfetto per fare giustizia. Per le innocenti vittime civili dell’Ucraina. Per i bambini. Per la dignità di Mosca. Per la Russia. Per il mondo intero.
E dunque: a caccia dell’orso andiamo/ di un orso grande e grosso/ paura non abbiamo/oh-oh tempesta!/di vento che fischia/non si può passare sopra/ non si può passare sotto/ ci si dovrà passare in mezzo!
Necessariamente!
A patto che nessuno, dopo la sua destituzione, si azzardi poi a toccare Caino.
Blog dell’autore: PAGINA PRINCIPALE – www.barrylyndon75.it