IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

Il Recovery plan e il “dar conto” pubblicamente dell’uso delle risorse

PIANO NAZIONALE DI RESISTENZA E RESILIENZA

Di Enrico Conte

La recente vicenda della Protezione Civile regionale che ha svelato fatti di corruzione ( in parte ammessi, in parte in corso di accertamento giudiziario) a carico di dirigenti e imprenditori locali, induce ad una riflessione sul modo di amministrare le risorse, oggi, e in questo caso, se riferite all’emergenza Covid, domani se riguardanti i  fondi del PNRR.

Chiuso il primo anno del PNRR con la realizzazione di 51 obiettivi da parte del Governo centrale (in tutto saranno 500) – si tratta degli obiettivi che hanno consentito al Paese di ricevere gli anticipi dei 230 miliardi del Piano –  il 2022 sarà l’anno dei  Bandi che metteranno alla  prova i soggetti attuatori delle iniziative decentrate (Regioni ed Enti Locali, in particolare), si dovranno predisporre i  progetti e compiere i primi  passi per la loro esecuzione, in una parola passare dall’idea alla realtà delle infrastrutture e dei servizi, quelli  pensati per ridurre i divari territoriali.Il tutto si dovrà chiudere entro  il 2026.

Le ingenti risorse del PNRR – il 40% delle quali destinate al Mezzogiorno e alle quali aggiungere i 28 miliardi di fondi strutturali del recente Accordo di partenariato 2021-2027, tanto già rilevanti se confrontate con i fondi, 342miliardi, che dal 1950 al 2008 risultano investiti dallo Stato nel Sud (l’1% del PIL, così Galli della Loggia e Aldo Schiavone nel loro recente “Una profezia per l’italia”) – aprono,  pertanto, una serie di interrogativi.

Se costituisce un dato oggettivo  e difficilmente confutabile lo sforzo fatto dal Governo  volto a  rinforzare le capacità amministrative delle Stazioni Appaltanti sotto il profilo “quantitativo” (il sistema degli enti locali ha perso negli ultimi dieci anni il 25% delle risorse umane), resta ancora sullo sfondo l’urgenza di dare “qualità” alle strutture tecniche  delle Pubbliche Amministrazioni del territorio, congiunta con l’evidenza di un cambio di modalità nella gestione delle commesse pubbliche.

Per tale necessità occorrerebbe uno sforzo formativo e abilitante in linea con l’inascoltata  – va detto – Raccomandazione della Commissione UE del 3 ottobre 2017 sulla professionalizzazione degli appalti pubblici,  con iniziative degli “Stati” – come si esprime l’atto di indirizzo europeo – volte a sostenere la creazione di centri di competenza e insieme a promuovere l’integrità a livello individuale e istituzionale, quale parte integrante della condotta professionale richiesta, e a fornire gli strumenti per garantire la trasparenza e prevenire le irregolarità.

In poche parole Stazioni Appaltanti professionalizzate, competenti e concentrate nel numero e, forse anche per questo, in grado di fare da argine a fenomeni di abuso nell’uso delle risorse anche per l’uso di metodologie nuove basate su tecniche di accontability, e non esclusivamente centrate sul rispetto formale delle procedure.

 Appare, sotto questo profilo, una contraddizione che, all’azione incisiva del Governo centrale preoccupato di rispondere nei tempi concordati agli impegni assunti verso l’UE, si sia affiancato un emendamento alla decretazione d’urgenza sulla semplificazione delle procedure per i fondi PNRR che ha paralizzato, fino al 31 dicembre 2023,  la creazione di Stazioni Appaltanti ridotte nel numero, ma forti e autorevoli per le capacità progettuali ed esecutive.

Le Pubbliche Amministrazioni, adesso, facendo tesoro della possibilità di utilizzare le consistenti risorse del Recovery plan – e del metodo di governo previsto per il piano, non ultimo quello costituito dalla cabina di regia – potranno  rilanciare il ruolo delle politiche urbane, coinvolgendo le comunità locali con pratiche di responsabilizzazione pubblica, dando conto, puntualmente e regolarmente, delle modalità di impiego delle risorse, dei risultati attesi e di quelli conseguiti, per raccontare la realizzazione dei progetti mentre sono in itinere e le cose accadono.

Il coinvolgimento, attraverso incontri pubblici, delle comunità nella fasi di predisposizione e realizzazione dei progetti potrebbe anche servire a spiegare perché – se un ritardo si verifica – un’opera pubblica non riesca ad andare avanti nei tempi contrattualizzati  e a far uscire dal cono d’ombra chi ha la responsabilità dell’uso delle risorse pubbliche, oltre che a dare conto del personale scelto ai fini dell’intervento e dei criteri utilizzati nell’affidamento degli incarichi – il principio della rotazione di questi ultimi, previsto dai Piani Anticorruzione, in primis.

La gestione trasparente e partecipata delle risorse del PNRR potrebbe rendere responsabili pubblicamente – e quindi onorati e onerati delle funzioni da svolgere – i tanti dipendenti coinvolti nelle procedure di spesa. Le regole ordinarie, tanto più se applicate solo formalmente, non sempre si rivelano efficaci rispetto alla finalità di controllo della spesa, sol che si pensi che tutti i contratti pubblici devono essere comunicati all’Autorità Anticorruzione, come devono essere comunicate le ragioni, normativamente previste come eccezionali, che autorizzano le perizie suppletive e di variante con aumenti di spesa, ma ciò non toglie che la corruzione – anche in senso ampio – negli appalti pubblici si verifichi, come sembra accaduto nel caso dei fondi legati all’emergenza COVID gestiti dalla Protezione civile regionale.

La rilanciata  collaborazione pubblico-privato – sia da parte del PNRR che dalla stessa pronuncia della Corte Costituzionale (sent. n.131 del 2020) – o i dottorati comunali, recente misura prevista  dal Recovery plan  per orientare e collegare al territorio le Università e la  ricerca, si prestano a rendere più trasparente – anche solo perché partecipato e condiviso con i terzi – l’uso delle risorse pubbliche, attraverso un controllo incrociato e implicito nel lavoro di rete, come è tipico dei partenariati pubblico privato.

La necessità di innescare un cambio di paradigmi di natura culturale, di prospettiva e di metodo nel modo di affrontare i problemi, di elaborare soluzioni, di gestire una spesa è nelle corde e nei processi trasversali previsti dal PNRR e si riassume in parole semplici: cambiare “modo”, stili di governo e di amministrazione, dandone conto pubblicamente.

Occorre che vicende come quelle in corso di accertamento e riguardanti la Protezione civile regionale, non restino ostaggio della cultura del mero ripristino formale della legalità, non accompagnato da processi che mettano insieme iniziative di governo e scelte amministrative volte a creare le condizioni per lo sviluppo, all’interno della stessa PA, degli anticorpi necessari a prevenire i fenomeni di abuso, attraverso momenti volti a dare conto di come verranno sostenute le spese.

L’azione della magistratura, giusta e necessaria, da sola non è sufficiente.

Occorrono prassi e stili di comportamento  che siano in grado di far uscire dall’opacità gli affari più lucrosi, occorre che siano in tanti a occuparsi – e con ruoli ben definiti – della gestione della spesa, è necessario dare – semplicemente e – regolarmente conto di quanto viene fatto, consentendo un controllo democratico, diffuso e incrociato e indirettamente contribuendo a far crescere la maturità politica e amministrativa delle comunità interessate, ad accrescere la consapevolezza del ruolo dei beni pubblici, ad arricchire la vita civile e politica.

Agire dando regolarmente conto è anche un modo per restituire “disciplina e onore” allo svolgimento delle funzioni pubbliche, come prevede l’art. 54 della Costituzione,  e per attrarre nelle Pubbliche Amministrazioni personale giovane preparato e qualificato, che nell’impegno professionale trovi stimoli e soddisfazione.

Il sostanziale disinteresse nei confronti della dimensione operativa dei problemi che ha contrassegnato gli ultimi venti anni del settore degli appalti pubblici non può essere superato, esclusivamente, solo predisponendo nuove regole, anche se di semplificazione.

Servono scelte, individuazioni di priorità, uso di tecniche multidisciplinari e, non per ultima, una visione complessiva del fenomeno della commessa pubblica.

E’ utile ragionare su questi aspetti, in modo tale da non trovarsi nella situazione di doversi accorgere che qualcosa nell’uso dei fondi PNRR non è andato per il verso giusto:  come ricorda Natalino Irti, “assumere uno scopo diverso significa anche correggere o modificare una struttura: il perché condiziona e determina il come”; Amministratori e Dirigenti  dovrebbero far uso di nuovi paradigmi, a partire dalle forme utilizzate per comunicare l’andamento dei progetti e l’impiego delle risorse, e indipendentemente dalla messa a punto delle rendicontazioni contabili richieste dal PNRR e concernenti i rapporti con i Ministeri.

Gli strumenti complementari (forme di coinvolgimento e partecipazione), e le metodologie da mettere in campo,  potrebbero restituire valore aggiunto alla gestione dei fondi del PNRR, in quanto astrattamente idonei a consentire alle classi dirigenti politico-amministrative – non solo del Mezzogiorno – di contribuire alla creazione e al consolidamento di condizioni di contesto favorevoli allo sviluppo dei territori e, non ultimo e se a finanziarsi con le risorse in campo saranno i servizi pubblici e non solo le opere, ad  assicurare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, quelli dichiarati dalla normazione di questi mesi collegata al PNRR.

Su queste premesse, c’è da chiedersi quanto queste modalità di controllo diffuso e partecipato non possano costituire una risposta preventiva agli infiniti cantieri e alla mancanza di chiarezza sulla governance dei progetti complessi (si pensi, per tutti, alla Zes, alla statale “275” o alla ex Caserma Massa a Lecce): quando le opere non vanno avanti dire che è colpa della “burocrazia” ha tutta l’aria di un facile capro espiatorio perché si mescolano, in un unico generico argomento, complessità di procedure, negoziati infiniti su chi deve controllare e distribuire le risorse, e non ultimo,  si usa il fattore  “tempo” di realizzazione di un’opera pubblica alla stregua di una variabile indipendente, quando, invece, una durata contrattuale verificabile, costituisce già di per sé fattore di qualità del progetto e degli accordi sottesi. Ed è da considerare che la certezza dei tempi viene percepita dalle imprese più attente allo sviluppo come una condizione imprescindibile per investire sui territori.

Enrico Conte

ex Direttore Dipartimento lavori pubblici e project financing

Comune di Trieste

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