Della straordinaria arte pittorica di Roberta Fracella
di Maurizio Nocera
Nel 2019 si tenne a Copertino (Lecce) un convegno sulla medicina. Per l’occasione gli organizzatori avevano allestito una mostra nelle sale del Castello, un edificio medievale-rinascimentale tra i più belli di Puglia. Come sempre, quando c’è una mostra in giro per il Salento, colgo l’occasione di visitarla. Così feci anche con quella di Copertino.
Sulle pareti della sala espositiva insisteva una moltitudine di tele di ogni dimensione e cromatismi vari. Poi, su di un lato, splendenti come un raggio di sole di primo mattino, tre tele bianchissime con luci e ombre che giocavano a rincorrersi come angeli caduti dal cielo.
Mentre mi avvicinavo a quelle tele, pensai: “Com’è possibile che tra queste opere di artisti salentini vi siano anche delle tele di Enrico Castellani o di Agostino Bonalumi?”. Giunto nei pressi della parete, non feci in tempo a leggere la firma dell’artista che un comune amico mi presentò la pittrice: Roberta Fracella, una giovane donna che, in un primo momento, mi sembrò impossibile pensarla come l’autrice delle straordinarie tele. Le feci qualche domanda per accertarmi che era stata proprio lei ad avere “confezionato” quelle opere. Domande che si rivelarono immediatamente essere pleonastiche.
Chi conosce le opere di Castellani (1930-2017) o di Bonalumi (1935-2013) sa che non si tratta di tele dipinte con i normali canoni pittorici. Entrambi, ai quali, per un tratto di vita, si associò anche l’estroso e poliedrico artista Piero Manzoni (tutti e tre fondatori a Milano della rivista «Azimuth»), dopo essersi buttati alle spalle ciò che rimaneva dell’arte precedente, inventarono uno stile (definito “poetica dell’azzeramento“), passato poi sotto il titolo di Minimalismo (vd. Donald Judd). Va detto che tutti e tre erano stati assidui frequentatori dello studio di quel “mostro” d’arte che fu Lucio Fontana (1899-1968), fondatore del “Movimento spaziale” (Spazialismo) e inventore dei famosi “Tagli“.
Da Fontana, sia Castellani sia Bonalumi avevano appreso l’arte della tela monocroma, sulla quale far vivere luci e ombre attraverso una loro personalissima tecnica, conosciuta come estroflessione e introflessione del tessuto, ottenute grazie a chiodi, centine e punte varie (Castellani) o sagome di legno e metalli vari (Bonalumi), il tutto inserito nel retro della tela e ripetuto serialmente e differentemente. Le spinte delle punte metalliche esercitate all’incontrario sul tessuto producono così nell’osservatore un gioco di luci e di ombre straordinario e affascinante.
Quello era per me l’antefatto artistico, per cui, quando mi sono trovato davanti alle tele di Roberta Fracella, ho pensato che si trattasse della stessa tecnica usata dai due artisti citati.
Non è così, perché la tecnica pittorica dell’artista neretina è molto più complessa.
Infatti, non si tratta di estroflessioni o introflessioni dovute a punte, ma di paste materiche e di colori acrilici con i quali l’artista “scolpisce” delle sfere (da lei chiamate “bolle” prevalentemente semi-coniche sporgenti dalla tela), realizzate attraverso l’uso di stampini costruiti da lei stessa. Gli effetti di luci e di ombre, così realizzati, si proiettano sull’osservatore che li percepisce non come estroflessioni o introflessioni (alla Castellani e Bonalumi per intenderci), ma come derivati dal “costrutto” scultoreo tridimensionale (bolle e gobbe varie). È poi il gioco di luci radenti e fuorvianti che domina la tela.
Il bianco del fondo trasfuso sul tessuto da Fracella è di un candore immacolato ed universalistico, mentre gli stromatoliti semi-conici con altre sfericità e geometrie varie sono il risultato di collage e impasti materici da lei stessa ideati. La ripetitività e la serialità delle sporgenze, degli incavi e delle increspature, come pure gli allineamenti pseudo cosmici creano quell’universo astrale che stordisce e affascina.
Nella ricerca stilistica operativa della pittrice neretina è chiaramente individuabile la tensione di un recupero di un passato storico di positiva umanità, espresso con cerchi, circonferenze, spirali, ellissi, numeri, ruote, buchi neri, infiniti dell’anti-materialità più altri geometrismi di origine filosofica (penso alla grande e indimenticabile filosofa Ipazia d’Alessandria). Nelle tele di Roberta Fracella, è percepibile il tratto d’unione di un passato umano vissuto e vitale foriero di speranza e felicità.
La sua arte, quindi, non è (non può essere) il risultato di un’improvvisazione di un quotidiano confuso e disorientato quale appare essere la società globalizzata di oggi, spesso effimera e gonfia di banalità oscene, quanto il percorso poetico-visivo del suo riflettere lo sviluppo della vita e dell’arte.
Ecco. Le tele dell’artista salentina sono per me sinonimi di segni e simboli provenienti dalla misteriosa notte da cui ebbe origine la vita.