L’Area Ellenofona del Salento necessita di un adeguamento legislativo
Si è parlato già della differenza che c’è tra Nord e Sud dell’Italia in rapporto alla legge 482/99. Penso che la legge sia un’ottima legge, ma che vada oggi rivista, perché quando è stata elaborata essa ha affrontato, giustamente, soprattutto le esigenze delle Minoranze poste nelle terre di confine, lungo le Alpi. Era necessario risolvere il problema di una lingua di comunicazione perché molte Minoranze lungo i confini terrestri utilizzavano una lingua diversa dall’italiano e talvolta gli esponenti di tali minoranze non parlavano per niente l’italiano; obiettivo importante della L.482 era mettere in comunicazione queste popolazioni con le Istituzioni.
Sono nati quindi gli sportelli linguistici, una diffusa opportunità di far interloquire le Istituzioni con le popolazioni di minoranza; è sembrato come se lo Stato si fosse creato uno schermo per tutelarsi e garantirsi dalle minoranze, più che per aiutarle. Non è un caso che l’Ufficio di tutela delle Minoranze linguistiche ancora abbia la sede presso il Ministero dell’Interno.
All’inizio era un problema di sicurezza, poi la situazione nel tempo è cambiata e quello che una volta era avvertito come un “problema”, cioè la questione delle minoranze, sempre più si va rivelando una “opportunità”. Le Minoranze offrono la possibilità di ricucire i confini che le guerre hanno creato e le Minoranze che hanno il proprio territorio a cavallo dei confini dello Stato offrono la opportunità alla Storia di veder superati i confini, dal punto di vista della comunicazione fra i popoli e della amicizia tra di essi.
Tra la fine degli anni 90 ed i primi anni del nuovo millennio si sono sommate e sovrapposte due grandi opportunità; una riguardava l’approvazione della legge 482 che dopo tanti anni di attesa è stata varata nel 1999, l’altra riguardava l’attuazione dei programmi comunitari INTERREG.
Nel passaggio tra INTERREG I e INTERREG II è stato attuato un mutamento determinante nella impostazione del programma: INTERREG I aveva interessato aree contigue lungo i confini terrestri, con INTERREG II è stato accettato anche il principio dei confini marittimi per cui tutta l’Italia è stata sostanzialmente coinvolta nei progetti.
Per la Grecìa Salentina quella è stata la grande opportunità. Era stato elaborato all’inizio degli anni Novanta una specie di “libro dei sogni”, un progetto quadro nel quale partendo dall’identità di un territorio, in questo caso l’origine greca, si prevedeva il coinvolgimento delle Istituzioni, dei Comuni, delle Associazioni, delle Scuole e delle Università, delle Camere di Commercio, nello sforzo di fare di quel patrimonio storico e culturale un patrimonio da “vendere”, da una parte per creare comunicazione ed amicizia con altri popoli affini, dall’altra per farne un volano per lo sviluppo turistico.
Sono andati avanti dei progetti importanti. Senza INTERREG II non ci sarebbe stata ad esempio la ristrutturazione di tantissimi centri storici che erano abbandonati a se stessi, non da poco tempo … ma dall’Unità d’Italia in poi. INTERREG II ha ridato vigore a terre che erano state sfruttate e sostanzialmente abbandonate.
Grazie al Programma comunitario è stata favorita la ripresa dei rapporti con la Grecia, sono stati avviati progetti comuni e non solo quelli tra i griki e la Grecia. La considerazione vale ovviamente per i catalani, per gli slavi, gli arbëreshë, per i francoprovenzali, vale per tutte le minoranze che hanno cominciato ad assolvere ad una funzione diversa. La L. 482/99 è stato lo strumento legislativo adottato in Italia, però ha avuto alcuni effetti differenti presso le varie minoranze a seconda del tipo di contiguità con le aree di provenienza delle popolazioni interessate.
Tra le aree di minoranza vicine alla madrepatria, unite a quella da confini terrestri e le aree collegate attraverso il mare ai luoghi di origine, c’è una doppia distanza, nello spazio e nel tempo. Nello spazio, perché le Minoranze lungo le Alpi hanno conservato contiguità e continuità con le aree di provenienza, per cui le lingue che si parlano sono sostanzialmente lingue attuali, di comunicazione, lingue che sono anche scritte. Man mano che ci allontaniamo dalle Alpi, ci allontaniamo anche nel tempo in rapporto alla formazione dell’area di Minoranza.
Le lingue e le culture col passare dei secoli si sono evolute autonomamente rispetto alla terra di origine. La nostra lingua non è la lingua che oggi viene parlata in Grecia; quando vengono gli amici Greci nelle aree ellenofone (Grecìa Salentina e Bovesìa), ascoltano la nostra lingua con l’attenzione con cui noi ascoltiamo l’italiano di Dante Alighieri. Con un po’ di sforzo la comprendono, perché è comunque una lingua greca più vicina al neogreco rispetto alla vicinanza mostrata dalla lingua che si studia nei licei, idioma che rimanda all’epoca classica.
Da secoli va avanti la disputa sull’origine degli insediamenti greci nell’Italia meridionale. Per determinare tempi e modalità della formazione delle aree ellenofone ancora persistenti, si cerca oggi di seguire altre strade oltre quella linguistica, strade come architettura, riti, tradizioni, feste, cibo. Consideriamo anche un altro aspetto.
Una Minoranza linguistica, soprattutto quando utilizza una antica lingua che non è più di comunicazione, considera quella lingua come un canovaccio, lo strumento che tiene assieme tutta una cultura con le sue tradizioni, con la sua architettura, con la sua storia. La lingua da sola perde di attrattività perché serve poco alla comunicazione, soprattutto verso l’esterno. Tale aspetto comporta che la scuola deve affrontare il problema della lingua non tanto e non solo con l’insegnamento frontale così come si insegnano il francese, l’inglese, il neogreco. Tale metodo non avrebbe senso, l’apprendimento non deve partire dalle regole.
L’apprendimento deve partire dalla lingua parlata, per arrivare successivamente alla conoscenza delle regole. E’ una cosa scontata, ma non avviene spesso. L’altro aspetto è che l’insegnamento va differenziato per classi di età; con bambini della materna si affronta la lingua abbinando il gioco, con i bambini delle elementari attraverso i laboratori didattici (musica, manualità), nei licei si approfondiscono analogie e differenze con il greco classico. Tutto questo richiede una ristrutturazione di strumenti e modalità d’insegnamento e non solo.
Un aspetto particolare riguarda il Corpo docente: non è possibile che ad insegnare il griko siano docenti che vengono chiamati in base alle graduatorie costruite con l’utilizzazione di parametri che non hanno niente a che vedere con le lingue minoritarie. Molte volte capita che sia ad insegnare le materie legate a lingua e cultura locali un docente che non è dell’area e che non comprende per niente questa lingua. Come fa a coinvolgere i bambini, i ragazzi e recuperare la lingua e la cultura?
In questo quadro si inserisce anche un altro aspetto, cioè la scuola che deve uscire fuori dall’edificio scolastico e il territorio che deve entrare nella scuola, perché i portatori più grandi di lingua minoritaria sono gli anziani, quelli che hanno vissuto altre esperienze di vita, esperienze che si riflettono nella lingua parlata ….. Se non si fa questo, la lingua diventa un gioco per cui venuti fuori non dall’anno scolastico, ma già dal breve corso frequentato, gli allievi cominciano a dimenticare. Se invece gli anziani vanno a scuola, raccontano, ricostruiscono tradizioni, cantano, i bambini sono motivati ad imparare la lingua minoritaria e c’è qualche speranza che quella lingua sopravviva.
Parecchie decine di anni fa si parlava quella lingua correntemente e da parte della Scuola si cercava di eliminarla perché era vista come una barriera verso la costituzione dell’Italia linguisticamente unita. Occorreva imparare l’italiano, ma l’errore della Scuola e delle Istituzioni è stato pensare che per far ciò bisognasse eliminare le lingue minoritarie, viste come un ostacolo. Si è capito adesso che sono un arricchimento, ma oggi si parla molto meno ogni lingua minoritaria.
Nel processo di decadenza della lingua c’è però un aspetto positivo. I pochi soggetti che oggi la parlano lo fanno con maggiore coscienza perché mentre prima era l’unica lingua conosciuta e si cercava di eliminarla, oggi, almeno da noi, tutti sono in grado di parlare l’italiano; quasi tutti parlano il dialetto romanzo. Poi si arriva ad usare il dialetto romaico, cioè il griko; chi lo parla oggi lo fa per scelta, non più per necessità. Vuol dire anche che parlare il griko non è più sinonimo di bassa classe sociale, considerazione che per decenni ne ha influenzato la decadenza.
I nuovi locutori fanno sperare circa la vita futura di una lingua che altrimenti sarebbe condannata. Ma la lingua ci è utile anche per altro, in particolare nei rapporti con le aree di provenienza della Minoranza.
C’è una cosa che ancora oggi mi fa piacere ricordare, che mi commuove. Quando c’è stato il picco della grande crisi in Grecia, un documento di solidarietà dei Greci del Salento verso la Nazione Ellenica è stato letto nel Parlamento greco ed è stato messo agli atti; la sua lettura nell’aula del Parlamento di Atene è stata seguita da un fragoroso applauso dei Deputati.
Son cose che fanno piacere e danno un senso alla ripresa dei contatti. Legato alle lingue minoritarie è anche questo obiettivo di collegamento ed amicizia tra i popoli. Osservazioni alla 482 La copertura finanziaria della legge è andata assottigliandosi nel tempo ed è necessario invertire la tendenza. E’ inoltre essenziale il finanziamento alle associazioni.
Dicevamo prima che la lingua minoritaria è un canovaccio di collegamento fra i vari elementi che danno corpo ad una cultura, soprattutto se minoritaria. Tali elementi vanno raccolti attraverso il lavoro sul campo, ma la legge 482 non prevede il sostegno a chi opera sul campo, prevede qualcosa solo per le Istituzioni, oppure per chi dovrebbe poi utilizzare questo materiale, come le scuole. Ma se nessuno è stimolato a raccoglierlo, avviene che, soprattutto in presenza di lingue in via d’estinzione, c’è una memoria che si perde, col risultato che non ci sarà più niente da insegnare.
E’ indispensabile quindi che ci sia sostegno a chi fa questo lavoro di ricerca, valorizzazione e diffusione.
Altra esigenza avvertita è che bisognerebbe assegnare dei punteggi aggiuntivi, quando si stilano le graduatorie dei docenti, a chi conosce questa lingua. Alla stessa maniera è avvertita l’esigenza dell’ingresso del territorio nella scuola e viceversa perché ha senso la lingua se è legata alla cultura; se le lasciamo separate non ha senso insegnare la lingua.
Poi è necessario il superamento dei parametri rigidi nella formazione delle classi scolastiche, perché certe volte ci sono paesini, in Calabria più che in Puglia, dove lo spopolamento crea grossi problemi alla salvaguardia di lingua e cultura minoritaria. Non è di minore rilevanza la presenza dell’Università nel processo di formazione; vi faccio un esempio.
Negli anni 2000 uno dei progetti prevedeva il coinvolgimento dell’Università del Salento che ha mandato tesisti in giro nelle Biblioteche d’Europa per effettuare la catalogazione dei codici bizantini prodotti in Terra d’Otranto, come prima fase di ricerca per arrivare poi alla digitalizzazione e creare nell’area grika la possibilità di consultare in maniera virtuale tutti i codici medievali esistenti al fine di dare una visione complessiva di quello che è stato prodotto nell’area, e non è stato poco se, ad esempio, Petrarca e Boccaccio mandavano gli allievi migliori nella scuola greca di Nardò, perché il greco era madrelingua.
Silvano Palamà, Presidente pro-tempore del Circolo Culturale Ghetonìa e Responsabile della Casa-museo della Civiltà Contadina e della Cultura