L’importanza dei Leoni di Messapia nel XXI secolo: l’attualità dell’opera di Fernando Sammarco
Di Eliano Bellanova
Messapia… è un nome ancora magico e, sebbene viviamo un’epoca in cui anche le montagne sembrano colline, non possiamo fare a meno di riconoscere che ogni grandezza, ancorché relativa ai tempi, rimane tale pur sotto l’incalzare degli eventi.Molte volte ci è accaduto di leggere un’opera a vent’anni e di giudicarla in un certo modo; di leggerla in età matura e giudicarla diversamente.
Anche nel leggere non siamo sempre gli stessi, siamo profondamente diversi. Quando la saggezza prevale su ogni altro sentimento, sulle passioni e sulle debolezze umane, il metro di giudizio diviene, quasi incredibilmente, un altro. Mi sono posto più volte il quesito “in che consiste l’attualità dei Leoni di Messapia?” La risposta potrebbe apparire semplice, ma, ad un esame attento, non lo è. La vita è spesso come più atti teatrali, in cui, come in un porto di mare, entrano ed escono tanti personaggi. Ogni personaggio ci dona qualcosa, anche quando si perde nelle pieghe del tempo.
A volte riponiamo un libro nello scaffale perché ci accorgiamo che ci ha dato “solo qualcosa”. A volte lo riprendiamo e scorgiamo aspetti inediti, che prima non avevamo notato. Per questo tanti libri non rileggiamo più e tanti li riprendiamo perché ci hanno lasciato qualcosa in sospeso. “Cosa vuole dire?” “Perché è ancora attuale?” “Perché non sono riuscito a capire questo e quello?” Domande assillanti, alle quali spesso non forniremo alcuna risposta. Non si tratta propriamente di un atto incompiuto, ma di un certo che di irrisolto che si manifesta in noi. Perché dunque la Messapia è ancora attuale? Perché tanti episodi accaduti in secoli più vicini alla nostra epoca non ci interessano e non ci appassionano, mentre “virtù remote” ci conquistano? Non riusciremo a fornire una risposta, finché rimarremo “in superficie”.
A volte per capire è necessario gettare lo scandaglio, come negli abissi del mare. E gettando lo scandaglio troveremo in “quel mare” sempre cose diverse, o le stesse che si manifestano in modo diverso. Come la natura si trasforma e noi con essa, così il nostro pensiero coglie aspetti che prima non avevamo neppure sfiorato. I dialoghi dei Leoni di Messapia, l’opera di Fernando Sammarco che ha percorso Puglia, Salento e che ha anche appassionato altrove, sembrano a una “prima evidenza” ingenui, semplici. Eppure possiamo rilevare che il mondo dei secoli avanti Cristo era un mondo semplice, una specie di “Epoca Bella”, quell’epoca che, mutatis mutandis, si è ripresentata nella storia in modo diverso, ma sempre con lo stesso spirito, con la stessa materialità e con la stessa immaterialità.
La tragedia greca ha ereditato semplicità e ingenuità, pur nel groviglio di accadimenti tragici, in cui confluivano i diversi “credo filosofici”. In epoche più vicine la tragedia ha compiuto più atti emigratori, attestandosi nell’Europa iperborea e rivelandosi non con Eroi dal cuore caldo, ma con Eroi impavidi “ostacolati” dallo sferzante nevischio dei mari del Nord, dove si incrociano i venti boreali e in cui gli abissi marini sono imperscrutabili e affascinanti. Un atto immigratorio è sempre foriero di cambiamenti, sia in chi immigra, sia nei popoli indigeni. I Messapi immigrati nelle terre pugliesi non erano i Messapi delle discusse terre di origine, così come i “Magnogreci” non erano come i Greci.
Ambienti, contatti e unioni danno luogo a persone diverse: nei sentimenti, passioni, pensieri, intelligenza e carattere. … un groviglio genetico foriero di miglioramento, perdita del carattere e della cultura di origine e dell’aspetto fisico e morale. Fernando Sammarco vuol far parlare i Messapi e li fa parlare nella loro “trasmutazione”, non smarrendo il genotipo e evidenziando il fenotipo. Lo scontro fra la colonia spartana Taras e gli Japigi-Messapi non è solo una guerra per il predominio delle terre meridionali della Puglia, ma uno scontro di culture, perché entrambi i contendenti sono “portatori” di culture diverse, trasformatesi nella zona da loro conquistata, e per le caratteristiche della stessa e per i contatti con le popolazioni pre-esistenti. Un giorno lontano – tanto per restare nel contingente “seminato” – gli odierni immigrati non saranno più quelli che sono attualmente.
Gli incroci con le popolazioni già esistenti daranno origine a persone profondamente diverse, per cui il modello originale assumerà un valore esclusivamente storico. La scienza, a sua volta, ha provato che la sopravvivenza dell’uomo è dovuta alle immigrazioni, ovvero all’incrocio con razze diverse, poiché i prodotti di coniugazioni fra razze diverse generano un “fenotipo” più forte, fino a trasformarsi in “genotipo”, che trasmette i cosiddetti “caratteri ereditari”. Dal lato filosofico, l’uomo è ciò che è, ciò che rappresenta e ciò che diviene, in un quadro di evoluzione i cui risultati non possiamo prevedere, ma che potremmo dedurre dal “passato storico-genetico”. Se a volte, infatti, non capiamo il linguaggio del “vicino” è perché siamo profondamente diversi dal lato genetico, per cui siamo “inconciliabili”. Se una guerra accade è non solo per ragioni di interessi economico-finanziari, ma anche perché siamo profondamente divisi da cultura, tradizioni e caratteri. Quando una “cultura” vuole affermarsi per quella che è stata denominata la “volontà di potenza”, non è per solo per dominare culture diverse, ma per affermare la “necessità di un mondo migliore” attraverso se stessi: uno scontro che il filosofo tedesco F. W. Nietzsche riassunse nell’asserto “io voglio-tu devi”, contribuendo forse a generare tutti i conflitti della nostra epoca, con ben due guerre mondiali catastrofiche.
Attualmente assistiamo a flussi migratori che sembrano sfuggire a ogni controllo. Per questi si costituiscono fazioni, nascono pensieri, sentimenti e passioni contrastanti e antitetiche. Non abbiamo sviluppato quel senso delle “necessità mondiali” che si collocano al di là e al di sopra dei comuni pensieri, “immergendoci” in una specie di odio di classe che origina un ingiustificato razzismo. Quando non esistevano gli Stati propriamente detti, in particolare quelli partoriti dalla Rivoluzione Francese e da quella industriale, il sentimento di popolo prevaleva su quello “delle necessità contingenti”. La conquista del benessere materiale è stato ed è motivo di divisione, di contrasti e di “riluttanza”. All’epoca messapica il sentimento umano di rivelava e si esplicitava in “forme semplici”, pur nella dinamica della conquista territoriale. Le lotte con la colonia spartana Taras, che i Romani denominarono successivamente Tarentum, sono “sintomatiche” dell’embrionale volontà di affermazione di un’identità, che, a sua volta, si trasforma in “entità operante” e, infine, in volontà di potenza.
Le terre messapiche e magnogreche erano regioni vergini, “pulite”, in cui era impensabile l’inquinamento atmosferico e di pensiero. La Taras greca non immaginava che i “moderni costruttori di civiltà” avrebbero impiantato, proprio nella perla dello Ionio, un’industria inquinante e pericolosa per la salute e la sopravvivenza.
Per questo gli antichi “autoctoni”, i messapi e i magnogreci, nel silenzio impenetrabile delle loro tombe ormai quasi spoglie, ci avvertono, ci ammoniscono e “ci mormorano”: “Rispettate le nostre terre”…