IL PENSIERO MEDITERRANEO

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Storia del carnevale di Venezia

Maschere Veneziane

Oramai siamo in pieno periodo carnevalesco che, se per certi versi in questi ultimi decenni si è un pò affievolato, ci ritornano in mente quelle belle serate allegre e divertenti in cui la gente mascherata scorrazzava per le vie della città.

Prima di avventurarci nella vera e propria storia del carnevale di Venezia, desidero proporvi un video da me realizzato sulle Maschere Veneziane. Le foto sono state realizzate dal sottoscritto in uno dei tanti viaggi fatti a Venezia sia per lavoro che per diletto.

Momenti di sana e vera allegria in cui almeno per qualche ora riponevamo i nostri assilli quotidiani in uno stanzino dando sfogo al desiderio di divertirci. E’ da tutto ciò che scaturisce in me il desiderio di andare a ritroso nel tempo e prendere in esame quello che è la storia del Carnevale più rinomato in Italia e forse anche nel mondo.

Probabilmente la prima testimonianza sulle origini del carnevale di Venezia risale ad un documento del Doge Vitale Falier del 1094 e in questa sede appare per la prima volta la parola “Carnevale”.

Il Carnevale di Venezia pare fosse stata una idea della Serenissima, sulla stregua di quanto già avveniva nell’antica Roma (vedi panem et circenses). Ritenne opportuno concedere alla popolazione, e soprattutto ai ceti più umili, un breve periodo dedicato interamente al divertimento e ai festeggiamenti, durante il quale i veneziani e i forestieri si riversavano in tutta la città a far festa con musiche e balli sfrenati.

L’idea attecchì in quanto la libertà di travestimento assumeva una certa forma di livellamento sociale, dove era permesso persino la pubblica derisione delle autorità e dell’aristocrazia. Tale concessione era largamente tollerata e considerata quale sfogo alle tensioni e ai malumori che si creavano inevitabilmente all’interno della Repubblica di Venezia.

Il primo Carnevale di Venezia documentato antico

Il primo Carnevale risale al lontano 1926 quanto fu dichiarato festivo il giorno precedente la Quaresima. Da allora fu deciso il Carnevale dovesse durare ben sei settimane, dal 26 dicembre al Mercoledì delle Ceneri.

L’iniziativa attecchì rapidamente soprattutto perché il celare la propria identità appariva come un atto di liberazione sentendosi tutti egualmente livellati. Solo che io aggiungo che ciò era ed è ancora vero in parte. Le maschere sono sostanzialmente degli abiti rappresentativi di professioni o figure mitologiche o presi in prestito dalle favole. Motivo per cui queste maschere per la loro fattura, la qualità e finimenti, variavano a secondo la capacità economica dei cittadini. Per cui un nobile, anche se mascherato e irriconoscibile, era sempre riconducibile al suo status, rispetto al povero manovale.

Tutti comunque facevano parte di un grande palcoscenico mascherato, in cui attori e spettatori si fondevano in un unico ed immenso corteo di figure e colori.

IL veloce e consolidato fenomeno carnevalesco favorì lo sviluppo di un nuovo settore artigianale, quello della produzione di maschere, che ben presto si affermò in tutto il mondo.

Furono aperte delle vere e proprie delle scuole artigianali per insegnare a produrre questi nuovi manufatti. Una vera e propria industria che nel tempo é andata sempre più sofisticandosi, per arrivare sino ai giorni nostri.

La ricerca di vestiti da maschera sempre più elaborati favorì anche e soprattutto lo sviluppo dell’arte del ricamo che sappiamo, anche oggi, essere un vanto dell’artigianato veneziano in genere. Si arrivò, addirittura nel 1426 che tali mestieri furono ufficialmente riconosciuti.

Non penso di affermare cosa sbagliata nel ritenere che la maschera più diffusa nel carnevale veneziano antico a partire dal 1700, arrivata sino ai nostri giorni, è sicuramente la Bauta. Questa maschera, indossata sia dagli uomini che dalle donne, è costituita da una particolare maschera facciale bianca denominata larva sotto un tricorno nero e completata da un avvolgente mantello scuro chiamato tabarro. La bauta era utilizzata diffusamente durante il periodo del Carnevale, ma anche a teatro, in altre feste, negli incontri galanti ed ogni qualvolta si desiderasse la libertà di corteggiare od essere corteggiati, garantendosi reciprocamente il totale anonimato. A questo scopo la particolare forma della maschera sul volto assicurava la possibilità di bere e mangiare senza doverla togliere.

Un altro costume tipico di quei tempi era la Gnaga, semplice travestimento da donna per gli uomini, facile da realizzare e d’uso piuttosto comune. Era costituito da indumenti femminili di uso comune e da una maschera con le sembianze da gatta, accompagnati da una cesta al braccio che solitamente conteneva un gattino. Il personaggio si atteggiava da donnina popolana, emettendo suoni striduli e miagolii beffardi. Interpretava talvolta le vesti di balia, accompagnata da altri uomini a loro volta vestiti da bambini.

Un altro travestimento molto comune utilizzato dalle donne era chiamato Moretta, costituito da una piccola maschera di velluto scuro, indossata con un delicato cappellino e con degli indumenti e delle velature raffinate. La Moretta era un travestimento muto, poiché la maschera doveva reggersi sul volto tenendo in bocca un bottone interno.

Durante il Carnevale le attività e gli affari dei veneziani passavano in secondo piano, ed essi concedevano molto del loro tempo a festeggiamenti, burle, divertimenti e spettacoli che venivano allestiti in tutta la città, soprattutto in Piazza San Marco, lungo la Riva degli Schiavoni e in tutti i maggiori campi di Venezia.

Le ultime giornate del carnevale erano caratterizzate da giocolieri, acrobati, musicisti, danzatori, spettacoli con animali e varie altre esibizioni, che intrattenevano il pubblico di ogni età e classe sociale. I venditori ambulanti vendevano ogni genere di mercanzia, dalla frutta di stagione ai ricchi tessuti, dalle spezie ai cibi provenienti da paesi lontani, specialmente dall’oriente, con il quale Venezia aveva già intessuto stretti e preziosi legami commerciali sin dai tempi del famoso viaggio di Marco Polo lungo la via della seta.

Iniziarono a diffondersi rappresentazioni e spettacoli di ogni genere presso le case private, nei teatri e nei caffè della città. Nelle dimore dei sontuosi palazzi veneziani si iniziarono ad ospitare grandiose e lunghissime feste con sfarzosi balli in maschera.

È comunque nel XVIII secolo che il Carnevale di Venezia raggiunge il suo massimo splendore e riconoscimento internazionale, diventando celeberrimo e prestigioso in tutta l’Europa del tempo, costituendo un’attrazione turistica ed una mèta ambita da migliaia di visitatori festanti.

E’ nel corso del XVIII secolo che prendono vita le avventure amorose Giacomo Casanova. Scrittore veneziano molto prolifico, fu tuttavia maggiormente conosciuto come uno dei massimi esponenti dell’aspetto libertino della Venezia di quel tempo. Il Casanova creò il suo personaggio mitico grazie alle partecipazioni a feste tra le più lussuriose, agli episodi amorosi più piccanti e alle incredibili traversie alle quali andò incontro nella sua vita sregolata, che portarono avventure, scandalo e vivacità ovunque si recasse.

Il Volo dell’Angelo

In un’edizione del Carnevale verso la metà del 1500, tra le varie manifestazioni e spettacoli organizzati in città, fu realizzato un evento straordinario che fece molto scalpore: un giovane acrobata turco riuscì, con il solo ausilio di un bilanciere, ad arrivare alla cella campanaria del campanile di San Marco camminando, nel frastuono della folla sottostante in delirio, sopra una lunghissima corda che partiva da una barca ancorata sul molo della Piazzetta. Nella discesa, invece, raggiunse la balconata del Palazzo Ducale, porgendo gli omaggi al Doge.

Dopo il successo di questa spettacolare impresa, subito denominata Svolo del turco, l’evento, che solitamente si svolgeva il Giovedì Grasso, fu richiesto e programmato come cerimonia ufficiale anche per le successive edizioni, con tecniche simili e con forme che con gli anni subirono numerose varianti.

Per molti anni lo spettacolo, mantenendo lo stesso nome, vide esibirsi solo funamboli di professione, finché non si cimentarono nell’impresa anche giovani veneziani, dando prova di abilità e coraggio con varie spericolatezze e variazioni sul tema.

Quando queste variazioni portarono a prevedere, per lunghi anni di seguito, un uomo dotato di ali ed appeso con degli anelli alla corda, issato e fatto scendere a gran velocità lungo la fune, si coniò il nuovo termine di Volo dell’Angelo. Il prescelto, al termine della discesa nel loggione di Palazzo Ducale, riceveva sempre dalle mani del Doge dei doni o delle somme in denaro. Vi furono alcune edizioni che videro gli acrobati utilizzare per i loro spettacoli degli animali, barche e varie altre figure, oltre a rendere l’impresa sempre più difficile con ardite evoluzioni e anche svoli collettivi.

Nel 1759, l’esibizione finì in tragedia: ad un certo punto, l’acrobata si schiantò al suolo tra la folla inorridita. Probabilmente a causa di questo grave incidente, l’evento, svolto con queste modalità, fu vietato. Da questo momento il programma si svolse sostituendo l’acrobata con una grande colomba di legno che nel suo tragitto, partendo sempre dal campanile, liberava sulla folla fiori e coriandoli. Dalla prima di queste edizioni, il nome di Volo dell’Angelo divenne quindi Volo della Colombina.

Tale evento, come la maggior parte delle altre ricorrenze e spettacoli, con la fine della storia millenaria della Serenissima si interruppe per un lungo periodo.

Verso l’inizio del 1600, le rappresentazioni estemporanee di carattere teatrali cominciarono a consolidarsi, a darsi una vera e propria struttura professionale costituendo delle vere e proprie compagnie teatrali che andavano ad esibirsi anche durante tutto il corso dell’anno. Collateralmente ebbe un gran fermento l’arte di realizzare sempre più belle e sofisticate scenografie.

Ciò favorì un proliferare di commediografi, scenografi e non è sbagliato definire che la Commedia dell’Arte sia nata proprio a Venezia. Tra i più noti autori annoveriamo il drammaturgo e librettista Carlo Goldoni.

Sin qui tutto rose e fiori ma consentendo nel periodo carnevalesco la possibilità di mascherarsi e rendendosi così non più riconoscibile agli occhi della gente, questo contribuì ad alimentare il tragico fenomeno degli scippi, furti, molestie di ogni genere e ovviamente non mancava mai il solito regolamento dei conti, sia esso riconducibile ad atavici odi familiari o eventualmente delusioni d’amore.

Diciamo che l’indole umana la conosciamo abbastanza bene e come sempre non ha limiti la sua spregiudicatezza. Addirittura si racconta che approfittando dei liberi travestimenti, ci si mascherasse da religiosi per penetrare in qualche convento e abusare delle astanti.

Non ultimo il problema che il Tabarro, il mantello nero di cui accennavamo poco fa, essendo abbondantemente largo e avvolgente, consentiva di poter occultare delle armi da utilizzare non certamente per accompagnare i fuochi d’artificio.

Quella che è sempre stata la professione più antica del mondo, quella della prostituta, a Venezia per certi versi era tollerata se non proprio incentivata, anche se, bisogna dire, in quanto foriera della sifilide, era tenuta sotto controllo. Purtroppo nel periodo carnevalizio le prostitute si confondevano con tutte le altre signore o signorine che non in poche occasioni davano sfogo ai loro soffocati desideri. Motivo per cui le autorità dovettero intervenire proibendo ogni forma di accoppiamento, applicando pene molto severe, quali la fustigazione e l’esposizione a pubblico ludibrio in Piazza san Marco.

In quei tempi durante il Carnevale era concesso entrare nelle case da gioco in maschera e ciò consentiva a giocatori spregiudicati, in quanto non riconoscibili di non onorare le eventuali perdite. Anche in questo campo fu poi vietato l’ingresso ai mascherati.

Dato che i fenomeni di malcostumi, favoriti proprio dal mascheramento erano oramai numerosi per qualità e quantità, fu nel fatto obbligo nel1797 alle donne maritate di accedere ai teatri o a alle feste danzanti con il visto scoperto, ciò per proteggere la loro onorabilità.

Quando la Serenissima cadde nel 1797, si arrivò la proibizione dei mascheramenti, fatta eccezione per le feste private nei palazzi e del Ballo della Cavalchina al Teatro la Fenice. Ciò contribuì a far perdere al Carnevale di Venezia quel suo fascino misterioso e avvolgente che in quei giorni pur se in presenza di sregolatezze a volte spiacevoli, consentiva una certa liberazione, un vero e proprio sfogo alla quotidianità.

Spero di esser riuscito a dare una esaustiva rappresentazione storica del carnevale di Venezia, soprattutto in questo periodo in cui la tragica pandemia sta tarpando le ali alla nostra libertà individuale.

E’ doveroso da parte mia ringraziare Venezia Eventi da cui buona parte delle informazioni riportate sono state desunte.

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