Andare oltre la Memorialistica e il localismo, sublimando la Storia del II Corpo polacco con metodo comparativo, in un’ottica geopolitica e irenica
di Cristina Martinelli
Convegno dedicato al 2° Corpo d’Armata polacco in Italia
Roma-Fondazione romana Janina Zofia Umiastowska – 16 maggio 2024
Allorchè nel 2000 venne istituita in Italia la Giornata della Memoria, come insegnante e
responsabile delle attività della Biblioteca d’Istituto di una Scuola Secondaria di Casarano,
organizzai un Laboratorio di Storia, invitati alcuni anziani, nonni e conoscenti dei nostri alunni, tra i
quali a sorpresa ci ritrovammo il polacco Michał Lejczak, residente nel nostro Comune, avendo
sposato nel 1946 una concittadina. Lejczak portò un incredibile racconto: era stato protagonista sin
dall’invasione della Polonia e le prime formazioni in Francia; poi la ricerca dei detenuti polacchi nei
lagers delle Repubbliche sovietiche; Lanciere di Podolia con la formazione del 2° Corpo polacco,
quindi la Campagna d’Italia con la battaglia di Montecassino e quelle sulla Linea Adriatica; dopo la
smobilitazione, apolide in Argentina e in Francia. Un tale depositario di Storia vissuta è diventato
quindi il primo interlocutore di mie personali ricerche che si sono concretizzate in vari scritti, per
opere miscellanee, articoli e lavori monografici, direttamente trattando la storia del 2° Corpo
polacco e in particolare l’istituzione delle Scuole civili nel Salento. Si è trattato essenzialmente di
Memorialistica, saggistica che si è avvalsa anche del registro narrativo empatico, per creare
sensibilità, per “rappresentare la Storia”, come dicevano i Greci.
In quei primi anni del nuovo Millennio l’intento era di porre riparo alla consapevolezza che
avevamo perduto il Dopoguerra, ciò valeva in qualche modo per l’Italia, dove è stata stereotipata
l’idea di essere stata liberata dagli Americani e dagli Inglesi, ignorando il contributo polacco, come
pure persa per la Polonia, annichilita dietro la Cortina di Ferro. Dopo l’emersione del racconto della
presenza di soldati polacchi nel Salento, con primi incontri nel 1995, si promuovevano
manifestazioni varie, comprese reciproche presenze di folte delegazioni tra Salento e Polonia a
guida Wojtek Narebski, Inghilterra e Stati Uniti coordinate da Eugeniusz Walaszewski, delle
comunità polacche in Italia coordinate da Padre Mariano Burniak e l’Arcivescovo Wessoly.
Per parte mia dal 2004 si era avviata una intensa collaborazione con Antonio Caloro e,
essendo ormai talmente compresa nella storia del 2° Corpo polacco, relativizzavo molti fatti del
Novecento e desideravo proseguire la ricerca, intanto che cresceva anche la coscienza che quelle
microstorie stavano diventando cultura: più che la sua pubblicazione in polacco, fu il maestro
Antonio Cino che trasferiva pittoricamente in piccoli acquerelli estemporanei la lettura delle pagine
de I Papaveri di Montecassino.
Mentre con la caduta del muro di Berlino sembravamo tutti anestetizzati dall’idea della fine
della Storia teorizzata da Francis Fukuyama, costatavo che si stava esaurendo la Memoria
Biologica, molti miei amici, ex soldati del 2° Corpo polacco, non c’erano più, bisognava stare
attenti alla perdita della Memoria, ma anche al feticismo della Memoria.
Così, ciò che aveva sedimentato nella mia coscienza la straordinaria vicenda del 2° Corpo
diventava metro di lettura di altre vicende, genericamente riconducibili alla Storia della Polonia, ma
non solo. Nel 2013 il saggio Ripartire da Francesco Nullo, ripercorrendo la bella stagione della
“primavera dei popoli”, arrivava all’epopea del 2° Corpo di Anders e indicava la lezione per
un’Europa unita e solidale. Anche il piccolo saggio La canonizzazione dei martiri d’Otranto nella
polonità di Karol Wojtyla, nel delineare la teoria del pontificato Wojtyliano della santità del martirio
per la Patria, che finalmente rendeva possibile la santificazione dei martiri d’Otranto, dopo ben
cinquecento anni, si riandava al sacrificio dei soldati di Anders sul suolo italiano, pensando alla
libertà della Polonia (in particolare, pp. 54-59).
Secondo Benedetto Croce “la Storia è sempre contemporanea”, si scrive sempre al presente,
al servizio dell’attualità, cioè tracciando una rete di relazioni tra passato e presente: il passato non
esiste più, deve essere una chiave di lettura per affrontare le sfide del presente. Questa indicazione
ormai mi guida anche nella trattazione della storia del 2° Corpo polacco, benchè non mi fosse
estranea la cultura del Messianismo polacco. Il saggio dedicato al generale Władysław Anders nel
130° anniversario della nascita non ha voluto essere agiografico, Memoria Museale, ma un
ragionato sguardo sull’esperienza bellica e l’identità personale dell’uomo e capo militare-politico,
un limpido racconto alieno dal conformismo, scevro da partigianerie, che cerca di confrontarsi con i
grandi temi della storia, della filosofia, della letteratura e del pensiero: democrazia, potere, libertà,
incontro/scontro tra Oriente e Occidente. Solo l’uomo e la sua umanità.
Questo Convegno ci pone di fronte al quesito ”Quale futuro?”, come mantenere viva in
futuro la memoria del 2° Corpo? Come valorizzare materiali editi e inediti, documenti pubblici e
privati, Musei e Archivi tematici, che ormai si possono considerare sufficientemente esplicativi? Il
rischio è la ripetitività inutile, l’annacquamento delle storie e della Storia per l’ansia di lasciarsi
trascinare dai nuovi linguaggi. Bisogna invece rimanere fedeli allo spirito dell’epoca, e allo stesso
tempo uscire dal provincialismo. Nel già citato Władysław Anders e Cosma Manera. Cammini per
l’Umanesimo, il metodo comparativo ha guidato me e il coautore Nicola Russi, finchè la diversità
delle storie dei due protagonisti, la distanza temporale delle relative due esperienze belliche e, non
ultima, la formazione culturale mia rispetto a quella del generale Russi, non ha reso esplicito che
l’Umanesimo era la cifra che valeva la pena evidenziare in due biografie ben note, senza farne degli
idoli, ma uomini degni di ammirazione per la loro umanità, esercitata proprio nelle situazioni più
disumane.
Il mio pensiero, che è anche il mio intento per il futuro, è aiutare a fare questo salto
culturale, superare la Memorialistica e, astraendo il senso dei grandi avvenimenti, come pure delle
vicende minime della vita di ogni protagonista, riproporre alle nuove generazioni la lezione della
convivenza pacifica che ci consegna la Storia. Questo procedere non implica la ricerca del
modernismo ad ogni costo, di nuovi simboli. Il simbolo resta sempre valido se continua a
rappresentare ciò per cui era nato. I Cimiteri polacchi sul suolo italiano non sono sorti per sola
pratica igienica, ma le file di croci nei luoghi del grande sacrificio dei polacchi, come quelle di
Montecassino, una delle più significative battaglie del XX secolo con alte perdite umane, sono
simboli del sacrificio di migliaia di giovani polacchi per l’ideale di libertà. Le lapidi nelle strade
percorse e nelle chiese dove i polacchi si sono fermati eternizzano sulla pietra i sentimenti di chi le
ha deposte e semantizzano per sempre le parole. Benché meno noto, significa ancora tanto il cuore
di Taddeo Kosciusko, non può quindi essere un simbolo l’Orso Wojtek, «…scritto con la maiuscola
perché è nome proprio della mascotte della Ventiduesima Compagnia di Rifornimento Artiglieria,
recentemente divenuto personaggio famoso. Non lo è alcun mulo della II Guerra Mondiale e
neppure il cagnolino mascotte dello Squadrone polacco 303 che volava sui caccia Hurricane. Infatti,
ai reparti combattenti di ogni arma era concesso di tenere una mascotte per tenere alto il morale,
magari non cosi ingombrante come un orso». Questo meditavo a pagina 61 del piccolo saggio Da
Montecassino a Marittima. Di Muli e Orsi, Epico e Mitico. Tuttavia, avendo io sempre presente la
regola del dubbio, è stato di grande conforto ascoltare Jan Ambroziak, Ministro della Cultura e del
Patrimonio Nazionale della Repubblica di Polonia, esporre nel suo intervento le stesse mie tesi sul
tema dei simboli.
In questo instant book, concepito in pieno lockdown per la pandemia Covid 19, insieme con
l’altro Autore, riflettevo che miti associati alle metamorfosi sociali e politiche hanno a tal punto
attecchito nella memoria collettiva da far dimenticare a molti la storia vera. Deve essere compito
degli storici e di chi sente il dovere etico della Memoria, come meritoriamente ha fatto chi ha
organizzato questo importante Convegno, riportare nel solco giusto e fecondo tutte le questioni.