PIERO ARENA, Viaggio verso la salvezza-Tre testimonianze per non dimenticare gli orrori della Seconda Guerra Mondiale, A.P.S. Pordenone, 2024
di Vincenzo Fiaschitello
A cura della Associazione Storica Società Operaia di Mutuo Soccorso ed istruzione di Pordenone A.P.S. e con il Patrocinio della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia e Comune di Pordenone, è stato pubblicato questo interessantissimo libro dello scrittore Piero Arena,
il quale non è nuovo a narrazioni riguardanti eventi storici della seconda guerra mondiale collegati con la sua famiglia sullo sfondo della Libia (Il Rifugio sotto le stelle, 2020; La guerra tra fame ed amore, 2022).
Le tre diverse testimonianze che Piero Arena descrive sono unite dal filo rosso della guerra e ciascuna ne rappresenta un aspetto terribile:
Otello è il personaggio che vive la tragedia del fallimento della campagna di Russia; Ester è la ragazza ebrea che fortunatamente si salva dai campi di sterminio nazisti (non però la madre che rivede e riconosce dopo parecchio tempo dalla separazione mentre viene condotta alle camere a gas); Carlo è uno di quei 13.000 bambini e ragazzi, maschi e femmine, dai 3 ai 14 anni, che pochi giorni prima dello scoppio della guerra, 10 giugno 1940, furono separati dai genitori emigrati in Libia e inviati in vacanza sulla costa adriatica per decreto del Duce.
La guerra impedì il loro rientro in Libia e per oltre cinque anni restarono senza una protezione e assistenza adeguate. Molti morirono sotto i bombardamenti, i più fortunati trovarono rifugio presso istituti religiosi e famiglie, molti altri si dispersero e nessuno seppe nulla della loro sorte. In ogni caso coloro che riuscirono a sopravvivere portarono per tutta la vita la sofferenza di affetti mancati e di fanciullezza bruciata.
Dalla narrazione di Piero Arena si può ben intuire come questo evento così doloroso, pur circoscritto e limitato nei numeri, meriti di non essere dimenticato e senz’altro accomunato alla più vasta tragedia della ritirata dei nostri soldati dalla Russia e a quella dell’olocausto degli ebrei.
A me sembra che questo libro possa costituire una sorta di ammonimento per le nuove generazioni che non conoscono a sufficienza quel che è stato il nostro recente passato. Queste pagine vive e toccanti, presentate con stile scorrevole e sempre adeguato ai sentimenti e alle emozioni delle vicende narrate, catturano l’attenzione del lettore fino a commuoverlo.
Da un punto di vista strettamente storico il libro di Piero Arena non è certo Storia e di questo ne è consapevole per primo lo stesso autore, il quale nel sottotitolo usa correttamente il termine Testimonianze. Ciò però non comporta che il testo abbia una minore importanza, ma al contrario un valore incontestabile per almeno due motivi, che in breve mi preme qui sottolineare.
Il primo attiene al metodo storico. Tenendo conto che lo storico ha il dovere di ricercare il più ampio numero possibile di fonti, variamente intese come documenti, testimonianze scritte e orali, lettere, luoghi, monumenti, medaglie, ecc., nonché vagliarle, criticarle, confrontarle, prima di accingersi all’atto finale della stesura della narrazione, credo che un testo come questo di Piero Arena non possa essere disdegnato o comunque sottovalutato da chi intende scrivere una sintesi storica, riguardante la seconda guerra mondiale. Certo è un granello tra le tante fonti, che però sommato agli altri può contribuire ad aiutare lo storico a comprendere, a interpretare le res gestae con la sua visione del mondo, producendo quel che appunto Benedetto Croce chiamava historia rerum gestarum. Non si può dire che la Storia sia semplicemente conoscenza del passato. Intere generazioni di studiosi come H-I.Marrou, G.Soranzo, C.Bloch, hanno lavorato attorno alla metodologia storica, concludendo che i fatti vanno messi in relazione con i loro antecedenti e con i loro conseguenti, immediati e remoti, prima di una interpretazione.
Il secondo motivo è legato alla presenza di una vena di Umanità che corre lungo la narrazione dei tre eventi. Nella esposizione agile, priva di retorica, emerge con chiarezza la sincerità e la schiettezza di quanto l’Autore scrive, anche quando la sofferenza dei personaggi è al culmine: nessun compiacimento, nessuna forzatura per accaparrarsi l’attenzione del lettore, ma soltanto una commossa partecipazione, che in certi passaggi fa intravedere la presenza di qualche aspetto autobiografico. Mi limito ad accennare appena ad alcuni gesti di umanità riscontrati nel corso della lettura per poi soffermarmi più avanti sul ruolo fondamentale che essi rivestono.
Il soldato Otello, durante la campagna militare di Grecia, dopo aver salvato il piccolo Dimitri, finito sotto il peso del suo asino, riceve non solo un sorriso dalla madre e dai parenti ma anche un pasto, lui un nemico italiano invasore della loro terra. Episodi simili si verificano anche durante la campagna di Russia. Quando i soldati italiani entravano nelle isbe, le donne offrivano con un sorriso materno un bicchiere di latte caldo o una patata abbrustolita sulla stufa: “di più non potevano, ma i gesti spontanei, i sorrisi accattivanti erano più che sufficienti per creare un clima di fratellanza” (pag. 40).
Per il personaggio di Ester, che a 18 anni vive felicemente ad Amsterdam fra altri 80.000 ebrei (tra i quali e forse anche a poca distanza dalla sua casa due donne divenute famose, la prima Anna Frank, la seconda Etty Illesum, nota mistica, entrambe morte nei campi di sterminio nazisti), riesce a salvarsi dalla deportazione grazie a uno stratagemma dei suoi genitori. Il gesto di umanità, non certo facile perché a rischio della vita, è quello di una famiglia non ebrea che accoglie la giovane Ester sotto falso nome.
Infine per il personaggio Carlo, il bambino di nove anni costretto a lasciare la famiglia in Libia per la vacanza estiva sulla costa adriatica, ricordo le varie circostanze in cui emerge un senso di umanità che ci fa sperare in un futuro migliore, come si può avvertire nel personaggio di Teresa che con coraggio e determinazione si trascina dietro, per diverse località dell’Italia del nord, una quarantina di ragazzi o nel personaggio di Alfredo che gli offre un lavoro ai mercati generali di Roma, lo consiglia come fa un buon padre e come del resto il ragazzo aveva sperimentato presso la famiglia di Varese presso la quale era stato ospitato per qualche tempo.
Secondo me sono questi gesti di umanità che, raccolti qua e là nelle varie testimonianze, lo storico non può relegare in secondo piano nella sua sintesi di historia rerum gestarum con il pretesto di produrre un’opera scientifica, oggettiva. I fatti vanno interpretati non solo servendosi dell’intelletto, ma facendosi guidare dalla ragione. Se l’intelletto come ha egregiamente spiegato Kant nella “Critica della ragion pura” è in grado di analizzare, la ragione ha il compito della sintesi non trascurando l’intelligenza del cuore e attribuendo una direzione, uno scopo, un senso,
al groviglio degli eventi.
Riconoscere nell’uomo la presenza di un gesto di umanità, di libertà, di fraternità, pur trovandosi in mezzo a indicibili sofferenze, come accade nel caos di una guerra, significa credere che il male non è qualcosa di assoluto che ci spinge al nichilismo, ma che il bene è ancora possibile, che i valori non sono del tutto tramontati e che resta ancora una speranza di rinascita.