Le città e il cambiamento climatico:mitigazione o adattamento?
di Enrico Conte
Cop 29, Baku, dall’11 novembre la Conferenza delle parti ONU, con quasi 200 nazioni presenti, è chiamata a far rispettare gli impegni sul taglio del gas serra e l’Accordo di Parigi del 2015, nel mentre agenzie delle Nazioni Unite rammentano che la concentrazione di CO2 in atmosfera ha raggiunto il suo massimo nel 2023.
Gli impegni nazionali per la riduzione dei gas serra sono lontanissimi da quanto necessario e Unfcc ci ricorda che il mondo, con i ritmi attuali, si avvia verso un aumento delle temperature di 3,1 gradi entro la fine del secolo, con il 2023 anno più caldo della storia (Emission Gap Report 2024).
Lo sforzo maggiore toccherebbe agli stati del G20 che generano il 77% delle emissioni. La Cop 28 dello scorso anno, occorre ricordarlo, si chiuse con un documento che dichiarava “transizione sempre” e non “fase di ritiro” del prodotto, per la fine del ciclo di vita di petrolio, gas e carbone.
Che fare nel mentre si attendono politiche di “mitigazione” dell’impronta carbonica da parte degli stati? Policy, e impegni, che dovrebbero discendere dalla Cop 29 e volti a far diminuire il riscaldamento globale di 1,5 gradi entro il 2050. Entro febbraio 2025 ogni Paese dovrà presentare i nuovi Ndc, i contributi determinati a livello nazionale.
Cop 29 cercherà peraltro di far rispettare gli impegni, già assunti dal 2009, di fornire 100 miliardi all’anno in finanziamenti internazionali per il clima e da destinare ai Paesi più colpiti dagli eventi climatici.Con Africa Group che chiede 1300 miliardi entro il 2030 e Arabic Group che ne chiede 1100.
Il World Reseach Institute fa notare che la gran parte delle responsabilità dell’innalzamento delle temperature ricade sull’occidente e sulla Rivoluzione industriale negli ultimi due secoli, Istituto che ha calcolato che il contributo finanziario a carico dei Paesi grandi inquinatori dovrebbe essere per gli Stati Uniti il 42%, per l’Europa il 22%, per la Cina il 6% (ad oggi ancora formalmente tra i Paesi in via di sviluppo).
Su queste premesse chi guiderà il processo ( gli Usa o la Cina?) e che ruolo avrà il nuovo Presidente Trump che, nel 2016, decise di sottrarsi agli Accordi di Parigi del 2015?
Nel frattempo eventi climatici estremi – da ultimo in Emilia Romagna o a Valencia con la pioggia torrenziale Dana, una precipitazione che ha causato oltre duecento morti e una infinità di macerie e danni – ci ricordano che ogni Istituzione è chiamata a fare la sua parte.
La Banca mondiale avverte che la minaccia climatica mette a rischio “circa un quinto della popolazione del pianeta, con una stima dei costi finanziari che arriva a 2.800 miliardi di dollari in due decenni.Cifra destinata a crescere quanto più lenta sarà la conversione dei modelli di produzione e consumo” Nell’UE, tra il 2021 e il 2022 c’è stata una forte accelerazione delle perdite economiche dovute a eventi climatici estremi. Nel 2021 i danni hanno raggiunto i 60 miliardi, nel 2022, 52 miliardi.
Nel mentre, le polizze assicurative per catastrofi fanno ingresso sulle pagine della pubblicità dei giornali, e c’è da chiedersi se, posto che le policy di “mitigazione” sono soggette a fattori globali , dopo il Piano nazionale di Adattamento (approvato il 21.12.2023) non sia altrettanto importante investire sui programmi di “adattamento” ai cambiamenti climatici di competenza dei Comuni, coinvolgendo e rendendo partecipi i cittadini. Come sta accadendo a Roma, che ha individuato quattro priorità: piogge intense e alluvioni, che mettono in pericolo quartieri e infrastrutture,la sicurezza degli approvvigionamenti idrici in uno scenario di riduzione delle precipitazioni e di siccità, l’adattamento dei quartieri alle alte temperature con conseguenze per la salute delle persone,gli impatti sul litorale dei processi di erosione e dovuti alle trombe d’ aria.
O a Milano, Bergamo, Parma o Bologna che hanno aderito al programma UE dei “contratti climatici”, per ridurre le emissioni inquinanti attraverso una molteplicità di iniziative integrate volte, per esempio, alla depavimentazione, alla piantumazione e alla creazione di corridoi verdi, al contrasto delle isole di calore, o alla riduzione del rischio idraulico.Va ricordato, fatto di alcuni anni fa, l’improvviso allagamento di un sottopassaggio dovuto ad una precipitazione impetuosa che causò la morte di un uomo in pieno centro cittadino a Lecce.
Iniziative di “adattamento”, all’insegna del principio di sussidiarietà, che partano dai territori e da associare a quelle edilizie che contengano l’uso del suolo, riconoscano incentivi volumetrici agli interventi di rigenerazione urbana e proponendo piani di recupero, anche di iniziativa privata, e con la possibilità di espropriare chi non intendesse partecipare agli interventi di rigenerazione. O promuovendo le comunità energetiche, magari coinvolgendo le parrocchie.Tutte soluzioni per le quali, per lo più, non serve modificare il Piano urbanistico generale
Per tutto ciò, va detto, sarebbe di grande supporto se i governi locali potessero disporre di una legge-quadro nazionale sulla rigenerazione urbana, con principi da tenere fermi da parte dei legislatori regionali. Un passaggio, questo, di ragionevole”interesse nazionale” e di coesione dei territori, certo di segno opposto rispetto a quelli che sono stati dati sull’Autonomia differenziata.
Per rispondere alle preoccupazioni generate dagli eventi climatici estremi coinvolgendo i cittadini, generando e alimentando consapevolezze, anche con atti di resistenza-costruttiva alle avversità climatiche.