IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

La luce segreta del Salento” il romanzo degli amori possibili di Maurizio Mazzotta. Nona ed ultima puntata

Dipinto di Egidio Marullo

Dipinto di Egidio Marullo

L’avventura

«Frena. È qui che mi sono fatta lasciare dal tassista l’ultima volta.»

«Quando ti sei addormentata e li hai sognati?»

«Sì.»

Valentina ferma l’automobile sulla Provinciale Nùvoli-Veglie all’imbocco di una stradina e rimane rigida, quasi paralizzata.

«Io ho paura» mormora con un soffio senza guardare l’amica.

«Ti prometto che se non ti tranquillizzi entro cinque minuti ce ne torniamo», la rassicura Federica. «Prendiamo questa stradina, andiamo avanti finché non troviamo un posto dove lasciare l’auto in modo che non si veda.»

«Non passa nessuno», balbetta Valentina e subito «Dio! Mi vengono i brividi. Proprio una prova d’amore.»

«Lo so e faremo l’amore nel cuore del vigneto.»

«Siamo venute per conoscere il popolo delle vigne o per altro?»

L’automobile prende a scivolare senza rumore e senza che Valentina lo abbia deciso. Dopo qualche decina di metri s’infila in un largo della carraia e si accantona per rimanere celata. Sopra di loro il cielo bianco della luna.

Valentina sperando di non dover andare oltre: «Un riparo meraviglioso! Fermiamoci. Passiamo dietro, ci chiudiamo dentro.»

Federica le si avvicina e le dà un bacio veemente sulla bocca.

«D’ora in poi il nostro amore sarà sempre più intenso, profondo e totale. Ti prego, scendi e chiudi l’automobile.»

Valentina ci ha provato. Ha sperato che l’amica frenasse le sue fantasie spinta dal desiderio di lei, dall’alternativa di rimanere in auto a fare l’amore, ma Federica è già fuori, ha fatto il giro e le sta aprendo la porta, le dà un bacio questa volta tenero e la prende per mano. Valentina è terrorizzata alla prospettiva di entrare nel vigneto.

«Vieni. Una luna piena, irreale, a portata di mano. Se non ci fosse stata una luna così non te l’avrei chiesto.»

Valentina non riesce, non può, non vuole rifiutare la straripante dolcezza di Federica, le sue promesse di avventura.

Camminano lungo la carraia tenendosi per mano.

«Restiamo qui sulla strada. Non è sufficiente?»

Per tutta risposta Federica la trascina nel vigneto.

Ho suggerito io a Federica questo luogo. Dico a te, che stai leggendo. Gliel’ho suggerito, senza che se ne accorgesse, perché lei e la sua amica devono incontrare quelli come me che qui, proprio qui sotto, abitano numerosi. Quando la luna è silenziosa, se il vigneto è folto e l’incontro è urgente, usciamo allo scoperto. Non abbiamo più la necessità di mimetizzarci, arte in cui siamo assai abili. Tu, lettore, lo sai quanto siamo bravi a nasconderci. Mi hai immaginato nell’angolo in penombra di una stanza, immobile, seduto su una sedia a ridosso di un armadio. Mi hai pensato inerte come un oggetto ma sensibile come un radar. Era prematuro mostrarmi a queste amiche. Occorrevano alcune condizioni. Ora ci sono. Un vigneto ad alberello rende la vigna più folta e se è molto vecchio le cime superano i due metri. Vedo Federica, esperta, individuare i rami che si spostano più facilmente e creano passaggi.

«Solo pochi metri. Me lo hai promesso» sussurra Valentina, e Federica la stringe a sé con una forza che le blocca il respiro.

«Ti ho promesso che se tra dieci minuti…»

Lei si libera e protesta debole: «Cinque. Avevi detto cinque.»

«Cinque dieci fa lo stesso, se non ti rilassi e non ti trovi a tuo agio torniamo indietro. In questi dieci cinque minuti però devi lasciarti andare. Immagina che sotto i nostri piedi ci sia sabbia soffice, che siamo sole al mondo e ci amiamo da vivere e vogliamo stare abbracciate. Lasciati guidare. Se non funziona torniamo indietro.»

«Promesso? Torniamo indietro?»

Valentina si volta per vedere quanto dista la strada che hanno appena lasciato e Federica le prende il volto, l’attira a sé, le sfiora gli occhi con ali di baci.

«Non puoi vedere da qui l’auto tanto meno la strada con questa vigna così alta, comunque è qui a tre quattro passi. Torniamo indietro. Così ti rendi conto che non dico bugie.»

«Ti devo credere. Se no ti lascio e non ci vedremo mai più.»

«Oramai è impossibile. Io desidero vivere insieme a te questa esperienza. Entrare nel folto del vigneto a quest’ora. Andiamo. Un’altra promessa. Se ti passa il disagio…»

«Chiamalo disagio, ho proprio paura.»

«Se ti passa la paura devi dirmelo.»

Federica le prende la mano e s’inoltrano nel vigneto.

«Io cercherò di trattenere i rami, tu tieni la mano alzata per proteggerti da qualche ramo che potrebbe sfuggirmi, colpirti sul viso e farti male. Se invece senti una carezza, allora sai che sono loro.»

«Gli uomini delle vigne?»

«Uomini donne bambini, un popolo come noi, solo in apparenza.»

«Insomma quello che ti ha raccontato Diego.»

«No amore! Dimentichi che li ho visti.»

«Li hai sognati.»

Federica si blocca, si volta e scandisce a pochi centimetri dalla bocca dell’amica: «No, li ho visti. Adesso non parlare per dieci minuti.»

«Cinque.»

Federica ha ragione. Mi ha visto. Mi sono mostrato a lei il giorno del sogno. Ero io quello seduto sul muretto. L’ho attesa dove la carraia incrocia un sentiero che porta a Villa D’Urso. Temevo la sua perplessità giunta a quel punto, la stanchezza poteva crearle problemi di orientamento. E poi facevo parte del suo sogno; dovevo entrare nella sua realtà. Anche perché lei aveva un impegno: regalare la mia foto a Diego, che per primo le ha parlato di noi. E scoprire pure che Irene mi aveva già incontrato. Da parte mia curo da anni, come già sai lettore, quei due, Diego e Irene. Sono stato io a suscitare nella donna il bisogno di contattare la giovane fotografa ed ero presente quando l’anno conosciuta e le hanno parlato. Ero nell’agrumeto, accoccolato su un albero di limoni, quello più lontano, quando l’uomo ha parlato del vigneto. Ai piedi dell’albero c’erano i cani col muso tra le zampe. Li ho seguiti da vicino quando erano alla ricerca della vite spontanea, approfittando dello stretto passaggio tra la folta siepe di pittosporo e la rete metallica di recinzione. Ed ero dietro il muretto della pista da ballo quando Federica ha raccontato la sua tragica storia.

Camminano in silenzio. Federica in angosciosa attesa della reazione di Valentina; Valentina che va rassicurandosi: si ripete che vuole affidarsi totalmente all’amica. Si fa strada la voglia di affidarsi alle sue certezze, alla straordinaria capacità di vivere e sognare insieme. Di realizzare i suoi sogni. Ci vuole tanta forza per realizzare i propri sogni. E nella giovane che si affida all’amica, avviene il miracolo: lo sgomento si estingue, non ha più paura di mettere i piedi chissà dove, trova piacevole quell’intrico di rami, le carezze dei pampini. 

«Sai una cosa. No, ho cambiato idea, non te la dico.»

«Non c’è bisogno. Sono passati cinque minuti e forse dieci. Però ti avevo chiesto…»

«Te la dico. Mi sta piacendo. Non ho più paura. E te lo dimostro. Lasciami la mano. Se non ci vediamo ci chiamiamo. Valentina sente le membra rilassarsi e accogliere. Come è possibile? È per Federica che le sta accadendo tutto questo? O è proprio rasserenante trovarsi immersa sotto la luna nel vigneto di cui ha sentito parlare con tanto entusiasmo dall’amica? Queste sono le ultime cose che la sua mente pensa, i pensieri si rifugiano in angoli remoti, si appartano, danno campo ad altro. Lei si abbandona a un’esperienza unica: tutto viene assorbito attraverso il tatto l’udito l’olfatto la vista ed enfatizzato, dando spazio a sensazioni forti che svegliano emozioni.

«Amore dove sei?»

«Dietro di te, non ti perdo di vista. Cerchiamo uno spazio libero.»

«Vuoi fare l’amore qui per terra, e gli animaletti?»

«Dormono di notte. Solo la volpe e qualche uccello notturno se ne vanno in giro e se ci incontrano hanno più paura loro di noi.»

Una breve pausa, poi Valentina torna seria, riaffiora la coscienza del loro stare insieme.

«La tua voglia di emozioni intense e la tua determinazione a provarle mi stordiscono…e vinci sempre tu. Non è giusto. Forse sei violenta e prevaricatrice.»

«Io non sono violenta e prevaricatrice. Torniamo. Torniamo alla macchina.»

«Zitta, ecco questo è il nostro posto.»

«No, ce ne andiamo. L’altra notte ti ho detto che mi sarebbe piaciuto portarti nel vigneto.»

«E io ti ho risposto che al solo pensiero di entrare in un vigneto di notte mi venivano i brividi.»

«E io ti ho chiesto soltanto di provare. Se dopo cinque minuti mi avessi detto torniamo, saremmo tornate. Hai detto che ti stava piacendo e allora…Vuoi finire qui l’esperienza? Non cambia nulla. Io ti amo sempre e sempre di più.»

«Non voglio litigare. Fermiamoci qui.»

«Nemmeno io voglio litigare, soprattutto qui nel vigneto. La cosa che più mi ferisce è sentirmi dire che sono prevaricatrice.»

«Ho esagerato. Adesso è una mia libera scelta e volevo dirti che è un’esperienza che voglio fare, che voglio seguirti, anche se non mi è facile.»

«E io sono prevaricatrice?»

«No, sei un tornado. Però lasci l’alternativa di chiudersi in casa quando stai arrivando», si avvicina e l’accarezza. «Non sei prevaricatrice.»

«E non vuoi tornare indietro?»

«No.»

L’incontro e la vora

La luna sta tramontando, ma loro non si accorgono che la luce sulle cime dei tralci va affievolendosi, neppure che il silenzio che le circonda si rapprende, l’aria si addensa, affiora l’umido. Se prima i loro sensi erano aperti alla natura ora si aprono ai loro corpi. I loro corpi sono attenti e solleciti solo per se stessi: ascoltano i loro stessi suoni, si inebriano di odori, assorbono umori, avvertono i loro stessi fremiti, danno ai loro scambi gli stessi significati. Le prime volte con l’intelletto più vigile, proprio perché impaurite e ansiose, hanno dato spazio ai confronti con le loro precedenti esperienze, rivelando in tal modo a se stesse differenze mai neppure sfiorate. Ora sono un fascio di emozioni. Emozioni simili-dissimili, conformi-difformi, complementari-simmetriche.

Sembra impossibile il confronto tra le due differenti relazioni amorose: l’incontro tra persone di sesso opposto e quello tra persone dello stesso sesso. Nella prima relazione si esalta la complementarità, per questo essa sembra più ovvia e comprensibile. Meno comprensibile appare l’altra, perché complementarità e simmetria si mescolano. Ma nell’autenticità del rapporto resta in comune il meglio, assai raro, dell’uomo e della donna: la capacità di amare, di prendere e concedere, di saper parlare, di saper ascoltare. Dallo scambio hanno origine le emozioni: l’essere nella sua totalità si muove, vive e si realizza. Cosa importa allora se le emozioni sono simili o dissimili, conformi o difformi, simmetriche o complementari oppure addirittura fluttuanti, simmetriche e complementari insieme?

«Ascolta. È la mia fantasia o è un vociare sommesso?»

«C’è qualcuno che parla.»

«Più di uno.»

«Sono contadini. Hanno fatto tardi con la vendemmia.»

«Vendemmia?! A quest’ora!»                                                         

«Perché? Si vede bene, guarda…oh no! i grappoli non si vedono più. La luna è andata via.»

«Appunto…non sono contadini.»

Federica e Valentina guardano tutto intorno ma il buiore rivela soltanto masse informi. Si stringono.

«Hai paura?»

«No.»

«Non si sente più niente. Hanno smesso.»

Stanno in ascolto abbracciate.

«Che pace! Siamo in un mare di tranquillità.»

«Come se la notte fosse piena di luce, come se il buio fosse la vera luce.»

«Come se potessimo vedere ogni cosa.»

«Non pensavo che avremmo provato il piacere del silenzio e del buio. Non c’è niente che possa farci del male.»

Valentina e Federica si sono addormentate nel cuore del vigneto, nel cuore della notte. Attorno a loro sempre più intenso, sempre più vicino un fruscio di foglie o rami smossi, un mormorio che prende coraggio e cresce. Frasi indistinte. Compaiono figure di uomini donne anziani giovani e si sentono nitide parole bisbigliate.

«La ragazza che aspettavate. La ragazza che dovevo condurre qui alla vora. L’altra è la sua amica». Brevi frasi si accavallano, si ripetono dopo che qualcuno per primo le ha pronunciate intanto che si stringono attorno a loro una dozzina di questi esseri singolari. 

«Ma sei sicuro che…»

«Sono sicuro, così come le vedete sono anche nei loro cuori.»

«Proprio come ci occorrono.»

Si accostano, le guardano le sfiorano le accarezzano le avvolgono teneramente tra le braccia.

«Non le separate», qualcuno raccomanda.

«Non le separate. Attenzione, non le separate», si ripete più volte.

Federica e Valentina non sanno se è sogno o realtà, perché percepiscono tutto questo allo stesso modo, sanno quello che accade ed è come un tornare all’origine. Si sentono dissetate, lambite, dolcemente penetrate nell’intimo. Si tengono per mano, si lasciano guidare. Tra sussurri, frasi incomprensibili ecco affiorare qualcosa tra le parole, un senso nuovo-antico, un significato ancora chiaro-oscuro. Hanno la sensazione di affondare i piedi in un terreno più soffice della sabbia fine e cedevole, un tepore le scioglie. Il loro incedere è facilitato dai rami che vengono aperti e pare che sia la vigna stessa ad aprire le braccia; tutte quelle persone attorno emanano un odore, un profumo di terra bagnata, pulita e sentono in bocca il sapore di dolcissimi chicchi di uva. Stanno scendendo, il loro procedere è una discesa; le pupille si dilatano, cominciano a vedere. La luna è tornata? No, è che tutto si rischiara. Questa è la vora, pensa Federica e Valentina la sente.

Federica viene presa per una mano e si lascia che l’altra resti ancorata a quella di Valentina. Si procede in fila lungo un sentiero sempre più in discesa e il terreno diventa più solido, ma sempre tenero ai piedi. Stanno camminando tra pareti di roccia e terra, il profumo è forte, le inebria; vanno dentro la terra e i loro occhi come fossero abituati da sempre al buio vedono chiaramente radici, radici ovunque, e accanto fiori mai visti, dai colori vivaci, dall’odore intenso.

«Queste sono le radici.»

Un’affermazione: ne comprendono il significato, chiaro, non hanno dubbi. Sono le radici dell’amore e dell’amicizia, della fratellanza, dell’uguaglianza, del vivere insieme.

«Le radici sono deboli, senza più forza.» Quest’altra frase, pronunciata da qualcuno più lontano, le frastorna, le incupisce, ma è l’ultimo dolore che provano. Perché labbra morbide nelle orecchie sussurrano altro ancora, mormorano sussurrano contenuti d’amore: «Per concepire l’amore è necessario ascoltarsi; per concepire l’amore è necessario incontrarsi fin dentro l’animo, fin dentro la testa.»

E mentre scendono nelle profondità della terra guidate da mani esperte, attraverso gallerie e cunicoli a contatto della pietra, intuiscono il senso di questo loro viaggio, del loro andare tenendosi per mano, del loro incontro con gli uomini veri.


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