IL PENSIERO MEDITERRANEO

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Ricordando l’11° Jamboree, un incontro di Pace tra Giovani Scout di tutto il mondo e l’eterno saluto ai Compagni Filippini mai arrivati” tenutosi nel 1963 a Maratona In Grecia

Il campo scout di maratona 1963

Il campo scout di maratona 1963

di Pompeo Maritati

Quel lontano 1963 a Maratona è un ricordo indelebile, un’esperienza scolpita nella mia memoria. Partecipai al Jamboree, il raduno quadriennale di tutti gli scout del mondo, con il gruppo italiano. Eravamo a Maratona, un luogo che evoca la storica battaglia, ma che quella volta fu teatro di una pacifica invasione di scout. Quell’anno furono oltre 14.000 giovani a radunarsi per condividere valori e sogni sotto lo stesso cielo, provenienti da ogni angolo del pianeta: un evento incredibile, carico di entusiasmo e di speranza.

Fui favorito per la conoscenza della lingua, che mi permetteva di comunicare con gli organizzatori locali. Questo dettaglio mi diede subito un vantaggio, una connessione in più con il luogo e la cultura che ci ospitava. La preparazione stessa del viaggio era stata un’emozione: il nostro gruppo italiano si preparava da mesi, ognuno di noi sapeva che avrebbe partecipato a un evento che difficilmente si sarebbe ripetuto nella vita. L’energia, la frenesia, l’orgoglio di indossare quella divisa e di sentirsi parte di un tutto più grande di noi stessi erano sentimenti che ci accomunavano tutti.

Arrivammo a Maratona con il cuore che batteva forte. L’immensità del campo scout, l’energia dei partecipanti e l’atmosfera carica di gioia e curiosità ci colpirono profondamente. Tutto tende montate a perdita d’occhio, colori, bandiere e striscioni di ogni nazione. Ricordo di aver sentito voci di ogni lingua, accenti diversi che rimbalzavano da un gruppo all’altro. Era come trovarsi in una miniatura del mondo, una dimensione dove le differenze si trasformavano in ricchezza.

Quei dieci giorni a Maratona trascorsero in un lampo, ma allo stesso tempo mi sembrò di aver vissuto un’intera vita in quel campo. Ogni giorno incontravo ragazzi di altre nazioni, ci sedevamo in cerchio la sera, intorno ai falò, scambiandoci racconti di avventure, sogni e desideri. Io stesso mi ero mescolato tra i gruppi con curiosità e voglia di conoscere: c’erano scout dell’Australia, del Giappone, dell’Africa e delle Americhe, e ognuno di loro portava un pezzo della propria cultura, della propria storia, come un piccolo dono per chiunque fosse disposto ad ascoltare. Alcuni portavano strumenti musicali e intonavano canzoni tradizionali, altri ci insegnavano giochi tipici del loro paese, e altri ancora condividevano semplicemente i loro pensieri su cosa significasse essere scout.

Ricordo che, la sera, il cielo di Maratona si riempiva di stelle, spesso ripensando a quel luogo sacro, o forse era la consapevolezza che stessimo vivendo qualcosa di irripetibile. Guardare il cielo con persone provenienti da culture e realtà tanto diverse, sapendo che ognuno di noi aveva preso un cammino diverso per arrivare lì, mi dava una sensazione di unità, un senso profondo di pace e armonia. Era come se, per quei giorni, fossimo tutti parte di una grande famiglia.

Purtroppo, quel senso di comunione e pace fu scosso da una tragedia che gettò un’ombra sull’intero Jamboree. Un aereo proveniente dalle Filippine, che trasportava un gruppo di ventiquattro scout, si schiantò durante il volo verso la Grecia. La tristezza per la perdita di quei giovani compagni provenienti da così lontano, riempì l’aria di una malinconia che era palpabile. Nessuno di noi conosceva quei ragazzi di persona, ma la loro scomparsa ci colpì come un lutto in famiglia. La notizia di quell’incidente fu un colpo terribile per tutti, una ferita che avrebbe segnato per sempre il ricordo di quel raduno.

Nonostante il dolore, però, il Jamboree proseguì, e forse proprio quel lutto ci unì ancora di più. Diventammo più consapevoli della fortuna di trovarci lì insieme, di poter condividere quell’esperienza e di poter tornare a casa, pur con il cuore appesantito dalla perdita dei compagni filippini. Ci promettemmo che avremmo portato con noi il ricordo di quei giovani scout che non erano riusciti a raggiungere Maratona, e che il nostro impegno come scout sarebbe stato anche per loro.

La chiusura ufficiale del Jamboree si tenne nello stadio Panathinaiko di Atene, il famoso stadio Kallimarmaro, dove si erano svolte le prime Olimpiadi moderne. Un luogo imponente, capace di contenere più di 100.000 persone. Ricordo il momento in cui entrai nello stadio: le tribune erano gremite, un mare di volti, bandiere e persone del pubblico, accorsi da ogni parte per celebrare insieme a noi la fine di un raduno indimenticabile. L’atmosfera era solenne, carica di emozione. Sentivo un senso di appartenenza che mai avevo provato prima, come se fossimo tutti uniti in un’unica grande famiglia, senza barriere, senza differenze.

Il momento più commovente arrivò verso la fine della cerimonia. Uno ad uno, i portabandiera di ogni nazione sfilarono sul campo, e il pubblico salutava ognuno di loro con applausi e ovazioni. Poi arrivò il turno della bandiera delle Filippine. Un silenzio assoluto cadde sullo stadio, seguito da un applauso che rimbombò come un tuono. Tutti i presenti si alzarono in piedi, e i nostri occhi si riempirono di lacrime. Fu un momento di unione, di ricordo e di rispetto. Poi, come se fossimo mossi da un unico cuore, iniziammo a cantare la canzone scout dell’addio. La melodia dolce, le parole semplici e profonde risuonavano in tutto lo stadio:

Cantavamo tutti insieme, fianco a fianco, italiani, greci, i soli tre scout filippini arrivati successivamente, americani, africani e asiatici, ognuno di noi unito da quella melodia e da quel dolore condiviso. Nonostante gli anni trascorsi, ancora oggi, quando penso a quel momento, le lacrime riemergono, e la commozione è forte come allora. La canzone scout dell’addio, in quel contesto, assunse un significato profondo, un saluto a quei giovani che non avevano potuto partecipare, un augurio di pace e di riposo.

Quei giorni a Maratona mi insegnarono qualcosa di essenziale, qualcosa che porto con me ancora oggi: la possibilità, la speranza che, pur appartenendo a culture diverse, uomini e donne di tutto il mondo possono vivere insieme in armonia, rispettarsi e comprendersi. Fu un assaggio di come potrebbe essere un mondo in pace, un mondo dove i confini non esistono e dove le differenze non dividono, ma arricchiscono.

Eppure, il ricordo di quell’evento è dolceamaro, perché a quella bellezza, a quella fratellanza, si affianca il ricordo di una tragedia che ci ricordò quanto la vita sia fragile e preziosa. Ma è anche quel ricordo, quel dolore condiviso, a rendere quell’esperienza così intensa e significativa. Quel Jamboree a Maratona non fu solo un raduno scout; fu una lezione di vita, una celebrazione della pace, e, allo stesso tempo, un ricordo indelebile di quanto sia importante apprezzare ogni momento e ogni persona che incrocia il nostro cammino.

Ancora oggi, quando penso a quei giorni, rivivo le emozioni come se fossi lì, nel campo di Maratona, sotto il cielo stellato, circondato da compagni provenienti da tutto il mondo, e nel mio cuore, sento di non aver mai davvero detto addio a quei giovani scout delle Filippine.

Un piatto in rame riportante il simbolo dell’11° Jamboree che conservo tra i miei ricordi più cari.


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