IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

Jalan Jimbaran. La Via della Speranza

indonesia

Di Gennaro Tedesco

Abstract

Due modelli educativi a confronto. Oriente e Occidente vengono brevissimamente posti a confronto in una microdimensione pragmatica. “Sul campo” si incontrano e si scontrano prospettive e pratiche educative, che nel loro confrontarsi e intrecciarsi, sembrano dimostrare la possibilità contrastata e dialettica di un dialogo incessante e dinamico. Sullo sfondo di una globalizzazione concreta e operativa nello stesso momento del tentativo comparativo tra due mondi che, malgrado tutto, sembrano ancora poco conoscersi e riconoscersi reciprocamente.

Di ritorno dall’Indonesia mi ha stimolato parecchio la lettura di un articolo su un quotidiano nazionale a proposito della constatazione che gran parte delle migliori e più innovative espressioni artistiche e culturali provengano dall’Oriente. E uno dei maggiori colpevoli di tale inammissibile e sgradita situazione era indicato nel sistema formativo, ma non solo in esso, dell’intero Occidente, dall’Europa all’America.
Per uno, come lo scrivente, frequentatore assiduo dell’Oriente, non è una novità né una scoperta recente anche se ciò sembra indignare e scandalizzare i nostri giornalisti e accademici. Sarei curioso di sapere dove erano e dove vivevano mentre non solo la Scuola e l’Università colavano a picco e l’Oriente si avviava a passi da gigante a sostituire e a divenire anche nella sfera creativa un temibile concorrente dell’Occidente (se naturalmente ci intestardiamo ad adottare la logica dello scontro al posto di quella dell’incontro).
La mia esperienza diretta e personale dell’Indonesia mi consente di affermare che anche in questo Gigante dell’Asia la Scuola e l’Università non sono all’avanguardia e soffrono anch’esse per il periglioso processo di globalizzazione che le attraversa e le scuote alle fondamenta. Ma, al contrario del perduto Occidente, l’Indonesia, pur con tutte le sue gravi e numerose contraddizioni, non esaurisce né limita alla sola Scuola e all’Università il suo sistema formativo. Un fattore importante della pedagogia indonesiana è la Comunità Educante, un concetto e una pratica, che, quando raramente presente in Europa e in America, rischia di essere frainteso perché interpretato come generico e avulso da qualsiasi contesto concreto, assimilandolo ad un significato quasi esclusivamente mediatico, per quel poco che ne rimane in Occidente. Non è così in Indonesia. Molto spesso in queste contrade la Comunità Educante si materializza nella Strada. Quello che direttamente e personalmente ha potuto constatare chi scrive con le sue persistenti visite “sul campo” è che la Comunità eterogenea e metamorfica della Strada nei quartieri delle città indonesiane si trasforma in una Rete non solo di informazioni e interconnessioni comunicative, ma anche e soprattutto di discorsi e pratiche educative.
L’approccio osservativo ed imitativo dello sguardo e dell’ascolto , quello della pratica diretta , quando possibile , della tecnologia più innovativa e flessibile , la distillazione , la metabolizzazione e l’adattamento delle notizie , degli atteggiamenti, dei comportamenti e delle posture captate e colte nel rumore e nel fragore dello scambio turistico divengono non educazione alla cittadinanza , concetto e pratica delle élite occidentali , ma educazione e introduzione all’attività politica . E la Strada non è solo presa di coscienza individuale e collettiva dell’essenzialità del politico attivisticamente e protagonisticamente inteso, ma anche riconoscimento e pratica di una Comunità profondamente umana e solidale, pur nelle contraddizioni di un capitalismo globale che avanza comunque nella stessa Indonesia come nel resto dell’Asia e del mondo.
Nelle strade di questo Impero- Continente più che Nazione si insegna e si apprende a contatto con etnie , religioni e classi sociali le più disparate , ma soprattutto si attua immediatamente e concretamente una pratica interculturale che , pur nelle oggettive difficoltà delle umane ed universali contraddizioni , cementa e consolida rapporti umani e sociali destinati poi a fondersi e a dissolversi in una dimensione certamente più immaginaria che reale di Armonia universale che, comunque, consente di estendere e approfondire il senso e la pratica di una pedagogia sociale destinata a divenire consapevolezza e partecipazione politica.
Ma in Indonesia non solo è la Strada che diviene Comunità Educante, c’è anche la Televisione sia nelle sue reti pubbliche che private. Essa, pur nelle evidenti contraddizioni di una pubblicità consumistica invasiva e pervasiva e capitalisticamente avanzata e imbrigliata nelle ambiguità di un servizio sociale non sempre indipendente dalla sfera governativa, produce ed irradia immagini reali e significative di un mondo urbano e rurale in continua trasformazione. Tale approccio mediatico non nasconde i pressanti ed ineludibili problemi della società indonesiana, non li edulcora né li stempera: il patrimonio culturale immenso di questo popolo e la sua possente tradizione folklorica e artistica vengono riproposti, contaminati, trasformati e trasfigurati a contatto con le esigenze di una modernità molto meno occidentale di quanto si pensi e si creda dall’altra parte del globo. Il processo di ibridazione e metamorfizzazione è molto più avanzato in Indonesia che nel nostro lato del mondo.
L’Educazione della Strada, aggiunta ad una formazione scolastica e universitaria più tecnica e asettica, in Indonesia consente una metabolizzazione più attenta , più rapida , più profonda, più dialettica e più multipolare della realtà. E quando parliamo di Educazione della Strada e di Comunità Educante ci riferiamo anche al valore educativo e formativo oltre che politico dei miti , dei riti , delle processioni e delle feste che sono all’ordine del giorno in particolare a Bali . Essi sono meravigliosamente veicolati ed espressi dalle forme teatrali e coreutiche, vero serbatoio vivente di una tradizione contemporaneamente artistica, attivistica ed educativa. L’approccio indo-balinese all’educazione , espresso e manifestato nelle forme globali teatrali, processionali e rituali della partecipazione e identificazione naturale e naturalistica, consente a tutto un popolo, a tutta la Comunità di rivivere direttamente e personalmente e di reinterpretare, di reincarnare attivisticamente un patrimonio ancestrale vivente alla luce e in funzione di una ibridazione di una modernità diversamente percepita e concepita e soprattutto originalmente praticata .
Ma prima di concludere questa breve ricognizione antropo-pedagogica, se tale si può definire, vorrei ritornare al discorso di partenza sulla Comunità Educante e sul ristagno creativo dell’Occidente nei confronti dell’Oriente. Molto spesso, anche se non sempre, soprattutto nel Bel Paese, quando si elaborano e si rielaborano progetti intorno ad una rediviva ed agognata Comunità Educante, si ha l’impressione che essa finisca con l’identificarsi con l’usato, usurato e abusato concetto e pratica di “Territorio”. Il fatto è che, anche quando fosse valida questa supposta identificazione, essa sconterebbe gli effetti di una allucinazione economico-tecnologica e illuministica. Ancora una volta i nostri pedagogisti, i nostri docenti e dirigenti, insieme ai fautori dei distretti territoriali e “culturali”, scambierebbero ristrette e artificiali costruzioni territoriali con i valori generali ed educativi di una Comunità Educante che, come l’Educazione di Strada indo-balinese sembra dimostrare, appartengono tutti o quasi tutti a contesti e pratiche non artificiali ed illuministiche e “culturalistiche”, ma prepotentemente “naturalistiche”. Il problema è che in Occidente, a cominciare non solo dalle sue Scuole e dalle sue Università, la riaffermazione non solo ideologica e politica di un neo-illuminismo occidentale e probabilmente neo-imperialistico come reazione all’ascesa dei Giganti dell’Asia, in particolare il Dragone Cinese e l’Elefante Indiano, produce e determina un ulteriore stadio di riaffermazione e consolidamento di un “culturalismo” esasperatamente intellettualistico, costruttivistico o neo-costruttivistico. Esso acceca e preclude ogni possibilità di comprensione di quanto accade nel “naturalistico” Oriente. Dove il naturalismo, al contrario del culturalismo costruttivistico, comporta la quasi immediata presa diretta con una realtà che in Occidente l’astrazione culturalistica e neo-illuministica nasconde agli occhi dei suoi costruttivistici e iper-intellettualistici osservatori. Ma non solo. Le conseguenze di questa impostazione e di questa “disposizione” occidentale conducono nelle Scuole e nelle Università ad un approccio educativo e formativo teso a intellettualizzare , soggettivare e idealizzare il contatto con una realtà , là dove ancora postulata , percepita ed esistente , come un percorso lineare , bello e progressivo , scaturito da secoli “gloriosi” di storia e civiltà che , però , rischiano sempre di più non solo di allontanarci dal “naturalismo” e realismo degli “Altri” , ma anche di perdere ogni residua possibilità di descrizione e comprensione “creativa” del mondo in cui viviamo .
Purtroppo credo che mi sarà sempre meno facile ritornare a Bali in Indonesia. Negli ultimi mesi del 2010 i visitatori dell’isola, che già negli ultimi anni si erano rarefatti, con l’acuirsi della crisi economica in Occidente, sono quasi del tutto scomparsi e questo processo di rapida rarefazione turistica è destinato a svilupparsi ulteriormente. Nel frattempo anche il rafforzamento dell’economia sud-est-asiatica e la graduale rivalutazione delle monete locali contribuiranno ad assottigliare ulteriormente e definitivamente il numero già risicato dei visitatori occidentali in questa perla d’Oriente. È la ruota dell’economia, oltre che della Storia, che ora sembra cominci a girare verso Oriente e non più verso Occidente.
Come al solito, quando mi trovo a Bali, non perdo tempo e, dopo aver battezzato e onorato l’Oceano Mare, mi precipito in mezzo alla folla, anzi in mezzo al popolo balinese tanto naturale e modesto quanto straordinariamente eterogeneo e caleidoscopico. Ormai conosco un “mondo” di giovani e meno giovani ed essi mi riconoscono immediatamente, accogliendomi nella loro Comunità di strada che si dipana e si espande lungo una strada, la Jalan Jimbaran, che lambisce il maestoso e selvaggio Oceano Indiano. Io rimango sempre più affascinato, ammaliato e “catturato” dal modo di vivere insieme di questa gente straordinariamente umile e allo stesso tempo possente. Questa della Jalan Jimbaran, la via dell’Anima profonda, non solo è la via della Vita senza confini di una Comunità naturale in cammino, ma è anche la Scuola, una Scuola che è una forma di vita in eterno divenire e in costante metamorfosi, dove non esistono i limiti e le barriere delle aule e delle classi in cemento armato dell’Occidente. Educazione e Vita, formazione e vita coincidono, anzi sono la stessa cosa. Vita e Trasformazione delle forme di vita (quelle che noi in Occidente congeliamo e mummifichiamo dando ad esse il nome di Educazione e Formazione) si fondono e si confondono. Che non sia questo il “Naturalismo”?
Il Naturalismo in Occidente si è trasformato, o, meglio, si è ossificato o, peggio ancora, si è fluidificato nell’artificialità di una Educazione “virtuale” che della natura non lascia intuire nemmeno l’ombra. Parecchi giovani ed adolescenti dell’isola suscitano la mia attenzione pedagogica e antropologica perché spesso li colgo tutti protesi ed assorti in un genere di “attività” che tra i nostri adolescenti e giovani, ma anche tra i nostri docenti e dirigenti, nella migliore delle ipotesi, susciterebbe un moto di ilarità e di ironia. Più che un’attività, quella in cui i giovani e le giovani balinesi sembrano totalmente immersi è una “forma di vita”, uno stile meditativo che sembra essere, e lo è, l’opposto di tanti adolescenti e giovani occidentali. I giovani balinesi che scorgo assisi sui gradini di una immensa costruzione pubblica di fronte alla via principale dell’isola, malgrado il traffico infernale e incessante, sono completamente assenti e assorti nel loro estenuante tentativo di elaborazione autoriflessiva in cerca di un vago e profondo sentimento che possiamo definire Armonia Cosmica. Mentre ai nostri adolescenti e giovani viene insegnata tutta una vasta gamma di “tecnologie” e metodologie umanistiche e pragmatistiche per affrontare e vincere il mondo , i giovani balinesi provano più modestamente e sommessamente e più teoreticamente a cercare e trovare dentro di se una via che li conduca con progressivi slittamenti verso la dimensione cosmica di un’ “armonia” totale e totalizzante che li dovrebbe porre in sintonia con l’anima naturale più che artificiale ( sociale ? ) del micro-macro mondo.
Qualche giovane balinese apparentemente più sensibile alle Sirene consumistiche ed edonistiche dell’Occidente lo scorgo turbato e angosciato per quella che sembra essere per essi una situazione ambivalente. Essi sono consapevoli di possedere un’educazione e una cultura diversa da quella occidentale e vorrebbero relegarla in qualche buio anfratto della loro coscienza. I riti e i miti del tribalismo consumistico dell’Occidente sono penetrati anche nelle loro menti e vorrebbero integrarsi a pieno titolo nel neo-tribalismo idolatrico dell’Occidente.
E a questo punto mi sento di intervenire e faccio notare loro che, nel caso di una non scontata loro “ammissione” a questo esclusivo club di presunti privilegiati , essi si troverebbero due volte repressi e oppressi: una prima volta perché considerati ancora “colonizzati” subalterni della periferia del mondo , una seconda volta perché alienati e depressi , come i loro pari occidentali , da una società consumistica e conformistica.
E allora ad essi mi permetto di indicare, da compagno di strada, che essi, per opporsi alla standardizzazione e conformizzazione della globalizzazione occidentale, devono rimanere sé stessi e opporre e imporre al mondo la loro educazione e la loro cultura. Educazione e cultura che più che nella scuole dell’Indonesia tendenti a conformarsi a un modello adattato e debole della formazione occidentale , dovrebbero continuare a trovare spazio e ad espandersi nel contesto di un modello educativo prepotentemente e sapientemente elaborato e diffuso dalla e nella Comunità di Strada come luogo primario e prioritario di elaborazione e rielaborazione di un sapere antico perennemente , vivacemente e criticamente riattualizzato e rinnovato a contatto continuo con la natura dinamica e metamorfica degli esseri viventi liberi dagli schemi preconcetti delle istituzioni “ illuministiche” , imposti da un Centro conformatore e deformatore .

Bibliografia

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  • Clifford Geertz, Interpretazione di culture, Il Mulino, Bologna, 1998
  • Clifford Geertz, Antropologia interpretativa, Il Mulino, Bologna, 2006
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  • Maria Laura Conte, Dove guarda l’Indonesia?, Marcianum Press , Venezia , 2006
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