Aldemaro Toni, Buyers. Racconti III, Edizioni dell’Erba 2024, pag. 160
di Marisa Cecchetti
Quando si leggono i primi racconti di questa raccolta – Buyers, Storia di Guido, Storia di Nedo – chi ha già parecchi decenni addosso ritrova aspetti di un passato che qui riemerge con concretezza. Allora riconosce quel tipo di società, di costumi, di riti che gli sono appartenuti, che si sono via via trasformati scivolando dentro nuove abitudini con naturalezza.
Aldemaro Toni, nato a Fucecchio, dove vive e dove è direttore dal 1980 della rivista Erba d’Arno, ha raccolto in Buyers. Racconti III, alcune storie già uscite nella sua rivista e altre scritte qualche anno fa.
Le prime raccontano gli anni del boom economico, “dalla metà degli anni cinquanta agli inizi dei Sessanta. Un periodo irripetibile, dove la rinascita degli italiani, dopo i disastri e le macerie di una guerra insensata, fu davvero formidabile”, si legge nella presentazione. I buyers erano i numerosi compratori stranieri presenti nella Firenze del boom, che Paolo – il protagonista dietro cui si cela l’autore – ha ben conosciuto, perché la ditta in cui lavorava, un maglificio, aveva aperto a Firenze un ufficio vendite e lui vi si recava spesso per incontrare i buyers nei migliori alberghi della città e mostrare i campionari, insieme a Siria, la traduttrice.
Per lui che arriva dal paese, la città è una scoperta magica – “Firenze è una sola” – così ci porta per le vie affollate degli artigiani, davanti ai monumenti, ai palazzi storici, su Ponte Vecchio, ci va vedere i tramonti sull’Arno; ci mostra la panoramica dal Piazzale Michelangelo spostandosi veloce in scooter. con la sua amica Enza che gli si aggrappa stretta, il fazzoletto a coprire i capelli.
In paese nei primi anni del dopoguerra si trovano le classi maschili separate dalle femminili, la pudicizia delle ragazze, la sigaretta accesa perché dà un certo tono, il passeggio per le vie del centro la domenica, il cinema con i primi contatti amorosi degli adolescenti nel buio, i radiodrammi, le case fredde dove si riponeva “il cardano” a fine inverno, la tavola apparecchiata nell’orto nelle sere miti che faceva tanta festa, le sartine che facevano gli abiti su misura copiando “i figurini” dai giornaletti di moda. Poi l’ingresso delle fibre sintetiche sul mercato e le calze da donna che perdono la riga sui polpacci. Lo scooter resta simbolo dell’epoca, ma quando una prima automobile compare in paese, si va in giro con gli amici verso i colli o il mare.
Attraverso la Storia di Nedo si conosce l’interesse per la musica, il teatro, la scrittura, occasioni di aggregazione e di crescita, e si apre una finestra sulla guerra alle spalle che aveva lasciato orfani e vedove, in una cultura che aveva assimilato il concetto della inevitabilità di sacrificarsi per la Patria. Ma troviamo anche segnali di guerra nel Libano – sarà nel 2006 – nel racconto Ancora noi due, che ci porta subito all’oggi, a dimostrazione che l’uomo non ha imparato niente dalla Storia.
L’amore crescente per la scrittura fa tutt’uno con la ricerca della solitudine, del silenzio, della riflessione – come si legge nei racconti che seguono – in una contemplazione delle bellezze della Natura che acquista la leggerezza della poesia: “Il paesaggio si faceva più spoglio e selvaggio, solo tratti di suolo erboso punteggiati qua e là da pietre, un cielo sfondato in alto che si faceva azzurro e poi rosa polveroso sui monti in basso all’orizzonte; uno strato biancheggiante invece sull’ansa dell’Arno”.
Divertenti i toscanismi sparsi qua e là: i bozzi, il cardano già citato, i frustoni, cioè le pozzanghere, lo scaldino, i serpenti. Le poesie finali, recuperate dalla sua prima produzione lontana nel tempo, hanno il romanticismo cupo tipico della giovinezza.
