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La Storia Infinita del Raddoppio e dell’Elettrificazione della Linea Ferroviaria Bari-Lecce: Diatribe, Ritardi e Opportunità Perdute dal XX Secolo a Oggi

ferrovia

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di Pompeo Maritati

La storia del raddoppio e dell’elettrificazione della linea ferroviaria Bari-Lecce affonda le sue radici in problematiche e diatribe che risalgono già all’inizio del XX secolo. In quel periodo, la rete ferroviaria italiana stava vivendo un’importante fase di espansione e modernizzazione, ma il Sud, compresa la Puglia, restava sempre più indietro rispetto al Nord, nonostante le promesse e i tentativi di colmare il divario infrastrutturale.

Già all’inizio del secolo scorso, le discussioni sul miglioramento della linea ferroviaria che collegava Bari con Lecce erano al centro del dibattito politico regionale e nazionale. La ferrovia, inaugurata nella sua prima forma negli anni 1860-1870, era stata costruita per collegare le principali città della Puglia, ma la sua infrastruttura a binario unico e la mancanza di elettrificazione ne limitavano pesantemente la funzionalità. Gli imprenditori e i politici locali erano consapevoli che la linea rappresentava una risorsa strategica non solo per il trasporto di passeggeri, ma anche per il traffico merci, in particolare considerando l’importanza dei porti di Bari e Brindisi come punti di scambio commerciali con l’Europa e il Mediterraneo orientale.

Tuttavia, nonostante questa consapevolezza, già nei primi decenni del ‘900 cominciarono a emergere forti contrasti tra i rappresentanti politici del Nord e del Sud del Paese. I governi centrali tendevano a dare priorità alle regioni settentrionali in termini di investimenti infrastrutturali, considerando il Nord come il motore economico dell’Italia. Questo orientamento portò a un progressivo isolamento infrastrutturale del Sud e della Puglia, nonostante le numerose richieste e proteste da parte delle autorità locali e delle comunità industriali della regione. Le risorse destinate al miglioramento della linea ferroviaria Bari-Lecce venivano dirottate verso progetti ferroviari più ambiziosi nel Nord, lasciando il Sud con una rete ferroviaria datata e inefficiente.

Una delle prime grandi diatribe riguardanti il raddoppio della linea ferroviaria Bari-Lecce si verificò durante il periodo fascista, negli anni ’30. Il regime di Mussolini aveva l’ambizione di modernizzare le infrastrutture italiane, e il Sud doveva teoricamente beneficiare di questi piani. Tuttavia, mentre il regime investiva pesantemente nella costruzione di nuove ferrovie nel Nord e nella promozione dell’elettrificazione delle linee ferroviarie settentrionali, il progetto di raddoppio della Bari-Lecce rimase bloccato. La questione del binario unico veniva ancora considerata marginale, e l’idea di elettrificare la linea non era una priorità. A questo si aggiungeva la visione del regime, che dava maggiore importanza alle infrastrutture autostradali piuttosto che a quelle ferroviarie, puntando sulla costruzione della famosa “Autostrada del Sole”, mentre il Sud rimaneva ai margini dello sviluppo ferroviario.

Il secondo dopoguerra segnò un’altra fase critica per la linea Bari-Lecce. Il Piano Marshall e gli investimenti internazionali per la ricostruzione dell’Italia non furono sufficienti a colmare il gap infrastrutturale che continuava a separare il Sud dal Nord. Nei decenni successivi, gli anni ‘50 e ‘60 furono caratterizzati da un’ulteriore espansione della rete ferroviaria al Nord, con il potenziamento delle tratte che collegavano Milano, Torino, Venezia e Genova. Ancora una volta, il Sud e la Puglia rimasero indietro, con la linea Bari-Lecce che continuava a funzionare con il suo binario unico e con mezzi a motore diesel, mentre altre linee italiane cominciavano a essere elettrificate. Le proteste da parte delle amministrazioni locali si intensificarono in questo periodo, con diversi esponenti politici pugliesi che denunciarono apertamente la mancanza di investimenti nel Mezzogiorno, chiedendo a gran voce il raddoppio della linea.

Negli anni ‘70, il dibattito sul raddoppio della linea ferroviaria Bari-Lecce raggiunse un nuovo picco. Il boom economico dell’Italia e la crescente domanda di trasporti più efficienti fecero sì che la questione tornasse di attualità. Tuttavia, a causa della crisi economica e della stagnazione degli investimenti pubblici che colpì l’Italia in quel decennio, i progetti di miglioramento della linea vennero nuovamente rinviati. Nonostante la crescente importanza del turismo in Salento e la necessità di migliorare i collegamenti tra Bari, Lecce e i principali porti della regione, i fondi per il raddoppio e l’elettrificazione della linea erano ancora scarsi. Inoltre, le diatribe politiche e burocratiche interne, così come la rivalità tra i vari gruppi politici locali, rallentarono ulteriormente qualsiasi progresso.

Negli anni ’80, con l’adesione dell’Italia alla Comunità Economica Europea e la disponibilità di nuovi fondi strutturali, sembrava finalmente giunto il momento di affrontare il problema del raddoppio della linea Bari-Lecce. Tuttavia, le complesse dinamiche politiche, sia a livello nazionale che regionale, continuarono a rappresentare un freno per lo sviluppo del progetto. I continui cambi di governo e le priorità politiche mutevoli determinarono l’incapacità di pianificare a lungo termine. Anche il contesto economico e sociale del Sud Italia, con una burocrazia lenta e inefficiente, contribuì a ritardare ulteriormente i lavori.

Le questioni relative ai costi dell’opera e alla difficoltà di espropriare i terreni lungo la tratta ferroviaria Bari-Lecce alimentarono altre diatribe. Molti proprietari terrieri e residenti locali si opposero all’ampliamento della linea ferroviaria, citando problemi legati all’impatto ambientale e alla gestione degli espropri. Questo portò a una serie di ricorsi legali e contenziosi che bloccarono l’avanzamento del progetto per diversi anni. La mancanza di un coordinamento efficace tra le autorità locali, le imprese incaricate dei lavori e i cittadini coinvolti peggiorò ulteriormente la situazione, allungando i tempi di realizzazione del raddoppio e dell’elettrificazione.

Nel frattempo, mentre i lavori proseguivano a rilento, le esigenze di trasporto della regione Puglia continuavano a crescere. L’aumento del turismo nel Salento e lo sviluppo economico della regione fecero emergere con maggiore forza la necessità di completare il raddoppio della linea. Tuttavia, anche negli anni 2000, il progetto rimase incompiuto, con solo alcune parti della linea raddoppiate e altre ancora a binario unico. L’elettrificazione, che sarebbe dovuta procedere in parallelo, rimase anch’essa incompleta, aggravando ulteriormente i disagi per i pendolari e i turisti.

L’annuncio del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e la disponibilità di nuovi fondi europei per il Sud Italia hanno portato un rinnovato ottimismo sul completamento dell’opera. Tuttavia, anche con il PNRR, restano ancora aperte molte delle vecchie questioni che hanno caratterizzato la storia travagliata della linea Bari-Lecce: i ritardi burocratici, i contenziosi legali, i problemi tecnici e la mancanza di una visione chiara e coordinata per lo sviluppo delle infrastrutture nel Sud Italia. Le promesse di migliorare il trasporto ferroviario nella regione sono state fatte e disattese per oltre un secolo, e resta ancora da vedere se il PNRR riuscirà finalmente a realizzare ciò che è stato atteso così a lungo.

In sintesi, la storia del raddoppio e dell’elettrificazione della linea ferroviaria Bari-Lecce è una vicenda che si intreccia con le problematiche storiche del divario infrastrutturale tra Nord e Sud Italia. Le diatribe iniziate all’inizio del XX secolo continuano a influenzare i progressi di quest’opera, che ancora oggi non è stata completata. Le speranze riposte nel PNRR rappresentano forse l’ultima grande occasione per modernizzare finalmente questa infrastruttura vitale, ma le sfide rimangono molte e i cittadini pugliesi continuano ad aspettare risultati concreti.


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