IL PENSIERO MEDITERRANEO

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L’Illusione della Pace: Un Genoma di Guerra

Genoma

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di Pompeo Maritati

Viviamo in un’epoca in cui la parola “pace” è costantemente pronunciata, quasi come un mantra, in ogni angolo del globo. Dai tavoli della diplomazia internazionale alle conferenze accademiche, fino ai discorsi politici, la pace sembra essere la risposta pronta e desiderata per ogni conflitto o crisi. Tuttavia, la realtà che osserviamo quotidianamente dipinge un quadro molto diverso. Il mondo moderno, nonostante il suo apparente impegno per la risoluzione pacifica dei conflitti, sembra avere inscritto nel suo DNA una predisposizione inesorabile verso la guerra.

Questa contraddizione è evidente in ogni notiziario, dove le dichiarazioni di intenti pacifici di leader politici e militari si scontrano con le immagini di città devastate, popolazioni in fuga, e macerie che sembrano essere il risultato di una promessa di pace mai mantenuta. La storia umana è una lunga sequenza di conflitti, intervallati da brevi periodi di tregua che sembrano preparare il terreno per le prossime battaglie.

Il termine “pace” è diventato una parola di convenienza politica, un ideale venduto al pubblico ma raramente perseguito con sincerità. Le nazioni si siedono ai tavoli diplomatici, siglano trattati e convenzioni che, sulla carta, sembrano voler porre fine alla violenza. Ma troppo spesso, quelle stesse nazioni, sotto la patina dell’impegno diplomatico, preparano attacchi militari, rafforzano alleanze belliche e alimentano conflitti in altre aree del mondo. Di giorno si declama la pace, di notte si pianificano bombardamenti, operazioni segrete e attacchi strategici.

Non è forse la dimostrazione di una duplicità che svela la nostra reale natura? Il desiderio di dominio, la volontà di potere, il timore di perdere privilegi e risorse sono radicati in una predisposizione umana che, a livello biologico e culturale, ci spinge alla competizione, spesso violenta. L’uomo, nella sua evoluzione, non si è mai completamente liberato di questa tendenza. Anche i più nobili ideali spesso soccombono di fronte agli interessi economici, geopolitici e militari.

Possiamo davvero dire che la guerra sia scritta nel nostro codice genetico? Questa affermazione può sembrare provocatoria, ma osservando la nostra storia e il presente, non è difficile intravedere una correlazione tra la nostra natura competitiva e il continuo ricorso alla violenza organizzata. Gli esseri umani, fin dai tempi più remoti, hanno dimostrato una capacità straordinaria di sviluppare strumenti e strategie per sopraffare il nemico, rendendo la guerra non solo un mezzo per risolvere controversie, ma un elemento costante della condizione umana.

L’era tecnologica non ha fatto altro che amplificare questa tendenza. Gli avanzamenti nella scienza e nella tecnologia, che avrebbero potuto essere impiegati esclusivamente per il progresso pacifico, sono stati sfruttati in gran parte per la costruzione di armamenti sempre più sofisticati. L’arsenale globale non è mai stato così pericoloso e letale come oggi. Droni, intelligenza artificiale, armi nucleari: la nostra capacità distruttiva ha superato di gran lunga quella di qualsiasi altra epoca.

Gli stati più potenti del mondo, spesso quelli che si presentano come i difensori della pace, sono gli stessi che continuano a investire miliardi nella produzione di armi e nell’industria della difesa. Sono gli stessi che vendono armamenti a paesi in conflitto, alimentando guerre lontane dai propri confini per garantirsi vantaggi economici e geopolitici.

L’ipocrisia più eclatante è vedere come queste stesse nazioni si pongano poi come mediatori nei conflitti che esse stesse hanno contribuito a creare o mantenere. L’industria della guerra è un colosso economico che prospera nel silenzio, mentre i discorsi di pace si svolgono sotto i riflettori.

Eppure, nonostante questa visione apparentemente cupa e fatalista, esiste la possibilità di spezzare il ciclo. La pace, vera e duratura, non può essere solo una parola da pronunciare nelle sedi internazionali o uno slogan elettorale. Deve essere perseguita con autenticità, attraverso scelte politiche, economiche e sociali che puntino alla riduzione delle disuguaglianze, alla promozione dei diritti umani e alla cooperazione globale.

Abbiamo bisogno di una trasformazione radicale nella mentalità collettiva, una che riconosca che la guerra non è l’unica risposta e che la pace non può essere solo una tregua temporanea. È necessaria una cultura della pace, in cui ogni cittadino sia consapevole dell’importanza di costruire relazioni basate sul rispetto reciproco, sulla giustizia e sull’equità.

La predisposizione alla guerra può sembrare inscritta nel nostro DNA, ma non è un destino ineluttabile. Abbiamo la capacità di cambiare, di riscrivere la storia futura. Per farlo, però, dobbiamo smascherare l’ipocrisia che pervade il discorso sulla pace, riconoscere le forze oscure che alimentano la guerra e impegnarci, a tutti i livelli della società, a creare un mondo che non solo parli di pace, ma che la realizzi davvero. La sfida è titanica, ma il prezzo dell’inerzia sarebbe insostenibile per le generazioni future.


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