IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

Una conversazione sul nostro tempo con Renato Chiocca, regista e sceneggiatore

Renato Ciocca

Renato Ciocca

di Enrico Conte

Con Renato Chiocca eravamo in fila presso la biblioteca Bernardini di lecce, per assistere alla proiezione del film tratto dall’ opera di Tadeusz Kantor, “La classe morta”. Iniziativa promossa dall’associazione AMA di Lecce, Accademia Mediterranea dell’Attore, promossa da Franco Ungaro.

Abbiamo scambiato due parole ripromettendoci di vederci e parlare. Mi chiede: non viene a vedere “Perché guardare negli occhi dei pazzi”? Tratto da uno scritto di Vittorio Pagano degli anni ’40, che sarà rappresentato a Lecce a fine luglio, proprio dove c’era l’ospedale psichiatrico?

Queste alcune sue opere, ultima:   “Questi ragazzi”, girato tra gli insegnanti di sostegno  e gli studenti affetti dal disturbo dello spettro autistico nell’Istituto San Benedetto di Latina, “Una volta fuori”, viaggio in macchina di Emanuele con suo zio uscito dal carcere, “Tutto quello che sarà”, che racconta il “Girasoli Tour”, un viaggio in bicicletta del Presidente di una cooperativa sociale e un adolescente ospite di una comunità educativa, alla scoperta delle migliori realtà nazionali nel campo dell’ inclusione sociale, dell’inserimento lavorativo e della sostenibilità ambientale, il pezzo di teatro con Giada Prandi dedicato ad Anna Cappelli,” Processo per stupro”, per raccontare, e riproporre con uno sguardo nuovo, il celebre processo documentato nel 1979 su un processo per stupro a Latina, reso famoso dalla difesa dell’avvocatessa Tina Lagostena Bassi. Ne fa una riflessione sui diritti delle donne.

Enrico. Durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale la madre di Valerio Adami, recentemente intervistato su Robinson, si metteva al pianoforte per affrontare la paura dei figli con il filtro della musica: la cultura, e i suoi mezzi tanto più se creativi, serve per affrontare non passivamente e meglio la realtà? E per mettere in discussione le convenzioni precedentemente stabilite?

Renato Chiocca. Sono d’accordo. I linguaggi artistici e della comunicazione – lavoro nel teatro documentario e di finzione – sono una possibilità e un’opportunità per riflettere, per riportare  un’esperienza. Il cinema, il teatro, richiedono un tempo di sedimentazione, che porta l’autore ad interpretare a seconda del linguaggio che viene utilizzato. Chi agisce con la realtà, un medico, un poliziotto, chi lavora nei servizi pubblici, non ha il tempo di mediarla e interpretarla, semmai di studiarla in un momento successivo. Il rapporto con la realtà, a chi lavora con i mezzi dell’arte, dà allora una possibilità ulteriore.

L’autore che si occupa della realtà ha la responsabilità di uscirne per entrare in dialogo con la stessa, di elaborarla e ricrearla attraverso un gesto creativo. Ci deve essere un tempo di sedimentazione che fa vedere quello che, nell’ immediatezza, non si vede e che lo fa riemergere.

Quindi, entrare nella realtà, per poi ricrearla con i codici chiusi del linguaggio utilizzato e offrire, con umiltà e senso di responsabilità, un punto di vista diverso.

Esercitarla, questa responsabilità, significa usare un linguaggio che trasforma quel contatto con la realtà e richiede un tempo di elaborazione e trasformazione, il che consente di uscire dalla univocità e, allora, occorre darsi del tempo per poter interpretare il reale e farlo con senso di responsabilità, quel tipo di umiltà che ti fa considerare che non tutto è riducibile ad una lettura, per proporre un punto di vista diverso.

E. La visione del testo teatrale “Perché guardare negli occhi dei pazzi” mi consente di riavvolgere il nastro della mia memoria per riferirle un fatto che mi è accaduto 40 anni fa, verso la fine degli anni ‘70.  Dietro quel cancello dell’Opis, l’ospedale psichiatrico di Lecce, che incrociavo tornando a casa, e dove si è svolto adesso il suo spettacolo, si fermava ogni giorno uno dei ricoverati che mi chiamava e mi chiedeva cento lire per le sigarette. “Signor Enrico, signor Enrico!”, mi chiamava. Mi sembra di sentire la sua voce, roca e mite, che usciva contemporaneamente da dietro quel cancello e dai testi di Franco Basaglia che leggevo in quegli anni, definiti di piombo per il terrorismo, nero e rosso, che lo contrassegnava.

 Un ricordo molto forte che ho recuperato vivendo a Trieste, dove ha trovato gambe il pensiero, da psichiatra e da umanista, di Franco Basaglia che ha portato alla legge 180 che ha abolito i manicomi.

Di grande attualità Franco Cassano che, nel suo Pensiero meridiano diceva ” la chiave sta nel ri-guardare i luoghi, nel senso duplice di avere riguardo per loro e di tornare a guardarli”?

Renato Chiocca: l’opera “Perché guardare negli occhi dei pazzi” nasce dalla rilettura dei “Reportage di città” di Vittorio Pagano, poeta che mi ha segnalato Franco Ungaro, invitandomi a scoprirlo. Pubblicati negli anni ’40, nell’immediato dopoguerra, sulla rivista l’Albero ( che richiama la figura eclettica e originale di Girolamo Comi di Lucugnano, ndr). Vittorio Pagano, poeta ermetico salentino, realizza qualcosa di inconsueto per il suo stile, visita e racconta i luoghi degli ultimi e incontra persone nelle case popolari, al cimitero, negli ospedali, nei manicomi. Ma in quegli scritti appianava lo stile lasciando parlare la realtà. I luoghi erano riportati senza giri di parole, senza “ermetismi”. Uno scritto che ho pensato di riprendere per offrire uno sguardo per esplorare Lecce, in una maniera che io non conoscevo (sono di Latina) e che mi consentiva di entrare negli strati della città che il visitatore turistico non incontra, e lo stesso abitante distratto non riconosce.

Da qui nasce l’idea di recuperare gli scritti in prosa, nei quali è come se fossero presenti attivamente i lettori, come fossero presenti in prima persona a dialogare con l’autore. Pagano, con riguardo ai manicomi, raccontava un microcosmo chiuso che però era riproducibile in altri territori. Ecco allora la possibilità di riguardare uno spazio, ripensandolo, mettendo al centro le persone, le voci dei matti come quelli che lei ha incontrato 40 anni fa, dietro a quel cancello. Quella fetta di cittadini che oggi non è più considerata quando, in quel periodo storico e  paradossalmente, lo era di più tanto da tenerla rinchiusa in un ospedale.

E allora non chiudiamo la lingua di Pagano in uno spazio chiuso ma, a cento anni dalla nascita di Basaglia, lo riproponiamo nel vecchio manicomio, grazie alla disponibilità del direttore della ASL Lecce.

Riguardare la realtà attraverso le parole in prosa di un poeta, riguardare un luogo forse può servire per accendere una luce sulla necessità di riconsiderarli, ma con servizi pubblici efficaci, facendoli uscire dagli spazi solo privati di una famiglia.

 Un percorso analogo lo abbiamo seguito con “Processo per stupro”. Abbiamo riflettuto partendo dalla registrazione di un processo, un documento storico di 50 anni fa, reso famoso dalla difesa dell’ avvocatessa Tina Lagostena Bassi, che ha avuto un ruolo nella collocazione del reato di violenza carnale nel novero degli illeciti penali contro la persona e non, come nel codice Rocco, contro la morale.

Un processo che adesso ci aiuta a riflettere sul presente, sulla violenza e sui femminicidi.

E. Viviamo un periodo di decadenza: non ne è forse una conferma di ciò il fatto di riguardare vecchie cose, ritornare su vecchie vicende, non è sintomo di un ripiegamento?

Renato Chiocca: Ritornare a storie di un recente passato aiuta a riattualizzare lo sguardo proprio come scriveva Franco Cassano. Ricorrere a storie aiuta magari a ri-guardare il presente in maniera diversa.

E. Viviamo un tempo in cui tutto è possibile tanto che l’assenza di contenimento produce assenza di senso, quello che diventa possibile quando invece ci sia un limite. Le recenti vicende di cronaca, la ragazza uccisa per strada senza un perché o la strage familiare da parte di un ragazzo di 17 anni che si alza dalla playstation e dichiara di aver ucciso madre, padre e fratellino perchè si sentiva oppresso: c’è un nesso in tutto questo con il clima sociale che stiamo vivendo e fatto da aporie?

Renato Chiocca. Anna Cappelli racconta proprio questa assenza di contenimento, non è un nesso impossibile, certo non frutto di determinismo. Aggiungerei che il tutto è possibile non è realmente alla portata di tutti. Il mondo si è aperto al mondo, ma i più “educati” e acculturati hanno più strumenti. Penso piuttosto che ci vorrebbe un sistema educativo evoluto che, non riducendosi alla sola dimensione istruzione, includa la componente emotiva e affettiva e che favorisca l’acquisizione di molteplici chiavi di lettura del mondo.

Questo disagio parte da lontano, registrato già nel primo ‘900, da Freud, da Joyce, da Picasso tra i tanti. La grande differenza mi sembra che sia data da un fenomeno più recente. Prima, in un certo qual modo, c’era una risposta di tipo collettivo, di comunità, ora la risposta, se c’è. è individuale ed ecco allora l’importanza di disporre di strumenti educativi, culturali e l’importanza dell’esperienza creativa e artistica. Ma i meno abbienti, i poveri, non necessariamente solo quelli privi di risorse materiali, bensì quelli con meno risorse culturali, restano con meno strumenti e più esposti, anche alle sollecitazioni indiscriminate della tecnologia.

E. Quando prepari le tue opere ti rivolgi mentalmente ad un pubblico specifico?

Renato Chiocca: No. Penso che il primo spettatore sia io, e cerco, vissuta un ‘ esperienza, di mettere la stessa in un nuovo linguaggio, in un testo che deve essere aperto e deve stupirmi. E’ quell’esperienza che deve trovare un nuovo linguaggio e che nel processo creativo deve sorprendermi. E se mi sorprendo nel processo creativo, pero che sorprenda anche chi lo guarderà.

E. Le performance di Ultima Generazione che imbrattano con vernici lavabili i monumenti per sensibilizzare sul cambiamento climatico sono performance artistiche?

Renato Chiocca. Quel che è certo è che riguardano i luoghi, e aiutano a guardarli diversamente. E’ un gesto di dissidenza, un’azione anticonvenzionale che crea un altro punto di vista. Mantengo tuttavia un certo scetticismo nei confronti di un’azione che, se univoca, resta un po’ ideologica..

E. Massimo Cacciari, nel suo “Paradiso e naufragio” sostiene che “l’uomo senza qualità” di Musil è un testo attualissimo, parla di noi e del nostro tempo.

Renato Chiocca: Non lo so, non ho letto questo testo di Cacciari. Posso dirti che io resto un umanista,  formatosi sul metodo scientifico. Metodo che ci mette alla prova. Il pensiero tecnico disumanizza, il disorientamento riguarda l’uomo massa che è disincantato e senza qualità perché privo di lenti, di strumenti di lettura del mondo.

Tuttavia, l’altra sera a Castrignano dei Greci, durante la proiezione del Film “Tutto quello che sarà”, ho notato una signora incinta che, mentre guardava il film, dedicato all’ Italia che cerca di reagire alla sua crisi, economica e sociale, rideva, rideva di gusto. Ascoltava le parole delle persone intervistate e sorrideva.

E allora mi sono ricordato quello che mi ha riferito Marika, che ha partecipato come protagonista   al film con ragazzi con la sindrome dello spettro autistico. Una delle persone ritratte in una comunità di inclusione, una ragazza autistica che, alla fine del film, ha iniziato ad aprirsi e a socializzare con una delle attrici.

Si, è vero, c’è un uomo senza qualità diffuso, favorito dalla parcellizzazione, ma c’è anche l’individuo con le sue risorse e con le sue possibilità. Ci aiuta il non essere timidi verso ciò che ci stanca, non arrenderci alla pigrizia, il rifiutare ciò che non ci piace, il setacciare e dividere ciò che è nostro, perché affine, da ciò che non lo è e manca di empatia.

La signora che rideva di cuore mi fa pensare che c’è una sensibilità e una fiducia nei processi sociali che è più forte di quanto viene comunemente narrato.

Enrico Conte


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