Vincenzo Pardini, Vita di Cristo e del suo cane randagio, Vallecchi Editore 2024, pag. 220
Marisa Cecchetti
L’ultimo libro di Vincenzo Pardini, Vita di Cristo e del suo cane randagio, ricostruisce la vita di Gesù con precisione di riferimenti storici e ricchezzadieventi: è un vangelo divenuto romanzo, che trascina ed emoziona portandoci per le vie carovaniere della Galilea, della Giudea e della Samaria, nel deserto, sulle acque del Giordano, sul lago pescoso di Tiberiade, sul monte degli Ulivi e sul Golgota. Niente della narrazione evangelica è sfuggito a Pardini, né della situazione della Palestina al tempo dell’imperatore Tiberio. Quello che caratterizza queste pagine è una particolare attenzione a Cristo come uomo, a cominciare da quando era bambino, poi adolescente a fianco di Giuseppe falegname, quando lavorava con lui, serio, collaborativo; un figlio che ha sempre avuto una intesa di sguardi con la madre, lei che era in ansia per paure non confessate.
Il cane Ebaú, che Pardini gli mette e fianco, è un grosso cane randagio, bianco, che ha abbandonato il branco per seguire un olezzo particolare proveniente dalla capanna, nella notte della natività, quando i pastori si muovono stupiti e i magi arrivano da lontano dietro alla cometa; ha seguito la famiglia nel viaggio in Egitto, sarà con lui fino all’ultimo giorno. Anche se Gesù gli procura da mangiare, il cane rimane un pericolo per le greggi e solleva il risentimento dei pastori, ma Gesù fa pagare i danni da Giuda, il tesoriere. Ebaú si allontana spesso, guidato dal suo istinto animale, ma ricompare inspiegabilmente appena si avvicina un pericolo per Cristo e gli apostoli, si azzuffa e azzanna e allontana cani neri.
Inizialmente non gradito agli apostoli, finisce per essere la loro sicurezza, il “tredicesimo apostolo”. Bello il rapporto di Cristo col cane, quando giocano a riporto di un sasso o di un bastone – il vernocchio -; belli i momenti di vita di Gesù, il suo pranzare in casa di amici, il suo entrare nelle osterie, il suo rifornirsi di cibo e parlare con tutti.
Gesù aveva uno sguardo “che penetra e cattura”, scrive Pardini, attraeva e inquietava e diceva parole che non tutti capivano, neppure i discepoli: “frasi misteriose che la folla ascoltava con apprensione e incanto”.
Il cane ne sente la sofferenza che cresce nei giorni, è come un’entità superiore che gli cammina accanto e lo protegge, umana e sovrumana allo stesso tempo: “Ebaú, seduto alle sue spalle accanto a un albero, lo vedeva circondato da una muta di cani enormi e neri, a pelo raso, contro i quali niente poteva: erano evanescenti. Cristo, dal canto suo, vedeva i sacerdoti del sinedrio affiancati dai demoni, i volti sogghignanti; poi immensa, davanti ai suoi occhi, si parò la visione del mondo, da quella notte fino alla fine”.
Un cane randagio, come lo era Cristo nel suo andare, nei tre anni prima della crocefissione, lui che “viveva in siti di fortuna e di passaggio”, dopo avere lasciato la madre a Nazareth in una notte stellata, con la luna rossa e tonda, sorta a illuminare gli oliveti e le colline.
Proprio per essere uomo, – i vecchi di Nazareth parlavano di lui, che avevano conosciuto bambino nel laboratorio del falegname – le sue parole, i suoi comportamenti insoliti, i suoi miracoli che seguirono quello di Cana, suscitano stupore e ironia, ma anche domande e paure nei sacerdoti del sinedrio, nei giudei, nei farisei; nel prefetto della Giudea, il romano Ponzio Pilato, che, per gli assembramenti crescenti di popolo, teme un piano eversivo; i membri del sinedrio sentono in Cristo una minaccia a loro e alla Torah; i mercanti vedono diminuiti gli affari davanti al tempio: un popolo diviso tra falchi e colombe si interroga sulle parole e le intenzioni di Gesù.
Questo aspetto emerge in modo chiaro nelle pagine di Pardini, dove il dolore cresce fino alla tragedia annunciata e attesa della crocefissione. All’ultima pagina, ancora con l’emozione nella pelle, il lettore non può evitare di porsi domande, di interrogarsi su quale potrebbe essere la reazione della gente e delle autorità, oggi, davanti a una creatura così fuori dell’ordinario, così stupefacente e sconvolgente: Cristo, che parlava con frasi sibilline, ma aveva la poesia nelle parole; che molti credevano uno sciamano o un negromante, ma faceva miracoli e aveva l’autorevolezza di un padre nel ricordare a Tommaso l’importanza di credere senza vedere.
Vincenzo Pardini nasce nel 1950 a Fabbriche di Vallico (Lucca). Inizia a scrivere fin da ragazzo e a venticinque anni spedisce alcuni racconti a Enzo Siciliano, per la rivista Nuovi Argomenti: due di questi saranno pubblicati l’anno seguente. Tra i suoi romanzi e racconti: Rasoio di guerra, Giunti 1995; Lettera a Dio, peQuod 2004; Tra uomini e lupi, peQuod 2005, premio Viareggio Repaci un libro per l’inverno 2006 e finalista premio Volponi lo stesso anno; Il viaggio dell’orsa, Fandango Libri 2011; Il valico dei briganti, Vallecchi 2023. Natalia Ginzburg lo definì “il nostro Maupassant”.