Le tradizioni popolari della festa di San Rocco di Torrepaduli e i simboli della pizzica scherma
di Pierpaolo De Giorgi
Fino agli anni Settanta e Ottanta del Novecento a Torrepaduli di Ruffano, nel cuore del Salento, nella mitica notte di festa tra il 15 e il 16 agosto in onore di San Rocco, è possibile assistere, in uno stile ancora integro, alle tradizioni popolari musicali e coreutiche della pizzica pizzica, la più antica forma di tarantella conosciuta.
È la celebre notte di san Rocco, costellata di luminarie sontuose, mercati vivaci, fuochi d’artificio e cerimonie sacre. Torrepaduli è un piccolo centro, oggi frazione di Ruffano, ma sul suo territorio insiste il santuario di San Rocco, importante centro di culto e meta di pellegrinaggio. Dal punto di vista antropologico, ogni festa prefigura un domani migliore e istituisce già, qui e ora, un mondo positivo, gioioso e partecipato.
A Torrepaduli, come nelle altre feste, ci troviamo di fronte ad una solenne rifondazione annuale e collettiva del senso della vita, in linea con quanto scoperto dallo storico delle religioni Mircea Eliade, nel saggio Il mito dell’eterno ritorno (Rusconi, Milano 1975) per le ricorrenze periodiche in generale. Una simbolica sospensione del tempo, è la festa. Il corso del tempo non più viene visto come lineare ma come un cerchio, tale da consentire inconsciamente ogni anno un nuovo inizio.
E quindi è una grande lotta simbolica di tutta la collettività contro il destino dell’essere umano di dolore e di morte. Uno dei simboli di questa lotta è il cerchio rituale, utilizzato in molte tradizioni con funzioni protettive.
E infatti, a Torrepaduli, sul piazzale antistante il santuario, il 15 agosto, a sera inoltrata, i depositari suonano il tamburello o tamburo a cornice (tamburrieddhu) tutti insieme. “Tamburellisti” anziani, giovani e di altre età si dispongono in cerchi rituali detti ronde, spesso accompagnati da suonatori di armonica a bocca. Vengono cantati versi che inneggiano al tamburello chiamando beato chi lo suona.
Fatte le necessarie analisi e comparazioni, a Torrepaduli le tradizioni popolari salentine svelano un dato primario: il tamburo a cornice, ossia una membrana racchiusa ugualmente in un cerchio, eredità tangibile di riti antichissimi, pulsa come un cuore simboleggiando il ritmo vitale dell’universo.
Questo arcaico strumento a cornice, diffuso in tutta l’Italia centromeridionale, a Torrepaduli mostra il suo chiaro ruolo simbolico e ritmico dominante, quasi immutato da millenni. All’interno delle ronde, al ritmo cardiaco di numerosi tamburrieddhi percossi all’unisono, che creano effetti ritmici di grande suggestione, la pizzica pizzica viene danzata da coppie di uomini e donne o da singoli.
Nei momenti culminanti, la danza assume la particolare forma della pizzica scherma: coppie quasi sempre di uomini danzano mimando un duello rituale, con le mani nude che imitano dei coltelli. Ciascuno dei danzatori della coppia di solito inizia percorrendo la circonferenza ideale di un altro cerchio rituale, interno al primo costituito dai tamburellisti e dalla folla, fronteggiando in senso oppositopolare l’avversario e salutandolo con gesti canonici.
Subito dopo i due combattono simbolicamente danzando, sempre a tempo di pizzica pizzica, e simulando colpi e “affondi” che raggiungono idealmente il corpo dell’avversario, ma in realtà non lo toccano quasi mai. Si tratta di un teatro rituale costituito da numerose finzioni realistiche o verosimiglianze, che danno l’impressione di un vero combattimento.
Le coppie degli schermidori si affrontano, una per ogni ronda, inscenando senza armi questo teatro rituale danzato fatto di azioni e gesti sempre di valore simbolico. Sono gesti e passi di grande eleganza, volteggi, salti, dondolamenti, affondi e colpi mirati al corpo dell’avversario che, non va dimenticato, è anch’esso simbolico.
Nei depositari più anziani è evidente il dondolamento a destra e a sinistra, tipico della pizzica pizzica più antica, eseguito dai danzatori con tutto il corpo mentre percorrono la linea ideale del cerchio, un attimo prima del fugace contatto corpo a corpo della scherma. Non va dimenticato che siamo in un contesto religioso di grande devozione a San Rocco, in onore del quale viene eseguita anche questa danza.
I duellanti rappresentano i due poli dell’Essere, quello negativo e quello positivo, e volta per volta il “perdente” viene sostituito con un altro danzatore. Dopo una selezione di questo tipo, sempre simbolica, che elimina il “perdente” e che coinvolge un numero imprecisato di duellanti, il “vincitore” rappresenta la vittoria del “bene” contro il “male”.
La pizzica scherma è un rito popolare simbolico, guidato dal tamburo a cornice, che dal punto di vista etnomusicologico o etnocoreologico va classificato tra le danze delle spade di tutto il mondo, anche se le armi non ci sono e vengono soltanto imitate. Vi sono danzatori di pizzica scherma molto abili, che rispettano antichi codici e si muovono con grande eleganza e stile.
Il rito da alcuni viene, però, percepito esclusivamente come un duello d’onore, e in effetti può accadere che qualche danzatore, a volte malavitoso, lo consideri uno scontro vero e proprio.
In un passato remoto alcuni contendenti, in casi eccezionali, hanno anche utilizzato veri coltelli e duellato con una reale intenzione di offesa e di supremazia. Ma questo non è il vero significato dell’antico rito. Non si deve mai perdere di vista l’essenziale: il significato sacro e terapeutico di danza contro le forze negative, ossia apotropaico, che non può essere travisato.
Tutto, infatti, accade in un contesto rituale e religioso. Nei riti sacri di questo tipo, le armi, vere o imitate, sono sempre simboli fondamentali di lotta contro le forze negative, e ugualmente simbolici sono i gesti, i passi, le oscillazioni e gli atteggiamenti teatrali dei contendenti.
Si vogliono inconsciamente sconfiggere le forze negative, un tempo immaginate come “spiriti”, e in tal modo aiutare i malati che affollano il santuario in attesa di ottenere la “grazia” da parte di San Rocco. Numerosi malati, infatti, stazionano tutta la notte nei pressi del santuario, anche addossati ai muri, per la cosiddetta incubatio, una pratica rituale di guarigione ancora oggi utilizzata in non pochi luoghi sacri, in maniera non dissimile da ciò che accade nella Grecia classica e in Magna Grecia nei santuari di Asclepio.
La tradizione della pizzica scherma, in definitiva, è una danza sacra apotropaica dettata dall’inconscio collettivo. È simile alla “tarantella armata” della tradizione popolare calabrese, ugualmente danzata a mani nude. Ed è analoga a molte altre danze di questo tipo, con armi di vario genere, che avvengono in Italia e in tutto il mondo, raccontate nel volume La danza delle spade e la tarantella scritto dal grande etnomusicologo comparativista Marius Schneider nel 1948, e da me tradotto in italiano (Argo, Lecce 1999).
I commentatori che non confrontano le consuetudini di Torrepaduli con quelle d’Italia e del resto del mondo non scorgono il ruolo simbolico primario di questa tradizione popolare, che si svolge all’interno di un complesso cerimoniale sacro, e la sua teatrale verosimiglianza. Così riducono il tutto, erroneamente, ad una sorta di duello reale e non ne vedono gli aspetti sacri e rituali.
Ogni anno la pizzica scherma trova il suo entusiastico compimento nelle ore della notte tra il 15 e il 16 agosto, al culmine dell’estate, nel corso delle celebrazioni in onore di San Rocco. Anche la data e l’orario, che va più o meno dalle 23,00 del 15 alle prime luci dell’aurora del 16 agosto, rappresentano il tempo ideale di una rinascita simbolica della vita, sono un capodanno mitico, un nuovo inizio per gli infermi e per tutta la collettività.
La pizzica pizzica, anche in questo caso, non smentisce il suo ruolo terapeutico e di lotta contro il negativo. È una tarantella arcaica, come in Calabria, e più esattamente una poliritmia, o meglio una biritmìa simbolica. La musica delle ronde e della danza scherma, infatti, è la stessa di quella utilizzata come terapia nel fenomeno del tarantismo, la tarantella arcaica denominata pizzica pizzica.
Rispetto alle altre forme di quest’ultima, i colpi vibrati sul tamburo a cornice determinano accenti più scanditi, sincronici con i movimenti dei danzatori, e un ritmo leggermente più lento. La danza eseguita all’interno delle ronde di Torrepaduli appartiene ugualmente allo stesso genere di quella del tarantismo.
E puntualmente nei secoli passati, è di grande interessante notare, i tarantati, ossia coloro che si considerano morsicati e avvelenati dal ragno o serpente sempre simbolico chiamato taranta, eseguono come terapia anche una vera e propria danza delle spade a ritmo di pizzica pizzica, servendosi di armi vere. In tal modo intendono sconfiggere, anch’essi, lo “spirito” taranta o, più esattamente trasformare la sua psiche da negativa in positiva, dal momento che uno “spirito” non può morire.
Ho documentato queste tesi in numerosi volumi, come Tarantismo e rinascita (Argo, Lecce 1999), L’estetica della tarantella (Congedo, Galatina 2004), Il mito del tarantismo (Congedo, Galatina 2008) e La pizzica la taranta e il vino: il pensiero armonico (Congedo, Galatina 2012). Comparare le due forme di danza delle spade è, pertanto, una necessità alla quale non possiamo sottrarci, se vogliamo conoscere in profondità le radici e i significati di queste tradizioni.
Dalla comparazione tra la pizzica scherma eseguita senza armi e la pizzica pizzica dei tarantati eseguita con spade vere, risulta evidente in entrambi i casi il significato simbolico di lotta contro le forze negative, in passato credute “spiriti”. Infine, queste arti collettive antichissime, in primo luogo contadine, che ho potuto osservare direttamente già negli anni Settanta e Ottanta del Novecento, non ancora contaminate dal modo di vivere e dai mezzi di comunicazione di massa contemporanei, sono pienamente coerenti con il significato antropologico, tipico della festa, di rivolta contro il dolore e la morte.
La festa in quanto tale, la pizzica scherma e la pizzica pizzica con spade vere dei tarantati hanno tutte lo stesso valore sacro di combattimento contro il dolore e la morte, in vista di quell’affermazione dell’eternità dell’anima che la collettività percepisce inconsciamente come verità ultima.
Pierpaolo De Giorgi