Emigranti: dalle valigie di cartone ai trolley, viaggio di sola andata dall’America latina in Italia
di Paolo Rausa
La condizione degli stranieri qui da noi, alla periferia della città metropolitana di Milano, non è dissimile da quello che accade nel resto dell’Italia. Ci si arriva con ogni mezzo possibile, a piedi via terra, via mare sui barconi della morte (ne sanno qualcosa i pesci, anche se giustamente Chris Obehi canta: “non siamo pesci dentro il mare, ma siamo umani, sempre…”) e via aria sugli aerei come turisti, formalmente. Che accade quando dopo mille peripezie si arriva sul suolo patrio? Incominciano i problemi. Immagino quando 70 anni fa i nostri padri migravano con le valigie di cartone in direzione della ‘Merica: Stati Uniti, Argentina e Venezuela soprattutto. La vita a volta si rovescia.
E bisogna far fronte alle necessità: corsi di italiano, formazione, regolarizzazione dei permessi, il lavoro, la casa… Dove dormire? A chi rivolgersi? Ai sentito dire: che c’è un corso di italiano, che qualcuno può ospitare i nuovi venuti, un alloggio, una camera, un posto letto. Un albergo, per le urgenze. Ma costa molto e allora dopo qualche giorno, quando si esauriscono i pochi soldi che si sono potuti portare dietro, occorre trovare soluzioni più economiche. Parte il tam tam, ci si ferma davanti al bar dei cinesi e si chiede a tutti se conoscono qualcuno che può ospitarli.
Ai barbieri, visto che notoriamente loro tastano prima di tutti il polso della situazione. Sì, va bene, ora non sappiamo, ma se veniamo a sapere ti telefoniamo. I primi a essere chiamati sono gli stranieri che piano piano hanno sistemato la loro condizione con una casa in affitto regolare o con l’acquisto, caso raro, di un piccolo appartamento. Avete disponibilità di ospitare una mamma e due ragazzi del Venezuela? Sono per strada. No, mi dispiace. Per qualche giorno, ma poi devono uscire… Niente da fare! Le associazioni umanitarie: la Caritas. Sicuramente avrà qualche disponibilità, invece niente. Allora il Comune di residenza dei figli, che intanto hanno litigato con il padre. Uno è minore, l’altro ha appena iniziato il lavoro di magazziniere in una azienda che raggiunge in bici. Più di 20 km di andata e ritorno. Il piccolo ha tentato di frequentare l’Istituto tecnico ma l’ha trovato difficile e ha ripiegato su un corso di idraulico di Afol metropolitana. E’ scappato di casa e non vuole ritornare, perché non va d’accordo con il padre. La madre è appena arrivata dal Venezuela.
E’ dovuta fuggire perché perseguitata politica e si sta muovendo per ottenere il riconoscimento di rifugiata umanitaria. Nel frattempo è per strada o quasi. Hanno trovato per tre notti una camera in comune a San Giuliano, zona centro, per 40 euro a notte, sorvegliati da un mastino che ringhia continuamente e impedisce di riposare. I servizi sociali del Comune di Melegnano non intervengono se non a fronte di una denuncia ai Carabinieri per chiamare ai suoi doveri il padre, ma i figli non vogliono averci a che fare e temono che, stante le condizioni precarie del padre, il minore possa essere rinchiuso in una struttura semi detentiva. Intanto attendono, che qualcuno fra quelli interpellati si faccia vivo e che l’agente immobiliare riesca a trovare una soluzione provvisoria. Ma al momento non ha disponibilità né di alloggi né di camere. Sono in attesa di un miracolo di fede, di speranza e di carità. Si può vivere così?