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“Si consegna questo figlio”. L’assistenza all’infanzia e alla maternità dalla Ca’ Granda alla Provincia di Milano 1456-1920 a cura di Maria Canella, Luisa Dodi, Flores Reggiani

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di Paolo Rausa

Una grande impresa di solidarietà sociale verso l’infanzia derelitta e la maternità sconvolta dalle condizioni di miseria o dalle difficoltà della vita che hanno coinvolto figli indesiderati o nati in situazioni precarie, economiche e sentimentali. Un lungo excursus è contenuto in questo maxi libro fotografico illustrato, edito dalla Provincia di Milano nel 2008, quando l’Istituzione assolveva a molti compiti che ora sono dispersi e devoluti verso il basso, ai Comuni, e verso l’alto alla Regione. Il volume “continua l’opera di valorizzazione del patrimonio storico e culturale della Provincia di Milano”, esordisce il suo presidente, il compianto Filippo Penati, nella Introduzione. Dopo aver letto queste pagine e osservato gli oggetti della pietas famigliare che accompagnavano gli esposti o trovatelli, mai bastardi, ci si commuove di fronte al quadro che è venuto via via configurandosi: un’immensa opera di solidarietà e di assistenza, dovuta in parte ai pregiudizi, per lo più ai bisogni delle classi più umili. Anche se neppure i ricchi disdegnavano di ricorrere ai servigi offerti dalla Ca’ Grande, che aggregò nel 1456 i ricoveri milanesi e i loro patrimoni.

Non era scontato nel passato il riconoscimento del diritto di madre, non era facile essere considerate giuridicamente madri. Il “baliatico” era considerato un affare tra uomini, giacché le mogli non allattavano per perpetuare la discendenza e per non compromettere la loro bellezza. Lo illustra Daniela Lombardi nel riquadro storico che anticipa la descrizione dell’evoluzione milanese da prima della Ca’ Granda alla Pia Casa di Santa Caterina alla ruota, nome che passò dallo strumento di martirio della santa ad indicare l’operazione anonima di affido. Fu grazie al dibattito illuministico favorito da Jean-Jacques Rousseau con il suo “Emile ou De l’èducation” che si pose nel 1762 la questione della libera educazione al centro della nuova concezione sociale e poi di Pietro Verri che favorì le nuove idee, andando oltre la tradizione e introducendo metodi alternativi nella cura e nella educazione dei bambini. Quando i figli si facevano a “occhi chiusi”, per ragioni dipendenti dalla volontà di Dio.

Fu il nuovo codice di famiglia a riconoscere nel 1975 la piena eguaglianza giuridica tra i coniugi e la loro comune responsabilità nella educazione dei figli. L’esposizione, cioè l’abbandono di un bambino in luogo pubblico, è pratica antichissima, diffusa già nel mondo ebraico, greco, romano e poi cristiano. Flores Reggiani illustra la famiglia dell’Ospedale nei secoli. Solo a partire dal XV secolo arrivarono a diffondersi grandi istituti specializzati per il ricovero degli esposti. Da quel momento l’assistenza ai trovatelli e alle partorienti del territorio milanese si legò fino al 1866 alle sorti istituzionali e finanziarie dell’Ospedale Maggiore che era destinato a diventare il proprietario del più cospicuo patrimonio lombardo. I bambini erano allattati dalle balie di campagna e affidati agli “allevatori” come mano d’opera suppletiva per i lavori in campagna. Non sempre le prospettive di questi bambini erano tenute in considerazione sia per le mediocri condizioni igieniche e sia per la scarsa alimentazione oppure per le insidie alle bambine in pericolo continuo di essere “sedotte”.

Nel ventennio fra il 1760 e il 1780, i bambini accolti furono 14.417. Emergevano dati allarmanti non solo sui bilanci ma anche sulle condizioni igienico-sanitarie dei locali. Le stanze erano sovraffollate al punto che si tenevano alcuni bambini “per terra sotto i letti”, le donne dovevano allattare “tre e fino a quattro infanti”. Inoltre per la mancanza di alimenti o morivano o soggiacevano a diversi mali fra cui la rachitide. Nel 1771 il tasso di mortalità era del 43%. Si era reso necessario costruire un edificio più salubre. Venne individuato il monastero di Santa Caterina alla ruota, situato lungo i navigli, di fronte all’Ospedale Maggiore. I parti assistiti che prima del 1760 erano un centinaio, erano già raddoppiati nel 1801, triplicati alla metà del secolo, e cresciuti oltre le 500 unità nei primi anni sessanta dell’Ottocento. Nel XIX secolo il numero di ingressi annuali aveva già superato le 1700 unità nel 1974, continuò ad aumentare negli anni di crisi e con il 1817 gli arrivi furono 2835 subendo un’accelerazione senza precedenti dagli anni quaranta: le nuove accettazioni superarono le 3000 unità (3087 nel 1844) e arrivarono a più di 4000 nel 1854 per toccare il massimo con 5876 bambini accolti nel corso di un solo anno. Fra il 1781 e il 1868 la Pia Casa assistette più di 220.000 minori, la maggioranza dei quali erano figli di coppie regolarmente sposate.

“Mani sempre pronte per ricevere, occhi sempre chiusi per non vedere”: l’insofferenza verso questa forma di beneficenza divenne grave quando la mortalità nel brefotrofio raggiunse cifre drammatiche: il 64,6% nel 1776, mentre nel 1842 falcidiava l’80% dei casi nel primo anno di vita. Nel 1865, anno del maggior numero di ingressi, morirono più di due terzi dei nuovi accolti. Scrofola, rachitismo, affezioni cutanee tipo scabbia e tigna erano all’ordine del giorno. Non mancavano né violenze, né abusi sessuali. Questa situazione di emergenza sociale allarmò noti filantropi milanesi, Giuseppe Sacchi, Laura Solera Mantegazza, Giuseppe Castiglioni e Mosé Rizzi, che si adoperarono per l’apertura di ricoveri per bambini lattanti destinati ai figli delle madri lavoratrici. Così venne fondato il Pio Istituto di maternità. La Provincia di Milano con una delibera nel 1866 si fece completamente carico del ricovero a Santa Caterina.

Le donne erano accolte gratuitamente al settimo mese di gravidanza, purché residenti nell’area milanese. La chiusura della ruota determinò una rapida diminuizione degli ingressi: nel decennio 1870-1879 la media annuale fu di 2051 ammissioni, rispetto ai 5072 del decennio precedente. Intanto la legislazione nazionale in materia definiva le finalità dei sostegni economici che non dovevano più rappresentare “un ingiusto trattamento di favore” per le “peccatrici abitudinarie”, ma un modo di redenzione per le “figlie madri”. Dal 1900 al 1919 la percentuale delle madri nubili sussidiate sul totale delle assistite aumentò dal 13% al 50%, mentre la quota dei bambini assistiti riconosciuti dalla madre e – molto raramente dal padre – o da entrambi i genitori passò dal 39% al 77%. Nel 1900 la percentuale dei “figli d’ignoti genitori” fra i nati a Milano presentati all’ospizio era ancora pari al 37%. Ma nel 1921 non arrivava al 10%. Finalmente si ebbe una riduzione della mortalità infantile. Il 27 dicembre 1911 fu inaugurato il complesso di via Piceno, che costituiva una soluzione edilizia d’avanguardia. La Provincia continuò a svolgere le proprie funzioni in forme diverse fino al 2005, anno in cui l’assistenza ai minori divenne di competenza comunale. A testimonianza di questa significativa, enorme attività di “affido” e assistenziale restano i corredi espositivi, dei segni di individuazione dell’infante e di buon auspicio per il suo futuro, messo sotto la protezione divina o in qualche modo depositario di un segreto, anzi mezzo perché l’altra metà era custodita dai genitori, rappresentato da immagini, reliquie, crocifissi, rosari, medaglie devozionali. Oppure oggetti di natura profana come monete, anelli, stampe, bandiere e tarocchi.

E inoltre “oggetti linguistici”: pagine ritagliate da libri, da riviste, resoconti pubblici, atti notarili, volantini pubblicitari o propagandistici, ricevute dal gioco del lotto, ritagli di carta bianca, colorata o decorata; nastri e pezzi di stoffa, frammenti di legno, di cuoio o di metallo, più raramente monili e oggetti d’uso quotidiano, talora provvisti di un valore evocativo secondario, come le chiavi. Segnali di esposizione (sn) e contro segnali (ds): sacro cuore di Maria, Francesco I, Giuseppe Garibaldi, ritratto di bambino a matita su carta, ritratto femminile a matita su pergamena. Questo materiale è pubblicato a corredo del libro ed è conservato nell’Archivio IPPAI. Innovazione importante produsse la circolare del Regio Imperiale Governo del Lombardo-Veneto, in data 29 novembre 1825, perché impose la diversificazione del cognome e tolse l’omogeneità nell’uso di Colombo, scelto in omaggio alla fondatrice del primo istituto di accoglienza.

Una chiave, mezza immagine, carte da gioco, un ritratto, monete, medaglie, e gli altri oggetti che accompagnavano l’esposto servivano per il riconoscimento nel caso di riaccoglimento dell’esposto. Le adozioni e le esposizioni non sono finite lì ma continuano a svolgersi con modalità diverse da Enti e Associazioni riconosciute, come l’Ai.Bi. di San Giuliano Milanese.  L’Associazione Amici dei Bambini si occupa di adozioni a distanza da 70 anni, in oltre 130 Paesi nel mondo, dove vengono accolti più di 80.000 bambini. Chiunque può contribuire a far crescere un bambino in una nuova famiglia che ogni giorno si prende cura di lui e lo accompagna fino a diventare grande e indipendente. Una famiglia alla quale partecipa per sempre anche il donatore. Info: tel. 02 988221, www.sositalia.it . Skira editore Milano, Provincia di Milano, 2008, pp. 223. Il libro verrà presentato allo Spazio Cultura del Comune di San Giuliano Milanese l’11 maggio 2024 alle ore 17,00.


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