“Il santo eremita” un racconto di Vincenzo Fiaschitello
Al tempo di re Federico II era venuto a far penitenza in un luogo solitario della Sicilia un umile fraticello che in pochi giorni era riuscito a crearsi una grande fama di santo e di taumaturgo.
La gente accorreva da ogni parte per poterlo vedere anche da lontano mentre se ne stava in preghiera tra le rocce.
Molti dicevano di essere guariti da mali di ogni sorta o di aver ritrovato la via della fede. Il fraticello, insomma, aveva conquistato i cuori della gente, che era ben felice di ospitarlo in quella contrada.
Una cesta di vivande veniva lasciata tutti i giorni vicino a una grotta, dove egli si rifugiava durante la notte. Grande era lo stupore dei pastori e dei contadini, quando quasi sempre trovavano la cesta così come l’avevano lasciata o vedevano che mancava solo un po’ di pane, una fetta di formaggio, un po’ di acqua.
Nonostante i digiuni e le penitenze, il frate sembrava mantenere tutto il suo vigore giovanile e la sua agilità. Lo si vedeva arrampicare su per le rocce, dove non sarebbero arrivate neppure le capre, in cerca di bacche, di qualche ficodindia o di una carruba rinsecchita.
D’estate, quel luogo invogliava ancora di più ad amare la natura e a meditare.
La ginestra fiorita era sparsa dappertutto, da ogni roccia verdi pendevano i lunghi rami selvatici dei capperi, le agavi come sciabole si alzavano verso l’azzurro cielo in ogni direzione e le drupe globose neroviolacee del sambuco erano sparpagliate lungo i pendii.
Qualcuno, però, in paese faceva pensieri poco riverenti, addirittura maliziosi, nei confronti del frate venuto da lontano. Andava dicendo che, sì, sembrava essere veramente un sant’uomo, ma comunque “sempre uomo era”, intendendo sostenere che, posto dinanzi a una bella tentazione, sicuramente non avrebbe resistito.
Vi era soprattutto un giovane ricco e di buona famiglia, dai capelli nerissimi e ricci, che con gli amici spesso si trovava ad affrontare questi discorsi.
Un giorno gli venne un’idea e subito desiderò manifestarla ai suoi amici per ricevere approvazione. Tra le donne che frequentava ve ne era una particolarmente bella e fresca, molto formosa, che con qualche regalo in più del solito si sarebbe certo prestata volentieri.
Non si sbagliava.
La donna, che pur così giovane come la Pippa di cui narra l’Aretino nei suoi Ragionamenti, aveva presto fatto tesoro degli insegnamenti ricevuti, si mostrò entusiasta dei preziosi regali che le si promettevano.
Così, in una calda notte estiva, passata da poco la mezzanotte, cinque giovani e una ragazza si mossero dal paese. L’aria fresca della notte era finalmente una benedizione, dopo la terribile calura del lungo giorno estivo e stimolava ancora di più all’allegria.
La strada era lunga e per alcuni tratti si inerpicava sulla collina. Ogni tanto si fermavano per riposarsi, per bere un po’ di vino e per dare le ultime raccomandazioni alla donna, che con un grazioso sorriso, diceva sempre: “Lasciate fare a me, so io come comportarmi. Vedrete, vedrete!”
Quando giunsero sul posto apparivano nel cielo verso oriente i primi timidi segni dell’aurora. Bisognava, comunque, far presto perché era noto che il fraticello si svegliava prima del sorgere del sole.
Vestita soltanto di un candido velo trasparente, la donna faceva intravedere tutta la sua stupenda bellezza, piano piano percorse quei pochi metri che la separavano dall’ingresso della grotta, dove dormiva l’eremita e andò a mettersi in un angolo, appoggiandosi lievemente alla roccia.
Poco distante i cinque giovani si disposero ad aspettare scambiandosi occhiate e risate di compiacimento per la gustosa avventura che andavano assaporando.
Non passarono che pochi minuti e il frate si svegliò. Con grande sorpresa della donna, si guardò intorno senza dare alcun segno di meraviglia per la sua presenza e subito dopo piegò le ginocchia per la preghiera. Allora la donna si fece coraggio, gli si pose accanto, e dopo aver fatto scivolare a terra il velo, cominciò ad accarezzarlo. Il frate lasciava fare, guardandola con occhi che rivelavano una profonda serenità. La donna, diventata più audace, ora gli prendeva la mano e la guidava sul suo morbido corpo.
Intanto fuori i giovani erano impazienti. Sapevano che tutto stava andando secondo i loro piani: la donna era con il frate già da un bel pezzo e si immaginavano la voluttà di quell’incontro.
Mentre sghignazzavano, si sentì all’improvviso un urlo che echeggiò cupo e terribile tra le rocce, poi si vide la donna uscire nuda correndo come impazzita e gridando: -Mischinamia, mischinamia!-
Un terrore si impadronì dei giovani, che senza riflettere fuggirono precipitosamente.
Quella mattina, il vescovo si era alzato di cattivo umore. L’abbondante cena della sera precedente non aveva certo arrecato beneficio al suo fegato già molto provato:
-Ma insomma –ribatteva al suo segretario che cercava di aiutarlo a infilare i bottoni della lunga veste nelle ultime asole ribelli – questo frate ha compiuto un miracolo o si è vendicato di una prostituta che voleva indurlo in tentazione? E’ un santo o un demonio?-
-Eccellenza -rispondeva dimesso il segretario- è proprio questo che Ella deve stabilire. Il baiulo e i magistrati aspettano il suo autorevole parere per condannarlo o assolverlo!-
E nel dire queste parole aveva più volte girato su se stesso per seguire i movimenti bruschi del vescovo, irritato e confuso.
Finalmente il vescovo fece la sua apparizione nella piccola sala delle udienze. Al suo ingresso tutti si levarono in piedi.
In un angolo, seminascosto da una tenda, il fraticello attendeva umilmente di essere interrogato.
A un cenno del vescovo fu introdotta una donna anziana che, gettatasi ai suoi piedi, cominciò subito a tessere le lodi della sua figliola. Tante erano le sue virtù e tutte eccellenti, che non sapeva a quale di queste dare il primato. Non faceva male a nessuno, anzi a tutti dava buoni consigli, li rasserenava, li teneva allegri, faceva amare loro la vita. Mai nessuno si era potuto lamentare di lei, tutti la cercavano, la adoravano e la colmavano di doni. Quel frate, invece, l’aveva punita, anzi le aveva distrutto ogni possibilità di guadagnarsi da vivere. Eppure anche a lui, quel giorno, la sua figliola aveva voluto alleviare la pena della solitudine e portare un po’ di gioia.
Il vescovo non l’ascoltava più. Ordinò al frate di avvicinarsi. Questi con il capo chino si tirò fuori dall’ombra e si pose in ginocchio con le braccia incrociate sul petto.
Il vescovo lo invitò a discolparsi.
Fu così che il frate narrò ciò che gli era occorso il giorno prima.
La giovane sorella che era venuta a trovarlo, seduta accanto a lui, aveva iniziato una dolce preghiera: le sue mani lodavano il Signore, toccandogli ogni parte del corpo.
-Le mie mani -continuò il frate- guidate dalle sue, celebrando la bellezza dei suoi soli, della sua bocca, salendo i lievi pendii di dolci colline, scendendo su un’ampia pianura, giunsero a toccare con orrore una piaga.
Alzai gli occhi al cielo -disse serafico il frate- e la guarii!
Vincenzo Fiaschitello
Nato a Scicli nel1940. Laurea in Materie Letterarie presso l’Università di Roma (1966) e Abilitazione all’insegnamento di Filosofia e Storia nei licei classici e scientifici; pedagogia, filosofia e psicologia negli istituti magistrali (1966). Docente di ruolo di Filosofia e Storia nei licei statali e Incaricato alle esercitazioni presso la cattedra di Storia della Scuola alla Facoltà di Magistero Università di Roma. Direttore didattico dal 1974, preside e dirigente scolastico fino al 2006. Docente nei Corsi Biennali post-universitari. Membro di commissioni in concorsi indetti dal Ministero P.I.
E’ autore di vari saggi sulla scuola, di opere di poesia e di narrativa.
Attualmente è redattore della Rivista culturale telematica “Il Pensiero Mediterraneo” (Redazione di Roma).
Vincitore della XXXIX edizione (2023) del Premio dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli e della rivista internazionale “Nuove Lettere” per la raccolta edita di racconti “Ginevra, racconti storici e non”, Avola, Libreria Editrice, Urso, 2021.
Il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, su proposta della Presidenza del Consiglio dei Ministri, lo ha insignito della onorificenza di Commendatore Ordine al merito della Repubblica Italiana (1997).