“LA MUSICA NELL’INFERNO DELLA RAGIONE” – Testimonianze, documenti ed articoli sulla Shoah – di Giovanni Teresi
La musica nella sua pretesa di essere armonia del mondo si trasforma nel suo contrario: diventa contraddizione, complessità, disarmonia nel cuore di un’epoca. E, ultimo paradosso, si trova invischiata, come strumento, nell’inferno dei lager. Anzi, diventa parte integrante della loro organizzazione.
In alcuni lager, per mancanza di strumenti, è il canto che descrive la disperazione e la speranza: dalle ninnenanne dell’infanzia alle canzoni da cabaret agli inni religiosi; tradizione yiddish, zigana o canti operai, ma anche, secondo l’atroce costume nazista, canzoni ingiuriose e auto derisorie (Oh mia Buchenwald; Ninnananna per il mio bambino nel crematorio; Il canto di morte ebraico).
In altri, grazie a strumenti recuperati e riparati, si formano delle vere e proprie orchestre, la cui esistenza è accertata in almeno ventuno campi importanti (tra cui Auschwitz I, Auschwitz II / Birkenau), Dachau, Mauthausen, Sachsenhausen) e la cui funzione è tra le più varie: scortare i lavoratori a ritmo di marcia, rallegrare l’intervallo della domenica pomeriggio, festeggiare il compleanno dei comandanti del campo. La musica nei campi, prima che esperienza spirituale, rientra nella lotta per la sopravvivenza. Così molti orchestrali sperano di evitare di far parte del successivo contingente di condannati a morte.
Le musiche nate in questi luoghi, siano esse marcette per accompagnare i condannati a morte o capolavori della musica contemporanea (come le composizioni di Ullmann o il Quatuor pour la fin du Temps di Olivier Messiaen, scritto durante la prigionia nel lager di Görlitz) hanno scandito l’esperienza quotidiana dei prigionieri e ci spiegano la realtà meglio di qualsiasi pagina di un libro di storia. Composte dai protagonisti, raccontano l’incomprensibile, l’inesplicabile.
A Terezin si comporrà il maggior numero di opere di musica concentrazionaria, grazie anche alla cospicua presenza di artisti e alla disponibilità di strumenti musicali. La produzione in questo campo, sotto il controllo di osservatori internazionali, era permessa ma anche negli altri campi di concentramento c’erano orchestre dappertutto. Le orchestre venivano utilizzate dalle SS per intrattenere le loro feste, le famiglie e tenere l’ordine nei campi: per suonare l’appello, per l’arrivo dei deportati coi treni, o per accompagnare i detenuti nelle camere a gas.
Il grande compositore Webern viene ucciso in guerra, e bisogna ricordare come, durante la dittatura feroce del nazismo, molti compositori ebrei (come Schoenberg) e coloro che si opponevano al regime totalitario (Weill, Dessau, K?enek, Hindemith e altri) dovettero emigrare negli Stati Uniti. Nel maggio del 1938 viene allestita la mostra Entartete Kunst (Arte degenerata), poco dopo i responsabili del regime nazista inaugurano a Dusseldorf una mostra sulla musica, la quale, se non esprime la retorica del regime, viene chiamata “musica degenerata” (Entartete Musik): viene proibito il Jazz, la musica dei compositori ebrei e tutta quella non tonale. Il nazismo fa un uso aberrante anche della musica tradizionale: l’entrata in guerra viene annunciata da Hitler con il Preludio de I Maestri cantori di Norimberga di Wagner, e il mito della razza ariana venne sostenuto anche con la musica delle tre “B”: Bach, Beethoven e Brahms.
Francesco Lotoro, un musicologo e pianista di Barletta convertitosi all’ebraismo, che ha dedicato trent’anni di vita a recuperare testi e spartiti musicali dei campi di concentramento. Un immenso patrimonio che doveva essere salvaguardato e che rischiava di estinguersi.
Il materiale proviene o dalla consegna diretta del sopravvissuto o per ricerca personale in centri di documentazione, musei e biblioteche, antiquari librari passati in rassegna in ogni parte del mondo. “La musica arriva in maniera non convenzionale; può essere tramandata a memoria, e ci sono cassette, videocassette, interviste degli anni ‘50 ‘60 ‘70. E poi opere scritte su sacchi di juta, ritagli di stoffa, carta igienica, e su qualsiasi altro supporto di fortuna, ritrovati nelle infermerie e nelle baracche dei campi, nascoste e seppellite. Alcuni riuscivano a mandarle fuori con la complicità di guardie che amavano la musica o con le trascrizioni dei prigionieri politici”
Furono ritrovati nelle infermerie e nelle baracche dei campi e riportati alla luce grazie ai trafugamenti di guardie complici e alle trascrizioni dei prigionieri politici, oppure ricostruiti da Francesco Lotoro attraverso le memorie dei sopravvissuti.
La musica è tutto ciò che ai deportati restava, e spesso tutto ciò che ci resta di loro.