Un mondo di vinti e di sfide perdute
di Eliano Bellanova
Dal 1835 al 1837 (ma le avvisaglie si erano avute fin dal 1834) Genova è toccata pesantemente dall’infezione colerica.
Molti abitanti guadagnano le campagne, mutano le abitudini alimentari, riscoprono il valore delle grandi distese di terra.
Giacomo Mazzini, padre del celebre filosofo del Risorgimento Giuseppe, decide di restare in città per prestare soccorso ai malati, con un costante impegno professionale e umano che oggi si è in parte riscoperto con l’impegno profuso nei reparti Covid-19 da parte del personale sanitario e dei virologi.
Il web invece si è profuso in una campagna di impegno informativo, impossibile nella prima metà dell’Ottocento, allorquando la stampa, volenti o nolenti, era di élite e non di massa e, tuttavia, molto più colta.
All’epoca in cui operava Giacomo Mazzini i mezzi sanitari erano molto differenti da quelli odierni e il fattore sociale e umano prevaleva sulla professionalità, peraltro non sottovalutabile.
Attualmente la qualità professionale, in ordine all’infezione da coronavirus, ha prevalso sul fattore umano. La nostra è un’epoca definita evoluta e avanzata, che, nel mentre fa a meno dei valori umani, non prescinde da quelli professionali.
Un’analogia, però, è innegabile nei due eventi: l’impreparazione socio-sanitaria (nei primi tempi delle due infezioni) e l’inadeguatezza di molte strutture nazionali, coinvolte in incresciosi quanto infruttuosi dialoghi sfociati in polemiche fra le Regioni reclamanti una sempre più ampia autonomia e uno Stato “richiamante” all’ordine e alla “centralità”.
Genova nell’Ottocento era sabauda, ma conservava ancora lo spirito repubblicano marinaro indipendente che l’aveva resa gloriosa in una competizione economico-commerciale nello scacchiere mediterraneo, entrando in rotta di collisione con le altre Repubbliche Marinare (soprattutto Venezia) e con le potenze che volevano imporre la loro supremazia (Impero Ottomano, Spagna, Francia e altri Stati “minori”).
Non è infatti un caso che Giuseppe Mazzini, repubblicano per eccellenza, si formi in una città rivierasca che era stata uno dei simboli del progresso socio-economico dell’epoca.
Genova – la città costituita da tanti quartieri, estesa sulla costa da levante a ponente, esposta ai venti e alle intemperie e alle ire di Nettuno, in cui i ragazzi si rincorrevano negli anfratti portuali presenti un po’ in tutte le città di mare – era l’emblema della libertà e dell’indipendenza. E se in Corsica Pasquale Paoli era stato un precursore del Risorgimento, Giuseppe Mazzini è il mentore di un futuro che sarebbe venuto, in dimensioni difformi dall’originale, con l’unità d’Italia monarchica, la successiva Repubblica e la discussa Unione Europea.
Dalla Giovine Italia alla Giovine Europa… un vortice da capogiro, che, nel volgere di un secolo, avrebbe mutato il mondo per sempre… mentre i moschettieri del cambiamento, socialismo, liberalismo, romanticismo e autodeterminazione dei popoli, avrebbero gettato le basi per una sempre maggiore destabilizzazione degli Stati tradizionali promuovendo l’affermazione dei popoli, delle società private e della singola persona, generando anche il frutto maligno dell’individualismo esasperato e intollerante, di cui la nostra epoca è testimone.
L’Italia della prima metà dell’Ottocento è una nazione divisa in “regnicoli”, signorie e principati, il cui intreccio è più complesso della glia cerebrale e dei neuroni stessi. Tuttavia gli stimoli all’unità sono veloci come nel sistema nervoso degli esseri viventi e corrono da Nord a Sud in varie fogge e dimensioni, ma con un intento unico, ovvero trasformare i frammenti della penisola in una massa compatta.
L’Italia attuale è, invece, una nazione teoricamente unita, con ai vertici una Presidenza della Repubblica e una Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché una rappresentanza parlamentare molto nutrita, ancorché frazionata in movimenti, partiti politici e fazioni che non rendono onore a una vera democrazia e a una nazione avanzata e civile.
Ne è prova che una nazione che ha avuto un percorso analogo all’Italia, ovvero la Germania, ha trovato nell’unità nazionale lo stimolo alla “brevità”. Infatti laddove i supremi organi dello Stato italiano emanano disposizioni in oltre cento cartelle, lo Stato tedesco “se la cava” con poco più di una decina, pur tuttavia essenziali e traducibili in realtà.
La Germania dalla divisione dovuta all’ingerenza asburgica e ai principati, ha tratto stimolo per un’unità nazionale, sia pure percorsa dalla responsabilità, parziale o totale, di due terrificanti conflitti.
L’Italia, a onta dell’unità nazionale, si è prodotta in frammentazioni, bizantinismi, inutili discussioni, vaniloqui, polemiche assurde e incredibili, leggi e decreti antitetici, trasferendo tutte le contraddizioni nei decreti anti-covid e nei decreti per la ripresa economica. Contraddizioni in termini, che solo un cieco potrebbe negare, a meno che non si sia amanti della politica ad occhi chiusi…
I giornalisti delle testate nazionali hanno spesso trovato “conveniente” recitare la parte degli “addetti ai lavori”, sicché il lettore non ha trovato in loro che le bizzose e indisponenti idee dei politici di ogni ordine e grado. Non indipendenza di idee e opinioni, dunque, ma totale asservimento alla classe politica, sia essa di Governo, sia essa di opposizione…
Consegue che il lettore, mentre si è nutrito di parole nuove, “adeguate” alla crisi in atto, di locuzioni “incantevoli”, non ha per niente spostato il suo tenore “informativo” e “culturale”. La “cosa” si è maggiormente affermata allorquando i magnati nazionali dell’informazione hanno raccomandato di leggere e prestare fede “soltanto” a “Editori responsabili”, perché l’informazione è “una cosa seria e va affidata a Editori seri”.
L’istruzione “per l’uso” è arrivata a segno, tant’è che tutte le idee di conio opposto sono state contrassegnate dalla “sigla” “fake”, ond’è che tanti personaggi, prima di aver letto, hanno contrassegnato come “fake” ciò che avrebbe richiesto molta maggiore attenzione. Almeno in onore al detto giuridico antico “non giudicare né per senno né per carte, se non hai sentito l’una e l’altra parte”.
In sostanza il coronavirus ha partorito una generazione a-critica, passiva, inadatta al ragionamento, “indotta” a un “pensiero”, “inabile” alla dimensione dell’informazione.
Si obietterà che la diversità di pensiero (anche a livello virologico) sarebbe potuta essere causa di divisioni nazionali, ma non è così, poiché il contributo di tutti, pur percorrendo vie diverse, consente di coronare lo scopo dell’obiettivo comune. Altrimenti dovremmo ignorare che nelle comunità e istituti per anziani abbiano avuto luogo le maggiori infezioni di covid-19.
Alle persone ricoverate si era raccomandato certamente di restare in quei luoghi, ma è evidente che ciò non sarebbe stato proficuo per la loro salute, bensì per ridurre la diffusione del virus. In quelle “istituzioni”, lautamente sovvenzionate dal sistema sanitario, si è avuta una catastrofe sanitaria, in un’indifferenza totale e assoluta delle istituzioni e del Governo in carica.
Inoltre solo dopo aver constatato la quasi inutilità delle mascherina e la dannosità dei guanti “si sta correndo ai ripari”, fornendo l’ennesima dimostrazione della contraddittorietà assurda della classe politica al potere, non tacendo di un’opposizione debole e poco “indipendente”, invocando a soccorso il contenimento della diffusione, mentre è palese che il virus soggiaccia alla legge di natura: nascita, crescita, declino e morte.
La “cosa” si estende al lato economico. In due mesi la nazione è stata distrutta per il 50%, mentre il 30% delle imprese rischia la chiusura e il 20% dovrà sopportare immani sacrifici semplicemente per sopravvivere.
Il giornalista straniero che raccomanda in TV di “prendere tutto”, “tutto ciò che l’Europa mette a disposizione”, dimentica che quel “tutto” corrisponde esattamente al “niente”, almeno finché un Governo efficiente non sappia tradurre in realtà i vocaboli roboanti e indisponenti, tipo “potenza di fuoco”.
Nel 1938 Benito Mussolini aveva sotto si sé una nazione più solida di quella odierna. Con il Convegno di Monaco aveva raggiunto una popolarità internazionale notevolissima, fino a meritare la stima dei vertici britannici (Chamberlain e Churchill), ponendo “riparo” alla Guerra d’Etiopia, che lo aveva isolato dal contesto mondiale.
Eppure pochi anni dopo Winston Churchill in persona sostenne: “Mussolini è un pazzo criminale, che tiene in subbuglio il mondo impugnando una pistola scarica”. Certo… perché i proclami di Mussolini si erano rivelati inverosimili e solo la Marina aveva una dimensione bellica credibile. E, tuttavia, discutiamo di uno Stato molto più solido (sebbene dittatoriale) di quello attuale.
I danni prodotti dalla guerra mondiale, a cui l’Italia fascista partecipò nel momento in cui le Armate tedesche sembravano prevalere, sono noti a tutti e tutti nel dopoguerra ebbero contezza che si dovesse ripartire con uomini nuovi.
Il Governo in carica, con la sua dissennata politica economica, con movimenti politici tipo i Cinque Stelle che hanno raccolto i rottami comunisti, i delusi della Sinistra e le frange populiste della Destra; con un PD sempre pronto a compromessi e alleanze di ogni genere, non sembra dimensionato per “rimediare” e men che meno per “ripartire”.
Se non comprendiamo subito, potremo assistere a una catastrofe nazionale di incalcolabili proporzioni, a cui davvero non potrà porre rimedio il postumo ravvedimento… con l’esito di un mondo di vinti e di sfide perdute…