La fine dell’Euroasia. Quali possibili scenari per l’Europa e il Mediterraneo?
di Raffaele Spada
La guerra in Ucraina ha provocato una frattura tra il continente europeo e quello asiatico. I legami che si erano costruiti dopo la caduta del muro di Berlino sono ridotti al minimo. Il supporto del blocco occidentale, con l’invio di armi a Kiev, ha comportato arsenali vuoti per molti Paesi europei e della Nato, che oggi sono chiamati ad uno sforzo economico per portare le spese per la difesa al 2% del Pil. L’incontro tra Xi Jinping e Putin rinsalda ancora di più l’asse strategico tra Pechino e Mosca in una competizione con il blocco occidentale per determinare il nuovo assetto mondiale.
La situazione europea
La guerra in Ucraina oltre a provocare la caduta dei rapporti diplomatici tra le potenze occidentali e la Russia, pare abbia definitivamente stroncato un’idea di una grande area geografica come quella “Eurasiatica” capace di interconnettersi sempre più a vari livelli. Dal post covid-19 la ripresa economica ha visto l’Unione Europea impegnarsi a creare pacchetti di aiuti e piani industriali per rendere l’area Euro più indipendente dal punto di vista strategico dalla Russia e dalla Cina. Ma facciamo un passo alla volta.
- Lato difesa
I legami tra UE e Nato sono diventatati sempre più interconnessi. La dichiarazione congiunta sulla cooperazione UE-Nato sancisce il partenariato strategico per affrontare le sfide comuni.
Durante il vertice dei ministri della Difesa dei Paesi Nato di febbraio si è concordato di rafforzare la deterrenza e la difesa dell’Alleanza. Per il Segretario Generale Stoltenberg l’obiettivo del 2% del Pil è il minimo e non il massimo per rispondere alle sfide della sicurezza. In questo quadro rientra anche la fabbricazione di munizioni per far fronte al sostegno all’Ucraina.
Per adesso solo 7 Paesi su 30 della Nato hanno raggiunto l’obiettivo del 2%, come la Polonia, Repubbliche Baltiche e il Regno Unito. Ma la difficoltà che incontrano molti Paesi riguarda la produzione e l’approvvigionamento di materie prime, fattori che rendono complicato riempire gli arsenali, svuotati dalla guerra in Ucraina.
- Lato economico industriale
Il Net-Zero Industry Act è la risposta della Commissione Europea per dare stimolo all’industria interna e alle tecnologie pulite necessarie per la decarbonizzazione. Inoltre il piano prevede di ridurre la dipendenza europea dalla Cina e dalla Russia. La prima è leader delle filiere industriali della transizione ecologica, mentre la seconda era il principale fornitore di gas e petrolio dei Paesi europei, infatti prima della guerra oltre il 40% del fabbisogno energetico era soddisfatto da Mosca.
La Cina da sola produce l’85% della produzione mondiale di celle fotovoltaiche e delle pale eoliche, oltre il 70% delle batterie elettriche e circa il 40% degli elettrolizzatori delle pompe di calore. Il Net-Zero Industry Act ha come obiettivo di portare la produzione interna al 40% per tutte le tecnologie pulite.
Il Piano Europeo è anche una risposta al piano “Inflation Reduction Act” (IRA) degli USA, approvato nell’agosto 2022, e alla Cina che in pole position nell’industria della transizione.
Due aspetti importante del piano sono:
- il nucleare non viene incluso nonostante sia una fonte di energia a zero emissioni;
- la ricetta europea va nella direzione americana, cioè, un colpo alle regole del WTO, che viene privato della capacità di regolare i rapporti commerciali internazionali.
L’incontro tra Putin e Xi
Negli ultimi anni le relazioni russo-cinesi sono diventate sempre interconnesse tanto da giurarsi amicizia eterna. Mosca è un partner cruciale per Pechino nella costruzione di un nuovo ordine mondiale multipolare opposto alla centralità statunitense.
L’incontro tra i due leader, che era stato programmato da tempo, è il primo dopo la rielezione di Xi Jinping, ma soprattutto è il primo leader nazionale che stringe la mano a Putin dopo il mandato di cattura della Corte Penale Internazionale. Ma quest’incontro risponde anche all’esigenza di accreditare la Cina di Xi come mediatore per il conflitto in Ucraina.
Nella dichiarazione congiunta i due capi di Stato hanno espresso le loro preoccupazioni per i piani AUKUS che prevedono la costruzione di sottomarini nucleari e di fermare tutte le mosse che posso far peggiorare, ancora di più, la crisi in Ucraina. Pechino e Mosca ad oggi contano oltre 360 partnership. In cantiere ci sono anche importati progetti logistici lungo le rotte della Transiberiana e Transasiatica, con 79 progetti per un valore di oltre 165 miliardi di dollari. La cooperazione va anche a sostituire le imprese occidentali, che hanno lasciato la Russia, con quelle cinesi. Ma non solo. La Russia, in questa alleanza, con la Cina è il socio minoritario, le sanzioni occidentali hanno comunque inciso nell’economia russa e le difficoltà finanziarie spingono sempre di più la Russia nella sfera di influenza cinese. Ora Mosca è il primo fornitore di petrolio di Pechino, che lo acquista a prezzi di favore al di sotto del 60 dollari del price cap. Perché? Perché sono i cinesi a stabilire il prezzo. Inoltre sul lato energetico sono state gettate le basi per la costruzione del gasdotto Forza della Siberia 2 per l’esportazione del gas russo in Cina, entro il 2030 la Russia fornirà circa 100 miliardi di metri cubi.
Infine Mosca ha annunciato di volere utilizzare lo yuan cinese per le transizioni con i Paesi asiatici, dell’America Latina e dell’Africa.
Quali scenari si prospettano?
Una delle principali cause di questa frattura tra l’Europa e l’Asia è stata, nel settembre del 2022, il sabotaggio del North Stream 2. Il gasdotto collegava la Germania (quindi l’Europa) con il Paese più esteso dell’Asia, e del mondo, cioè la Russia. Quest’ultima ricca di materie prime come gas e petrolio, si stava sempre più connettendo con uno dei principali Paesi della zona euro, locomotiva del vecchio continente che ha un suo peso specifico nella politica dell’Unione. Il sabotaggio al gasdotto potrebbe significare la fine di un percorso che vedeva la principale potenza economica europea usare le risorse energetiche russe e creare un’area, quell’eurasiatica, che si sarebbe potuta integrare sempre più, anche in virtù dei diversi programmi economici.
Un possibile scenario, che sta prendendo già forma, è l’attenzione Europea, per quanto riguarda materie prime e rotte commerciali, verso l’Africa. L’Italia ha predisposto il Piano Mattei per cercare di rispondere all’esigenza energetica e gettare la sua influenza su diversi Paesi con i quali ha già scambi commerciali e con l’intento di continuare ad essere protagonista nel continente attuando un modello di sviluppo non predatorio ma collaborativo.
Recentemente anche Macron, col il suo tour in Africa per rinsaldare i rapporti un po’ “complicati” con le ex colonie, vede l’attenzione della Francia verso il continente nero.
Un argomento che sta molto a cuore all’Europa è l’instabilità politica ed economica del continente. Le diversi crisi, legate anche al cambiamento climatico, spingono in molti ad emigrare e trovare fortuna in Europa. La debole risposta europea a questo grande problema allarma molti Paesi dell’eurozona.
La Nato con il Segretario generale Jean Stoltenberg non nasconde la propensione dell’Alleanza a prendere il posto dell’Europa anche nel Mediterraneo. Questo perché la Nato più dell’Ue teme l’implosione della Tunisia diventata instabile politicamente, e dell’attività della Wagner che è presente in Cirenaica, Sudan, Mali e Centrafrica. Questa preoccupazione deriva anche dal fatto che l’America è sempre più assente sia nel Mediterraneo che in Africa, perché impegnata nel Pacifico a Taiwan. Inoltre, oltre alle forze russe, si aggiungono quelle della Cina, diventata potenza di riferimento per diversi Paesi africani.
La presenza di queste due potenze con cui l’Occidente ha teso i rapporti potrebbe essere motivo di preoccupazione per l’Europa che in questo momento storico, tra la transizione energetica, digitale e la ripresa economica post covid-19, potrebbe farsi trovare impreparata a gestire nuovi flussi migratori, derivati da instabilità politica, sociale ed economica dell’Africa.
Infine le preoccupazioni dei mercati dopo il fallimento della SVB in America e del Credit Suisse in Svizzera hanno acceso il campanello d’allarme sull’instabilità dei mercati finanziari. La BCE continua la sua politica di aumento del tasso d’interesse dello 0,50 proseguendo la lotta all’inflazione.
Fonte: