“Sogno di Natale” di Luigi Pirandello – Lettura ed analisi di Giovanni Teresi
In questo racconto del Natale Pirandello non affronta solo il tema delle festività ma dedica un’attenzione all’insieme del rapporto con la Divinità. La spiritualità di Pirandello è declinata sotto l’impulso di varie suggestioni, dall’ingenua fede popolare al distacco del borghese colto.
“Sentivo da un pezzo sul capo inchinato tra le braccia come l’impressione d’una mano lieve, in atto tra di carezza e di protezione. Ma l’anima mia era lontana, errante pei luoghi veduti fin dalla fanciullezza, dei quali mi spirava ancor dentro il sentimento, non tanto però che bastasse al bisogno che provavo di rivivere, fors’anche per un minuto, la vita come immaginavo si dovesse in quel punto svolgere in essi.
Era festa dovunque: in ogni chiesa, in ogni casa:
intorno al ceppo,
lassù; innanzi a un Presepe,
laggiù; noti volti tra ignoti riuniti in lieta cena;
eran canti sacri, suoni di zampogne,
gridi di fanciulli esultanti, contese di giocatori…
E le vie delle città grandi e piccole, dei villaggi,
dei borghi alpestri o marini,
eran deserte nella rigida notte.
E mi pareva di andar frettoloso per quelle vie,
da questa casa a quella,
per godere della raccolta festa degli altri;
mi trattenevo un poco in ognuna, poi auguravo:
Buon Natale e sparivo…
Ero già entrato così, inavvertitamente, nel sonno e sognavo. E nel sogno, per quelle vie deserte, mi parve a un tratto d’incontrar Gesù errante in quella stessa notte, in cui il mondo per uso festeggia ancora il suo natale. Egli andava quasi furtivo, pallido, raccolto in sé, con una mano chiusa sul mento e gli occhi profondi e chiari intenti nel vuoto: pareva pieno d’un cordoglio intenso, in preda a una tristezza infinita.
Mi misi per la stessa via; ma a poco a poco l’immagine di lui m’attrasse così, da assorbirmi in sé; e allora mi parve di far con lui una persona sola. A un certo punto però ebbi sgomento della leggerezza con cui erravo per quelle vie, quasi sorvolando, e istintivamente m’arrestai. Subito allora Gesù si sdoppiò da me, e proseguì da solo anche più leggero di prima, quasi una piuma spinta da un soffio; ed io, rimasto per terra come una macchia nera, divenni la sua ombra e lo seguii.
Sparirono a un tratto le vie della città: Gesù, come un fantasma bianco splendente d’una luce interiore, sorvolava su un’alta siepe di rovi, che s’allungava dritta infinitamente, in mezzo a una nera, sterminata pianura. E dietro, su la siepe, egli si portava agevolmente me disteso per lungo quant’egli era alto, via via tra le spine che mi trapungevano tutto, pur senza darmi uno strappo.
Dall’irta siepe saltai alla fine per poco su la morbida sabbia d’una stretta spiaggia: innanzi era il mare; e, su le nere acque palpitanti, una via luminosa, che correva restringendosi fino a un punto nell’immenso arco dell’orizzonte.
Si mise Gesù per quella via tracciata dal riflesso lunare, e io dietro a lui, come un barchetto nero tra i guizzi di luce su le acque gelide.
A un tratto, la luce interiore di Gesù si spense: traversavamo di nuovo le vie deserte d’una grande città. Egli adesso a quando a quando sostava a origliare alle porte delle case più umili, ove il Natale, non per sincera divozione, ma per manco di denari non dava pretesto a gozzoviglie.
– Non dormono… – mormorava Gesù, e sorprendendo alcune rauche parole d’odio e d’invidia pronunziate nell’interno, si stringeva in sé come per acuto spasimo, e mentre l’impronta delle unghie restavagli sul dorso delle pure mani intrecciate, gemeva: – Anche per costoro io son morto…
Andammo così, fermandoci di tanto in tanto, per un lungo tratto, finché Gesù innanzi a una chiesa, rivolto a me, ch’ero la sua ombra per terra, non mi disse:
– Alzati, e accoglimi in te. Voglio entrare in questa chiesa e vedere.
Era una chiesa magnifica, un’immensa basilica a tre navate, ricca di splendidi marmi e d’oro alla volta, piena d’una turba di fedeli intenti alla funzione, che si rappresentava su l’altar maggiore pomposamente parato, con gli officianti tra una nuvola d’incenso. Al caldo lume dei cento candelieri d’argento splendevano a ogni gesto le brusche d’oro delle pianete tra la spuma dei preziosi merletti del mensale.
– E per costoro – disse Gesù entro di me – sarei contento, se per la prima volta io nascessi veramente questa notte.
Uscimmo dalla chiesa, e Gesù, ritornato innanzi a me come prima posandomi una mano sul petto riprese:
– Cerco un’anima, in cui rivivere. Tu vedi ch’ìo son morto per questo mondo, che pure ha il coraggio di festeggiare ancora la notte della mia nascita. Non sarebbe forse troppo angusta per me l’anima tua, se non fosse ingombra di tante cose, che dovresti buttar via. Otterresti da me cento volte quel che perderai, seguendomi e abbandonando quel che falsamente stimi necessario a te e ai tuoi: questa città, i tuoi sogni, i comodi con cui invano cerchi allettare il tuo stolto soffrire per il mondo… Cerco un’anima, in cui rivivere: potrebbe esser la tua come quella d’ogn’altro di buona volontà.
– La città, Gesù? – io risposi sgomento. – E la casa e i miei cari e i miei sogni?
– Otterresti da me cento volte quel che perderai – ripeté Egli levando la mano dal mio petto e guardandomi fisso con quegli occhi profondi e chiari.
– Ah! io non posso, Gesù… – feci, dopo un momento di perplessità, vergognoso e avvilito, lasciandomi cader le braccia sulla persona.
Come se la mano, di cui sentivo in principio del sogno l’impressione sul mio capo inchinato, m’avesse dato una forte spinta contro il duro legno del tavolino, mi destai in quella di balzo, stropicciandomi la fronte indolenzita. E qui, è qui, Gesù, il mio tormento! Qui, senza requie e senza posa, debbo da mane a sera rompermi la testa.
Sogno di Natale, pubblicato il 27 dicembre del 1896, su “Rassegna settimanale universale”, potrebbe aiutarci ad intendere il suo modo di sentire la fede. In essa c’è un diretto confronto con Gesù. L’immagine divina è vista nella fredda notte della sua nascita come quella di un uomo furtivo, pallido, raccolto in sé, con una mano chiusa sul manto e gli occhi profondi e chiari intenti nel vuoto: pareva pieno di un cordoglio intenso, in preda a una tristezza infinita. Lo scrittore se lo ritrova davanti inaspettatamente.
Cristo vaga per le vie deserte e talvolta ascolta dietro gli usci le parole di quelli che stanno dentro: sono spesso parole d’odio e d’invidia per la miseria patita e Gesù mormora: Anche per costoro io sono morto, esprimendo così il suo disappunto per la loro condotta. Poi entra in una Chiesa, superbamente addobbata di luci e colori, in cui il Natale si celebra solennemente. Il figlio di Dio dice: Per costoro sarei contento di nascere un’altra volta, questa notte!
Poi propone all’autore di offrirgli la sua anima libera da tutti i comodi con cui invano cerca di allettare il suo stolto soffrire per il mondo … Vorrebbe rivivere in essa. “Otterresti da me cento volte più di quel che perderai, seguendomi e abbandonando quel che falsamente stimi necessario a te e ai tuoi”. Al che Pirandello appare sgomento. E Gesù incalza: “Otterresti da me cento volte quel che perderai.” Dopo un attimo di perplessità, lo scrittore: E la casa, e i miei cari, e i miei sogni? Ah, io non posso Gesù, risposi, vergognoso e avvilito.
L’offerta d’immedesimarsi in Cristo è respinta per debolezza e viltà. È schietto Pirandello nel suo modo di credere, ma non eroico.
Il racconto risulta ancora attualissimo, capace di interpretare profondamente il dramma del segno religioso nel mondo odierno.
Da una parte perché l’uomo contemporaneo, in larga misura, non attende l’evento che, per tradizione celebra. Scrive Pirandello: “per quelle vie deserte, mi parve a un tratto d’incontrar Gesù errante in quella stessa notte, in cui il mondo per uso festeggia ancora il suo natale. Egli andava quasi furtivo, pallido, raccolto in sé, con una mano chiusa sul mento e gli occhi profondi e chiari intenti nel vuoto: pareva pieno d’un cordoglio intenso, in preda a una tristezza infinita […]”.
Dall’altra parte perché la radicalità del messaggio evangelico fatica a trovare spazio in chi pure ha mantenuto saldo il legame con il fondamento teologico. Così si chiude il racconto: “Non sarebbe forse troppo angusta per me l’anima tua, se non fosse ingombra di tante cose, che dovresti buttar via. Otterresti da me cento volte quel che perderai, seguendomi e abbandonando quel che falsamente stimi necessario a te e ai tuoi: questa città, i tuoi sogni, i comodi con cui invano cerchi allettare il tuo stolto soffrire per il mondo… Cerco un’anima, in cui rivivere: potrebbe esser la tua come quella di ogni altro di buona volontà. – La città, Gesù? – io risposi sgomento. – E la casa e i miei cari e i miei sogni? – Otterresti da me cento volte quello che perderai – ripeté Egli levando la mano dal mio petto e guardandomi fisso con quegli occhi profondi e chiari. – Ah! io non posso, Gesù… – feci, dopo un momento di perplessità, vergognoso e avvilito, lasciandomi cader le braccia sulla persona.”