IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

Saraceni, schiavi e il Salento

mappa ottomana di otranto e località vicine con indicazioni in turco

Mappa che mostra Otranto e le sue vicinanze a Kitâb-ı Bahriyye di Pîrî Reis (İÜ Ktp., TY, n. 6605)

Mappa del Salento on indicazione delle possibili incursioni saracene
Mappa del Salento on indicazione delle possibili incursioni saracene

di PAUL ARTHUR

Nel 1998 ho tentato di trattare, dal punto di vista archeologico, un tema alquanto difficile, per via della penuria di evidenze materiali, che è quello dei rapporti tra il mondo islamico e la Terra d’Otranto (ARTHUR 1998). Da
allora le evidenze non sono state un granché ampliate, se non per la scoperta un oggetto che sembra offrire alcuni spunti interpretativi e di ricerca.


Tra il 1991 e il 1996 sono stati condotti scavi archeologici a Quattro Macine, un casale medievale sito nell’entroterra di Otranto (LE), a circa otto chilometri dal mare. Insieme a vari altri villaggi in questa regione, il casale sembra essere apparsa come insediamento nucleato formatosi durante il corso dell’VIII secolo, in un contesto di graduale ripresa economica e sociale e, presumibilmente, anche di rigenerazione demografica.

Foto in bianco e nero dei resti di un muro della masseria Quattro Macine
Ruderi della Masseria Quattro Macine (foto da internet jstor)

L’economia del villaggio, in questo periodo, sembra essere stata in parte basata sulla produzione di vino, forse legata ad un’esportazione dal proprio hinterland da parte di Otranto, in quanto presso la città sono conosciute delle fornaci adibite anche alla produzione di anfore commerciali. Probabilmente nel corso del X secolo venne innalzata una piccola chiesa, le cui pareti interne erano decorate con figure di santi, verosimilmente un edificio privato dipendente da qualche proprietario terriero (ARTHUR et al. 1996).


Nel 1994 sono stati scavati i contesti stratificati relativi alla distruzione della prima fase della chiesa bizantina, collocabili prima di un sostanziale rinnovamento dell’edificio. Al di sotto di un pavimento di seconda fase si rinvennero strati di distruzione degli affreschi e strati di terreno contenenti
una serie di oggetti, compresi alcuni strumenti liturgici, fra cui spicca un cucchiaio riccamente decorato, in lega di argento.

Foto in bianco e nero dei resti della chiesa bizantina
Resti della chiesa bizantina

L’interpretazione di questi livelli di distruzione come relativi ad una semplice decisione di rinnovare l’edificio, incontra almeno due problemi:

  1. Perché abbandonare degli strumenti liturgici, compreso anche un oggetto di un alto valore, sia simbolico che economico come il cucchiaino? La mia idea che gli oggetti erano vecchi o rotti non era del tutto convincente.
  2. Perché strappare blocchi di intonaco dipinto dalle pareti invece, semplicemente, di ridipingere le pareti come si faceva di solito? In questo caso, la risposta, sebbene poco soddisfacente, poteva essere che le maestranze incaricate di rinnovare l’edificio, aveva preferito demolire il pre-esistente in un’operazione di radicale ricostruzione, forse per via di problemi con lo stato di conservazione dell’alzato.
La punta di freccia proveniente da Quattro Macine, Giuggianello (LE), a confronto con le punte di freccia da S. Vincenzo al Volturno.
La punta di freccia proveniente da Quattro Macine, Giuggianello (LE), a confronto con le punte di freccia da S. Vincenzo al Volturno.

Fra gli oggetti rinvenuti negli strati di distruzione della chiesa vi era un semplice strumento di ferro, a sezione quadrangolare, appiattito verso il centro, ed appuntito su ambedue le estremità. Questo è confrontabile con alcuni oggetti rinvenuti durante gli scavi condotti dalla missione inglese nel monastero di San Vincenzo al Volturno, interpretabili come punte di freccia provenienti da un arco composito, sebbene le sezioni siano diverse.

Gli esemplari provenienti da San Vincenzo sono associabili all’attacco saraceno avvenuto, secondo le fonti documentarie, il 10 ottobre 881, secondo le fonti (HODGES 1997, pp. 144-153).
Nonostante il fatto che l’arco composito fosse utilizzato anche dalle truppe bizantine, il rinvenimento di un esemplare di una probabile punta di freccia di questo tipo all’interno degli strati di distruzione della chiesa bizantina di un villaggio, è alquanto suggestivo.

Come in alcune altre parti della penisola italiana, il Salento gode di una forte e consolidata tradizione di incursioni e scorrerie saracene che anche il successivo trauma della presa di Otranto da parte dei Turchi nel 1480 non è riuscito a debellare dalla memoria storica.


Come per tante tradizioni è difficile distinguere una realtà storica sommersa da secoli da abbellimenti, esagerazioni e fantasie, spesso frutto di racconti orali. Nelle parole di Richard Hodges,

«the story of the Arabs in ninth-century Italy, like that of the Vikings, must be treated with some caution. Christian chroniclers were tempted to depict them as dastardly heretics who brought devastation wherever they
went» (HODGES 1997).

Che, comunque, esista una realtà storica è fuor di dubbio, ma visto la rarità di fonti dirette per il Salento, mi sembra che valga la pena di soffermarsi brevemente anche su quello che ci tramandano le tradizioni locali.
Lo storico ottocentesco salentino Luigi Maggiuli, ricorda come l’invasione saracena dell’845 abbia provocato seri danni ed anche l’abbandono di alcuni agglomerati rurali nell’immediato entroterra di Otranto.

In relazione a questo evento egli elenca gli insediamenti di Puzzo dell’Orte, Vicinanza e Giurdignano, dei quali oggi sopravvive soltanto l’ultimo, noto per la chiesa rupestre datata al X secolo (MAGGIULLI 1893, p. 145).

Anche la città di Brindisi parrebbe aver subito una occupazione da parte dei Saraceni solo pochi anni prima, nell’838.
Nello stesso periodo, l’antico centro di Veretum, presso Patù, nell’estremo sud del Salento, era anche oggetto di incursioni da parte dei Saraceni.

Il Re di Francia Carlo il Calvo aveva spedito delle truppe per debellare gli invasori, stanziati, apparentemente, in una località nelle vicinanze ora nota come Campo Re. Prima della battaglia decisiva, in cui vennero sconfitti i Saraceni, un cavaliere di nome Geminiano o Simighiano, inviato nel campo nemico come ambasciatore, fu ucciso.

Dipinto di Re Carlo con corona, baffi e scettro
Carlo il Calvo (da internet 3.bp.blogspot)

Così si scatenò la battaglia, in data 24 giugno dell’877, giorno dedicato a San Giovanni Battista, quando fu recuperata la salma di Geminiano e le sue spoglie furono deposte in una tomba monumentale o heroon, identificabile con il monumento detto Le Centopietre, sito di fronte all’attuale chiesa di S. Giovanni di Patù (MAGGIULLI 1912; WHITEHOUSE, WHITEHOUSE 1966).
Secondo l’umanista Girolamo Marciano, che scriveva tra ’500 e ’600, il paese di Muro Leccese, distante appena otto chilometri da Otranto, fu distrutto dai Saraceni nel 924 (MARCIANO 1855).

Foto a colori di un monumento sepolcrale formato da grossi blocchi di pietra
Monumento sepolcrale detto Centopietre (foto Di Psymark )

Nello stesso anno o poco dopo fu attaccata Oria (BR), e poi, secondo fonti attendibili, fu saccheggiata anche la città di Taranto. Nel 977 un ennesimo attacco dovette subire Oria, ed anche Manduria (BR) (DE GIORGI 1882, I, p. 279). Anche Alezio, Leuca e Parabita, verso il capo della penisola salentina, furono oggetti di incursioni saracene nel corso del IX-X secolo (ARDITI 1879, pp. 468 e 472; VISCEGLIA 1988, p. 35).

Mappa del Salento on indicazione delle possibili incursioni saracene
Mappa del Salento on indicazione delle possibili incursioni saracene


Inoltre, l’insediamento abbandonato di Pompignano, presso Acquarica del Capo, sempre nella stessa zona, è ricordato come distrutto da un’incursione saracena (TCI, p. 419).

Queste tradizioni, per quanto discutibili per i singoli insediamenti attestati, rientrano in un quadro storico avvalorato dalle fonti.
La prima testimonianza che ricorda la tratta di schiavi con il mondo musulmano in area adriatica data intorno al 748, quando dei mercanti veneziani tentarono di proporsi quali intermediari nell’approvvigionamento di schiavi cristiani (MCCORMICK 2001, pp. 753 e 871).

La Puglia, sembra entrare in gioco più tardi, almeno dai primi decenni del IX secolo. Intorno all’833, Gregorio Decapolita, durante una sosta ad Otranto, venne accusato di voler tradire i Cristiani agli Arabi e, più tardi, lui stesso avrebbe incontrato degli incursori saraceni (MCCORMICK 2001, p. 202).
Vivida testimonianza del potere dei Saraceni nell’Adriatico, è la presa di Bari e la fondazione di un emirato che durò dall’847 fino all’871, quando la città fu espugnata da Ludovico II con il sostegno dei Longobardi. Sembra chiaro che la Bari saracena, come Taranto, fosse un centro di mercato
di schiavi (MUSCA 1964).


Una prima, grande, incetta di schiavi a Taranto data all’867, quando ben 9.000 persone furono trasportate a Tripoli ed in Egitto, a bordo di sei navi, chiaramente un’esagerazione, data la dimensione delle imbarcazioni dell’epoca (MCCORMICK 2001, p. 773).
Un decennio dopo, l’imperatore bizantino Basilio I dovette ripopolare Gallipoli e le zone limitrofe con coloni provenienti da Heraclea Pontica sulla costa turca del Mar Nero, dopo che Gallipoli ed Ugento erano state saccheggiate nell’876, e gli abitanti deportati a Cartagine (Skylitzès
151; VON FALKENHAUSEN 1978, p. 26).


Nell’880, Taranto fu riconquistata dalle truppe bizantine, e la popolazione venduta in schiavitù, creando un certo introito per le truppe e per l’imperatore (MCCORMICK 2001, p. 956).
Uno degli episodi più gravi sembrerebbe essere l’ennesimo saccheggio di Taranto ed Oria nel 925/6. In quell’occasione fu catturata la famiglia del noto studioso ebraico oritano Donnolo-Shabethai (COLAFEMMINA 1978)

Il racconto attesta la partecipazione di ben 300 navi provenienti dall’Africa e dalla Sicilia. Anche in questo caso è evidente una esagerazione nel numero delle navi impiegate che, in ogni caso, può riflettere la speranza di poter imbarcare una gran quantità di schiavi.

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