Un libro di fiabe per il Natale con tanti racconti per bambini
di Maria Pina Ciancio
Macabor annuncia l’uscita del libro (a cura di Sara Conci) UN MAGICO E PREZIOSO NATALE. Piccoli racconti per bambini di tutto il mondo.
In questo volume racconti di Eleonora Bellini, Simona Bianchi, Marta Celio, Adelina Conte, Rosaria Di Donato, Rosa Filardi, Lucia Gaddo Zanovello, Caterina Lazzarini, Maria Lenti, Emanuela Mannino, Claudia Paternoster, Irene Sabetta, Alessandro Tessari e Antonio Vanni. “Con questi racconti, vogliamo portarvi a scoprire un Natale diverso, dedicato ai bambini di tutto il mondo; che sia fatto di ricordi ma non solo; che sia da leggersi in vista del 25 Dicembre, come pure negli altri giorni dell’anno. Perché il Natale più vero e sincero è quello che riposa dentro al nostro cuore, ma che resta vigile e attento di fronte al bisogno di altruismo, di bontà, di accoglienza,… per svegliarsi e per donarsi all’altro, quando è necessario. Perché ogni giorno c’è bisogno di doni preziosi: di essere un dono per l’altro; di abbattere i muri per creare nuovi ponti; di spogliarci dell’orgoglio e dell’invidia per aprirci a chi non conosciamo, anche se ha un colore della pelle diverso dal nostro…” (dall’introduzione di Sara Conci)
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Candore di Rosaria Di Donato
C’era una volta un paese fatto interamente di nuvole, dove era facile vivere. Agli abitanti sembrava di essere, sempre, immersi nella panna montata soffice, morbida e bianca come la neve. Non c’erano ostacoli e tutti potevano lanciarsi, volare, tuffarsi, cadere senza alcun pericolo. Era il paese dei sogni dove ognuno riusciva a realizzare facilmente ciò che desiderava senza alcuna fatica perché ovunque regnava la leggerezza. Non c’erano invidie, gelosie, tradimenti, ingiustizie, prepotenze, guerre; non si accumulavano ricchezze ma tutto era di tutti e in abbondanza. Il bene più prezioso era l’aria e con essa ciascuno nutriva e alimentava la propria fantasia che, in continuazione, creava mondi, scenari, immense azzurrità, distese di grano, voli di angeli, praterie di stelle, tavolozze di colori, cascate di suoni armoniosi, tripudio di farfalle in volo e luccichio di pesci negli oceani. Tutto era sempre nuovo e non ci si annoiava mai. Il sogno e il respiro erano una sola cosa e in quell’immensità di nuvole la vita scorreva lieta e felice come in una favola.
Un giorno, però, un orco malvagio di nome Ciminiera, stanco della felicità degli umani, decise di porre fine a quell’incanto. Lui viveva in un antro solitario, in quell’unico punto dove l’aria era un po’ più rara: così che non aveva fantasia. Non scriveva, non leggeva, non sognava; non sapeva disegnare né dipingere e tutto gli appariva triste e cupo. Avvelenato dal suo stesso pessimismo, lanciò un incantesimo e una nebbia grigia e densa di fumo avvolse ogni cosa e l’aria di Candore (così si chiamava il paese, un tempo, felice) divenne irrespirabile: le nuvole si tinsero di nero e poi, all’improvviso, si sciolsero nel mare fino a farlo innalzare di molti metri. Le onde erano gigantesche e si riversavano sui campi, sulle città, sfidando il cielo e le stelle. Non c’erano più cibo né spazio vivibile: l’allegria era cessata per sempre e pochi scampati, uomini e animali, si rifugiavano sottoterra in cerca di protezione.
Le persone erano diventate tristi come l’orco Ciminiera e ovunque regnavano il sospetto, la paura, la malattia e la morte: la favola di un tempo era ormai solo uno sbiadito ricordo e ognuno guardava di traverso gli altri, non si fidava, nutriva rancore. Ci sarebbe voluto un miracolo, un antidoto al maleficio e, proprio quando la disperazione era diventata più cupa, quando sembrava non esserci più alcuna via di scampo alla lenta agonia collettiva dei sempre più esigui superstiti ecco, all’improvviso, un’idea balenare nella mente di due giovani, una ragazza e un ragazzo, che si chiamavano Sobrietà e Destino. I due erano animati da un amore puro, gioioso e vivo come l’acqua di sorgente che sgorgando scorre e saltella nei torrenti e nei fiumi giocando con la luce. I due innamorati non riuscivano a rassegnarsi a un’esistenza triste e grigia, segnata dal nascondimento. Non potevano accettare l’idea della decadenza e della scomparsa di Candore e della vita stessa. Fu così che Sobrietà e Destino decisero di preparare un filtro, un farmaco che dalla forza del loro amore traesse il meglio: tutta l’energia, tutto l’entusiasmo, tutta la vitalità che li animava uniti alle loro lacrime sincere e a dei piccoli semi chiamati Speranza e Convinzione che i due ragazzi coltivavano nel profondo del loro cuore. Mescolati, così, questi elementi, versarono la pozione in una borraccia e per prima cosa, di nascosto, ne sciolsero qualche goccia nel vino che Ciminiera conservava in suo otre segreto dal quale, di tanto in tanto, lo sorseggiava. Poi andarono vicino all’acqua del mare e lasciarono cadere il resto della pozione; si ritirarono in un antro a pregare e con le mani giunte implorarono il buon Dio perché li esaudisse, perché ponesse fine al cambiamento climatico, causato dalla tracotanza di Ciminiera, e la vita tornasse a fiorire a Candore come un tempo. Trascorsero in preghiera molte ore, forse un giorno e una notte interi, e poi si addormentarono esausti ma fiduciosi. Fu così che al risveglio non credevano ai loro occhi: le acque si erano ritirate, gli uccellini volteggiavano festosi e il loro canto risuonava in un’immensità di luce. Non c’erano più il grigiore, la nebbia, il fumo ma un’immensa distesa di neve che rischiarava ogni cosa, ogni creatura. Perfino l’orco Ciminiera si era trasformato: era diventato un albero e i suoi rami erano carichi di aghi sempreverdi, era diventato un abete. Sobrietà e Destino non credevano ai loro occhi e i loro cuori erano pieni di gratitudine, di gioia. Avevano creduto nella forza dell’amore e ora correvano a perdifiato nelle campagne, nelle strade per incontrare le persone che accorrevano da ogni dove, stupefatte e incredule del miracolo: felici, incredibilmente, felici.
C’era nell’aria, mentre finalmente si tornava a respirare a pieni polmoni, una frenesia nuova, una voglia di vivere, di serenità, di festa. Con il respiro era tornato anche il sogno e tutti pensarono che fosse Natale, che in quell’atmosfera di neve potesse, ancora una volta, nascere Gesù Bambino. Trovarono il Bambino in una mangiatoia, all’interno di una grotta sormontata da una stella cometa e riscaldato dal fiato di un semplice asinello e di un umile bue: Maria e Giuseppe lo adoravano e miriadi di angeli volteggiavano nel cielo mescolandosi ai fiocchi di neve e alle stelle che numerose splendevano nel firmamento quella notte santa. Molti erano giunti da lontano, anche da paesi stranieri, richiamati dai prodigi di Candore: c’erano uomini e bestie, donne e bambini, pastori e pescatori, braccianti, agricoltori, migranti e sognatori, scrittori. Un giovane poeta compose un testo e lo affisse sulla grotta, il suo nome era Guido Gozzano e la sua poesia diceva così:
Natale
La pecorina di gesso,
sulla collina in cartone,
chiede umilmente permesso
ai Magi in adorazione.
Splende come acquamarina
il lago, freddo e un po’ tetro,
chiuso fra la borraccina,
verde illusione di vetro.
Lungi nel tempo, e vicino
nel sogno (pianto e mistero)
c’è accanto a Gesù Bambino,
un bue giallo, un ciuco nero
Fu così che la magia di Candore tornò a splendere come un tempo e l’Amore che lo animava si diffuse in tutto il Mondo che, prodigiosamente, si rinnovò. Il pianeta Terra era nuovamente vivibile e nessuno abbatteva più le foreste né deviava il corso dei fiumi. Non esistevano più fabbriche inquinanti e non si utilizzavano combustibili fossili; si viveva sobriamente e non si accumulavano più rifiuti negli angoli delle strade: la cosa più importante non era il profitto ma il rispetto delle persone e dell’ambiente. Solo l’aria pulita permetteva a ciascuno di sognare e di realizzare i propri desideri senza inquinare e senza prevaricare nessuno: non c’erano più ciminiere ma una natura rigogliosa in cui celebrare la festa della vita.
vedi che vedi non vedi
laggiù il canto ha il dolce sapore di un tempo
e non si avverte quell’afono vuoto d’essere
che incombe d’intorno crepe e dirupi invadendo
di sé ma non l’anima che preme d’amore
di grazia rinata rifulgente al mattino e dimora
diviene del nuovo e tempio d’inviolato futuro
vedi che vedi non vedi
è dio che ti ha preso per mano ti ha portato
in un paese lucente dove non costa il perdono
è fatto di alberi e terra e mille leprotti affannati
saltellano intorno le orecchie appuntite drizzando
prestando attenzione e giocando a sentire l’odore
del mondo profumo di semi calore di corpi vicini
vedi che vedi non vedi
è sull’orlo di un baratro che l’uomo cammina
eppur danzando riesce a star fuori dal branco
abbraccia i vicini e acclama alla vita che grida
con stormo di uccelli festosi che lesto si posa
di spazio vitale in cerca di riparo e di feconda
radura in cui nuovi nidi porre a dimora
vedi che vedi non vedi
E vissero per sempre felici e contenti.