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Le donne protagoniste  nelle opere liriche – di Giovanni Teresi

Placido Domingo e Elena Obraztsova, nella “Carmen” di Bizet

Placido Domingo e Elena Obraztsova, nella “Carmen” di Bizet

Nelle opere italiane di primo Ottocento le figure femminili, in generale, sono estremamente stereotipate, l’eroina romantica e colei che è: languida, fremente, appassionata, pura, votata al sacrificio. Un’eroina che non prende mai l’iniziativa e si lascia trasportare dagli eventi, personaggio passivo a cui è dato provare solo emozioni ma ha scarsa capacità di azione.

La situazione cambia con Giuseppe Verdi, dopo il Nabucco (1842) il mondo della lirica non sarà più lo stesso e anche i protagonisti femminili diventano donne capaci di agire.

Verdi supera lo stereotipo romantico dell’eroina sentimentale e passiva per approdare forse a quello che è l’esempio massimo di “emancipazione” femminile: Violetta de La Traviata (1853).

Il grande repertorio dell’opera lirica presenta trame e vicende al centro delle quali c’è sempre un personaggio femminile, per lo più forte, passionale e determinato.

Le donne nell’opera sono sempre volitive e animate dal grande desiderio di autodeterminazione.

Contravvengono alle richieste sociali dell’epoca, non adeguandosi mai completamente alla volontà degli uomini, padri, mariti o sovrani. Per le donne dell’opera esiste generalmente un’unica via al trionfo, la morte, che giunge come una punizione inesorabile per aver voluto uscire dagli schemi.

La Violetta Valery, protagonista della Traviata (1853) di Giuseppe Verdi, è anch’essa una donna che tenta di ribellarsi al destino a cui le convenzioni sociali l’hanno condannata.

L’opera trae origine dalla Signora delle camelie di Alexandre Dumas figlio, a sua volta ispirata al personaggio reale di Alphonsine Plessis. La Traviata porta sul palcoscenico la storia d’amore tra un giovane di buona famiglia, Alfredo, e una prostituta d’alto bordo creando un clamoroso scandalo.

Nello svolgersi del dramma, motivo di certo scandalo, Violetta, la traviata, appare d’altra parte grandiosa ed eroica. Lei è costretta a sacrificare il suo amore di fronte al perbenismo ipocrita di Germont, il padre dell’amato, e all’insensibilità egoista e piena di pregiudizi dello stesso Alfredo.

È lei stessa a constatare la sua infelice posizione.

Donna spavalda e passionale, quanto crudele e fiera, Carmen vive ai margini della società. La sua forza e il suo coraggio la mantengono saldamente attaccata alla sua libertà cui non rinuncerà mai, né per amore né per paura, scegliendo la morte pur di non rinunciare a se stessa.

Tosca, tra le donne nell’opera, è la protagonista dell’omonima opera (1899) di Giacomo Puccini. Appare come una donna indipendente e realizzata, una cantante, anzi una star, dal carattere ardente e passionale e gelosissima del suo uomo, anch’egli un artista, Mario Cavaradossi, pittore libertario.

Approfittando del suo lato vulnerabile, il barone Scarpia, terribile capo della polizia papalina al tempo delle campagne napoleoniche, cerca di ottenere due scopi in uno; incastrare Cavaradossi e possedere Tosca da cui è ossessionato.

La storia è nota,  Cavaradossi viene arrestato e torturato, Tosca cede al ricatto di Scarpia in cambio della promessa di salvezza per Mario ma, quando tutto si sta per compiere, trova un coltello e lo uccide.Tosca è pronta a tutto per salvare il suo uomo: a concedere il proprio corpo (ma ciò non avverrà) e a uccidere il suo aguzzino.

La scoperta dell’inganno la porterà a scegliere la morte anche per se stessa, in un ultimo gesto di sfida al suo persecutore.

Il matrimonio e l’accettazione sociale 

Non tutte le donne dell’opera però pagano la loro determinazione con la morte o con la pazzia. Nell’opera buffa il loro destino prende un’altra strada.

In questo caso gli sforzi delle protagoniste di decidere in prima persona della propria vita trovano coronamento: il lieto fine deve assolutamente essere assicurato.

Il matrimonio, volontà femminile socialmente e culturalmente accettata, diventa così l’obiettivo delle protagoniste che mettono in opera tutti i mezzi a loro disposizione, intelligenza, fascino, determinazione e astuzia, per scegliersi uno sposo che sia di loro gradimento.

Rosina, la ribelle, La protagonista del Barbiere di Siviglia (1816) di Gioacchino Rossini, è una giovane risoluta e ribelle che con astuzia e coraggio riesce a sfuggire alle mire matrimoniali del vecchio tutore Don Bartolo.

Nell’aria con cui viene introdotta al pubblico, Rosina si descrive “docile”, “rispettosa”, “ubbidiente”, “dolce, amorosa”, insomma una ragazza modello; salvo poi diventare, come annunciato in quella stessa aria una vera “vipera”, capace di mettere in atto “cento trappole prima di cedere” contro chiunque intenda ostacolare i suoi piani. Innamorata del Conte di Almaviva, che si fa passare per Lindoro, uno studente spiantato, sarà complice e parte attiva in tutti i trucchi escogitati da Figaro, a cui il Conte si era rivolto per essere aiutato a conquistarla.

Più pacata e razionale Adina, protagonista dell’Elisir d’amore (1832) di Gaetano Donizetti.

Non è una semplice contadinella, ma una fittavola istruita che fin dalla prima scena ci viene mostrata con un libro in mano, mentre legge ad alta voce ai contadini la storia della regina Isotta, della passione di Tristano e del filtro d’amore che quest’ultimo le somministra per farla innamorare.

Dopo aver dichiarato di non credere all’amore eterno, accetta le profferte del borioso Belcore per fare ingelosire Nemorino, fino a quel momento suo timido spasimante, reso baldanzoso dall’elisir miracoloso acquistato dal Dottor Dulcamara.

Quando però scoprirà la forza del sentimento che Nemorino prova per lei, non esiterà a mandare a monte il matrimonio con Belcore, per accettare di convolare a nozze con l’unica persona che non la considera un trofeo da esibire, ma le vuole bene e l’ammira per ciò che è.

Gioacchino Rossini è compositore prolifico, non fu solo uno dei più importanti operisti della prima metà dell’Ottocento ma si dedicò anche ad altri generi musicali e non fu immune al fascino del Medioevo. L’opera Tancredi è andata in scena, per la prima volta, nel febbraio del 1813 al Teatro la Fenice di Venezia. Un’opera che ebbe molto successo alla sua epoca ma che poi fu dimenticata.

Il dramma di Rossini è mutuato dalla omonima tragedia di Voltaire, del 1760: ambientata nella Sicilia degli inizi dell’anno Mille travagliata dalle lotte fra saraceni e indigeni, e alla base vi è sempre una storia d’amore che s’intreccia alle vicende politiche dell’epoca il tutto supportato da nessuna veridicità storica.

Il punto di svolta lo vediamo nelle opere di Donizetti. Il suo Don Pasquale ha per protagonista una spigliata Norina che accetta di sposare per finta il vecchio Don Pasquale per ridurlo a miti consigli verso suo nipote di cui lei è innamorata e che finirà poi per sposare realmente.
Mentre la più celebre Lucia di Lamermoor, tratta da un dramma di Walter Scott ci presenta il prototipo dell’eroina romantica, costretta o disposta a seconda dai casi a sacrificarsi per amore, alla quale resta solo la libertà di impazzire. Il tema della follia femminile attraverserà buona parte del melodramma italiano, oltre a fornire il pretesto per scene teatralmente tragiche e musicalmente intense, rispolvera e ripropone il vecchio tema della fragilità femminile e quindi la necessità che la donna sia guidata e protetta poiché da sola non saprebbe reggere le avversità della vita.

Il già citato Don Pasquale è l’ultima delle opere buffe del secolo XIX, con Bellini e Verdi le vicende saranno sempre drammatiche e a farne le spese saranno soprattutto le donne.

Mogli, fidanzate, figlie sorelle, le protagoniste del melodramma romantico vivono tutte nel fascio di luce proiettato dai protagonisti maschili. Vittime di intrighi, amanti appassionate spesso sono votate al suicidio per salvare il loro amato.

Ovviamente un aspetto spesso amato dai drammaturghi per tratteggiare i loro personaggi, è quello della Follia. Esistono tantissimi personaggi femminili inclini alla pazzia, decisamente intensi e emozionanti da interpretare. O davvero molto divertenti. Tra questi non posso non ricordare la dolce Ofelia di “Amleto”  DI W. SHAKESPEARE

Giovanni Teresi
Giovanni Teresi
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