IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

COLPA DELLO SCIROCCO

Scirocco

Scirocco

di Paolo Vincenti

Se c’è un vento universalmente odiato, questo è lo scirocco, il vento umido che attanaglia soprattutto le regioni del sud del mondo. Nessuno può apprezzarlo e finanche nell’arte e nella letteratura questo vento viene descritto sempre in termini negativi, come una vera e propria condanna per i popoli che ne subiscono l’infausta presenza. Lo scirocco, vento di sud est, viene anche definito levante. I romani lo chiamavano Euro, oppure Noto, è descritto nelle Dirae (non a caso, le “maledizioni” che l’autore dell’opuscolo, spogliato dei suoi possedimenti in Sicilia, lancia contro i campi e il loro nuovo proprietario perché questi non possa goderne), come latore di nubi cariche di sabbia, fulva caligine[1]. Orazio descrive lo scirocco come scatenatore di nembi[2] e lo chiama niger, “negro”[3], mentre Ovidio parla di tumidi euri[4]. Insieme agli altri venti, si scatena nella tempesta che si abbatte sulla nave di Ulisse nell’Odissea[5]. Ancora Orazio, col nome di Noto, lo definisce “arbitro, re dell’Adriatico” nelle Odi[6]. I latini lo chiamavano anche vulturnus, dal monte Vulture, in Lucania. Da qui infatti spira il Volturno, vento caldo che alza la sabbia e che fu fatale ai Romani quando durante la seconda guerra punica vennero sconfitti dal generale cartaginese Annibale nella piana di Canne, sulle rive dell’Ofanto, l’Aufidus dei latini. Era il 216 a.C.

Nella rosa dei venti, oltre allo Scirocco, fra i più citati in letteratura vi sono sicuramente l’Africo, ossia il libeccio, vento di sud ovest, anche detto ponente o garbino; l’Aquilone, ossia il grecale, da nord est, anche detto Borea quando spirava dal nord est tracio (dalla Tracia); la Tramontana, vento del nord (ossia che spira “tra i monti”, verosimilmente le Alpi); il Maestrale, anch’esso vento di sud est, detto levante, come il Noto; e poi ancora l’ Austro, “ostro”, che spira da sud e che noi conosciamo come mezzogiorno. Ma è lo scirocco, il vento caldo che, delle ataviche maledizioni che condannano il nostro territorio, è forse quella peggiore.

Molti studiosi hanno da sempre attribuito le cause dell’arretratezza del meridione d’Italia rispetto al settentrione a motivazioni di carattere storico, in primis alla spoliazione di mezzi e risorse perpetrata dai Sabaudi in seguito alla forzosa unificazione della penisola nel 1861. Specie in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia, nel 2011, è tornato in auge il dibattito, invero mai venuto meno, fra le due opposte posizioni in cui si divide l’opinione pubblica italiana a proposito di quel capitale evento storico: quella dei convinti unionisti, delle due scuole di pensiero certamente  la più nutrita, non fosse altro perché ammannita da secoli a studenti e studentesse nei libri di testo scolastici,  e quella dei revisionisti, latamente antirisorgimentali, che pur sparuta, negli ultimi tempi è sembrata più eclatante poiché ha dalla sua una serie di pubblicazioni molto fortunate in termini di successo di vendite ed una agguerrita truppa di oratori assai bravi e capaci di infiammare le folle in trasmissioni televisive e pubblici dibattiti.

Tante e diverse sono le cause dell’arretratezza del nostro sud, individuate e studiate da sociologi ed esperti. Io però sono convinto che non ci si debba rivolgere a storici ed antropologi ma esclusivamente ai meteorologi. Infatti, a mio giudizio, la principale e fondamentale causa dell’accidia, della pigrizia, della abulia, di quell’indolenza insomma che si impossessa degli esseri umani impedendogli di sviluppare a pieno le proprie potenzialità, sia lo scirocco, quello che condanna noi meridionali, e salentini in particolare, ad un eterno girone infernale e che sempre ci impedirà di vivere e realizzare pienamente noi stessi. È lo scirocco che in questi giorni, e da più di due mesi ormai, attanaglia la penisola salentina costringendoci a vivere giorni infuocati, sudaticci e malati. Davvero, per dirla col poeta, “la morte si sconta vivendo”.


[1] Pseudo Virgilio, Appendix Vergiliana, Dirae, v.38.

[2] Orazio, Odi, II, 16, v.23.

[3] Orazio, Epodi, 10, v. 4

[4] Ovidio, Amores, I, 9, 13.

[5] Omero, Odissea, vv.295-6, 331-2.

[6] Orazio, Odi, III, 15, v.1.

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