La comunicazione non trasparente
Maurizio Mazzotta
Tra gente che appena si conosce, ad un ricevimento, si parla di incidenti stradali.
Un tale, petto in fuori, espressione compiaciuta, comincia attirando l’attenzione: – “L’altra sera sull’autostrada una tragedia! Non ricordo se stavo con la BMW o con l’ AUDI di mia moglie… sono stato costretto a fermarmi, polizia, pompieri, autoambulanze… ah sì, con la FERRARI di mio figlio… Una carambola impressionante, quattro o cinque automobili, un ferito e per terra un lenzuolo bianco e una scarpa. – conclude, questa volta accennando una mimica di afflizione.
È un esempio di messaggio celato (non troppo, in verità) ossia di comunicazione “non trasparente”.
Questo tale si è posto l’obiettivo di far conoscere appena possibile il suo status e ha atteso pazientemente l’opportunità. Si parla di incidenti stradali e coglie l’occasione. Richiama l’attenzione usando parole che allarmano: “Una tragedia” e mette per inciso il contenuto che gli interessa veicolare: “… non ricordo se stavo con…”. Ed è proprio questo il messaggio reale che significa: “Io ho tre automobili di grande cilindrata. Adesso sapete chi sono e conoscete il mio potere di acquisto”. Quindi riprende il fatto sottolineando con una certa efficacia narrativa particolari agghiaccianti: “lenzuolo bianco, scarpe”.
Il messaggio subliminale utilizza tecnologie avanzate e principi scientifici, e funziona allo stesso modo. Il primo classico esperimento raccolse un gruppo di persone alle quali fu fatto vedere semplicemente un film. In realtà nella pellicola erano stati inseriti alcuni fotogrammi, il cui passaggio rapidissimo non poteva arrivare alla coscienza: era al di sotto della soglia di percezione consapevole. I fotogrammi erano immagini di deserti assolati, di gente che soffriva d’arsura. Insomma evocavano la sete. Al termine del film al gruppo degli spettatori fu chiesto se era rimasto impresso nella loro mente qualcosa di quanto avevano visto e tutti riferirono aspetti della storia narrata nel film. Però poi al bar ci fu un grande consumo di bibite ghiacciate.
Se interrogassimo quelli che hanno ascoltato il personaggio dell’aneddoto chiedendo loro che cosa ha riferito, la gran parte ripeterebbe la tragedia sull’autostrada, poi però interagendo con questo personaggio ci mostrerebbero chiaramente in qualche modo e misura di tenerlo in grande considerazione.
Nel gruppo ovviamente la comunicazione è naturale, ma a causa dei piccoli/grandi fenomeni che creano problemi dobbiamo tenere presente che bisogna stare attenti, anche a chi e a quanto e di cosa si comunica perché alcune persone amano la comunicazione “obliqua”, “celata” insomma non trasparente, altre dicono quasi sistematicamente bugie.
Molta gente che non ama parlare direttamente, usa questa arma subdola quando comunica verbalmente: servirsi cioè di un messaggio come veicolo per un altro messaggio. Queste persone sono capaci di espressioni precise e inequivocabili, a volte hanno eccezionali abilità di chiarezza, per cui veramente risulta difficile spiegare questa esigenza. Chi l’avverte, alla lunga e al minimo, prova irritazione e fastidio.
Potrebbe essere un fatto di cultura: mi risulta che in certi ambienti si abusi, magari per gioco, di una tale strategia comunicativa forse con poca consapevolezza degli effetti. In ogni caso c’è qualcosa all’origine che spinge all’uso dei messaggi celati.
I mafiosi inviano messaggi celati o non trasparenti per necessità, almeno quelli di vecchio stampo, dicono e non dicono, usano metafore. Penso che alla base del messaggio nascosto ci sia un tentativo di “aggredire” in qualche modo l’altro, e comunque vigliaccamente, in quanto lo si vuole costringere a pensare (o a fare) qualcosa senza dargli la possibilità di opporsi.
Se una persona, utilizzando una comunicazione trasparente, mi dice apertamente: “Io ho tre automobili di grossa cilindrata”, io posso non risponderle e allontanarmi. Posso anche io esprimermi con frasi trasparenti di questo tipo: “Chi se ne frega!”. Quando il messaggio è trasparente si è liberi di non rispondere o di rispondere in modo trasparente.
Se una persona invece utilizza una comunicazione celata, non trasparente, a noi può accadere di non rilevare coscientemente il messaggio sotterraneo oppure di rilevarlo. Nel primo caso, come avviene coi messaggi subliminali, in qualche modo rispondiamo come la persona vuole: gli ascoltatori dell’aneddoto, per esempio, potrebbero sentirsi in soggezione di fronte a quello con le tre automobili: la soggezione è la risposta che desidera quel tale. Nel caso invece in cui comprendiamo le sue intenzioni e rileviamo il messaggio nascosto, non siamo liberi di agire e di rispondere perché se di punto in bianco ce ne andiamo rischiamo di apparire sgarbati; se rispondiamo a tono nel tentativo di smascherare il personaggio, rischiamo di sentirci dire: “ma cosa hai capito!?”. Rimarrebbe la possibilità di usare anche noi i messaggi celati e rispondere in modo non trasparente. Ma se è una modalità di comunicazione che rifiutiamo, avvertiamo che il soggetto in questione ci costringe a fare ciò che non vogliamo.
Perciò l’invito è di smascherare, ma solo ai nostri occhi, chi ci parla così e perciò abituiamoci a risalire alle sorgenti delle parole e stiamo alla larga da chi vuole limitare la nostra libertà di risposta.