La filosofia della cultura di Ernst Cassirer
di Vincenzo Fiaschitello
Come tanti illustri intellettuali ebrei tedeschi, il filosofo E. Cassirer, già rettore dell’Università di Amburgo nel 1929, fu costretto con l’avvento di Hitler a lasciare la Germania. Per alcuni anni insegnò a Oxford e poi dal 1941 all’Università di Yale, negli stati Uniti, dove pubblicò in inglese con l’aiuto di Charles W. Hendel, rettore di quella università, il “Saggio sull’uomo” nel 1944, un anno prima della sua morte.
Il libro condensa in modo mirabile i problemi difficili e astratti contenuti nei tre volumi della “Filosofia delle forme simboliche”, convenendo con Lessing, come egli stesso scrive nella prefazione all’edizione inglese, che “un grosso libro è un grosso male”.
Cassirer, giungendo negli Stati Uniti, fu ben accolto dagli intellettuali americani che fino ad allora avevano mostrato una certa riluttanza a condividere il pensiero filosofico europeo, perché strenui difensori di valori ottimistici in linea con la tradizione puritana e illuministica. Il pensiero originario americano, fondato da C. S. Peirce e ampiamente diffuso da J. Dewey, cominciava infatti a manifestare le sue insufficienze. Una dottrina filosofica basata sull’esperienza, sull’utilità per la vita dell’individuo nella società, facendo appello alla tenacia per raggiungere il successo, alla ragione, al metodo scientifico, se da un lato poteva apparentemente soddisfare la richiesta di concretezza e dominio della realtà, dall’altro non mostrava che pochi segni di creatività, di innovazione verso nuove forme di cultura. Tutto il sistema scolastico americano, per esempio, condivise il pragmatismo del Dewey e cadde in un ritardo storico che si tradusse in gap tecnologico tra gli USA e l’URSS, messo in evidenza dalla famosa conferenza del 1959 a Woods Hole. Spetterà a J. Bruner rilevare impietosamente le cause del ritardo e puntare sul potenziamento della mente degli studenti.
Orbene, Cassirer, formatosi alla scuola di Marburgo dove aveva seguito l’insegnamento di Cohen e di Natorp, riprende e completa quella rivoluzione copernicana compiuta da E. Kant, che metteva al centro del pensiero le famose categorie, a partire dallo spazio e dal tempo. Ed essendo tali categorie proprie della mente, Kant appunto ci dice che noi conosciamo grazie a questo potere ordinatorio della mente, senza il quale il mondo esteriore sarebbe opaco e silenzioso.
Il pensiero di Cassirer prende le mosse da questa precisa posizione kantiana, ma procede ad un fondamentale slargamento nel senso che va oltre la semplice gnoseologia, sostenendo che il processo innescato dalla mente si esplicita non solo in forme che coinvolgono la conoscenza scientifica, ma anche in altre forme culturali, quali il mito, la religione, il linguaggio, l’arte, la storia. Il suo neokantismo, dunque, si qualifica come Filosofia della cultura, che è il sottotitolo del Saggio sull’uomo.
Ricordo ancora quando già negli anni sessanta del secolo scorso, l’amico editore Armando Armando insieme con autorevoli personaggi dell’Università di Roma come Luigi Volpicelli, accoglieva noi giovani nel retrobottega della sua libreria romana di Via della Gensola, 60, quasi come una sorta di salotto letterario, per partecipare alla discussione sui libri di filosofia, di pedagogia, di psicologia, di didattica, che andava pubblicando. L’editore Armando aveva allestito una prima edizione del Saggio, subito dopo che la casa editrice Longanesi nel 1948 aveva pubblicato il testo in Italia per la prima volta. Nel 1968 uscì la nuova edizione della casa editrice Armando, che a lungo fu oggetto di discussione e di approfondimento, quasi a voler sottolineare la presa di coscienza di orientamenti innovativi e di padroneggiamento di strumenti, atti a comprendere meglio i fermenti di un nuovo mondo che si annunciava tra anni di sussulti e rivolte giovanili.
Ma andiamo in ordine. L’idea centrale del brillante trattato di Cassirer è quella di capire “Chi è l’uomo?”
Tale domanda in fondo è stata da sempre il perno della speculazione, anche quando il pensiero presocratico era rivolto verso una comprensione del mondo esteriore. Alla primitiva cosmologia si affianca presto una primitiva antropologia. Fu Eraclito a porsi sulla linea di frontiera tra pensiero cosmologico e pensiero antropologico, chiarendo che non si possono conoscere i segreti della natura se prima non sveliamo il segreto dell’uomo. E’ un cambio di prospettiva molto importante che sfocia nel ben noto “Conosci te stesso”, che Socrate fece suo ispirandosi alla massima del tempio di Apollo a Delfi. L’uomo è un essere alla ricerca di sé attraverso il dialogo.
Da quel momento le cose si complicano enormemente. Se per Aristotele l’uomo è un animale sociale, per altri, come per esempio Marc’Aurelio, tutto ciò che ha valore è l’interiorità, l’intimo atteggiamento dell’animo e per lo stoicismo l’uomo è un essere che non deve essere turbato da ingerenze esteriori (atarassia).
Più tardi nell’età moderna, l’uomo è un animale razionale, nel senso che gli si riconosce uno strumento intellettuale che è lo spirito scientifico (la ragione matematizzante) con il quale studia il cosmo, concependolo secondo un ordine gerarchico in cui egli occupa il posto più alto (Cartesio, Galilei, Leibniz, Spinoza). A preparare questo contesto di idee, Cassirer ricorda che Giordano Bruno sorprendentemente (quando altri, dopo l’affermazione del sistema copernicano, come Montaigne, restavano invischiati in angoscia e dubbi e propendevano per una forma di agnosticismo e scetticismo) scopre un nuovo significato di infinito, non più negativo coincidente con l’indeterminato, l’inaccessibile alla ragione umana secondo il pensiero classico, ma come l’incommensurabile, l’inesauribile ricchezza della realtà che pertanto sollecita l’illimitato potere dell’intelletto umano. L’uomo, non più chiuso nei confini di un universo fisico finito, ha di fronte a sé un universo infinito che non pone limiti alla ragione umana.
E’ evidente che tutto ciò gioca a favore dell’uomo che ottimisticamente affronta la vita, commercia, viaggia, studia i codici antichi, governa con spregiudicatezza il proprio Stato. E’ l’uomo dell’Umanesimo e del Rinascimento che, tuttavia, giunto al termine della sua vita, è trafitto da dubbi e scrupoli morali e spesso non esita, per il perdono dei peccati, a lasciare tutti i suoi averi a scaltri uomini di chiesa e di monasteri. Insomma il cammino trionfale della ragione fino all’illuminismo non è senza ostacoli. C’è il pensiero della religione cristiana sempre pronta a condannare l’esclusiva esaltazione della ragione umana, perché da sola non può indicarci la via verso la luce: è necessaria la Grazia. C’è l’empirismo che chiude il cerchio, sfociando con D. Hume nello scetticismo.
Con l’arrivo del turno di E. Kant c’è un notevole raddrizzamento della centralità della ragione, perché le categorie messe a punto dal filosofo di Konigsberg, garantiscono giudizi validi universalmente senza ombre di scetticismo nell’importante processo conoscitivo dell’uomo.
E’ da qui che parte la riflessione di Cassirer sull’uomo.
La conoscenza dell’uomo, nonostante il suo incomparabile accrescimento, è entrata in crisi. Tale crisi è congiunta con le condizioni delle scienze umane. In passato sussisteva un orientamento comune, un preciso punto di riferimento costituito di volta in volta dalla metafisica, dalla teologia, dalla matematica, dalla biologia.
Oggi manca una autorità positiva alla quale ci si possa appellare per accordare e unificare le molteplici prospettive con cui si presenta l’uomo. Cassirer, accogliendo una dura diagnosi di Max Scheler, rileva che le discipline antropologiche particolari finiscono con l’oscurare, piuttosto che chiarire, il concetto dell’uomo.
Ciascuna disciplina procede dal proprio particolare punto di vista, sì che l’uomo rischia di uscire rifratto in una molteplicità di prospettive, tutte pertinenti ma nessuna esaustiva. L’unico modo per liberarsi dalla confusione di idee, per uscire da questo labirinto, secondo Cassirer, è tentare di trovare quel filo d’Arianna che soltanto la filosofia può fornirci. Quando si trova consenso nell’estromettere la filosofia dal contesto delle ricerche antropologiche, non si comprende che l’uomo è invece per eccellenza, inevitabilmente, argomento di filosofia.
Non per caso l’editore Armando nello stesso anno (1968), pubblicò lo straordinario testo “Il conoscere. Saggi per la mano sinistra” di J. S. Bruner, uno psicologo americano, che tanta influenza ebbe sulla cultura e in particolare sulla scuola italiana.
In sede di discussione tra noi giovani si osava fare utili raffronti tra l’area culturale in qualche modo preconcettuale dello scienziato che metaforicamente si configurava come “mano sinistra” e l’area prettamente concettuale del filosofo tedesco che al contrario poteva dirsi appartenere alla “mano destra”.
Ci risultava evidente che sebbene le due posizioni restassero differenti, entrambi, il filosofo e lo scienziato, giungevano a conclusioni complementari in ordine alla risposta all’interrogativo “Chi è l’uomo?”
Non possono esserci incertezze: la filosofia non può essere scalzata dal suo ruolo. La crisi c’è per carenza di filosofia, anche se, tuttavia, Cassirer prospetta la necessità di una nuova impostazione, alla quale dischiude l’ambito totale dell’universa esperienza, rendendo filosoficamente rilevante ogni suo aspetto.
In questo senso si esclude qualsiasi polemica riguardo alla separazione tra le scienze matematico-naturali e le scienze antropologiche. Si deve puntare all’unità.
E qui va chiarito un aspetto importante: l’unità non disconosce le differenze. Molti sono gli equivoci che si sono generati da tale posizione.
In nome dell’unità, per esempio, la didattica dell’insegnamento nella scuola ha subito tali stravolgimenti, al punto che non c’è più rispetto per la struttura delle singole discipline: al loro posto regna una sorta di fuorviante globalismo.
In nome dell’unità si scrive di argomentazioni che rientrano in campi ben precisi della storia, della geologia, della biologia, ecc., illudendo il lettore che tutto rientra nell’Uno.
In nome dell’unità, si vuol far credere che il dialogo tra le persone, tra le culture, possa proficuamente realizzarsi secondo modalità interpersonali, interculturali, che in maniera superficiale possano integrarsi. Non c’è via più sbagliata se prima non ci si pone sulla strada della conoscenza e della valorizzazione specifica della identità personale e culturale.
Lo stesso Hegel se ne accorse quando, criticando Schelling che parlava di “unità indifferenziata di Natura e Spirito”, se ne uscì con la famosa battuta: “Certo di notte tutte le vacche sono nere!”.
Cassirer ha voluto essere chiaro sul problema dell’unità, ricorrendo anche alle nuove idee sulla biologia formulate da Johannes von Uexkull che “ritiene che si cadrebbe in un assurdo dogmatismo se si pensasse che la sostanza di tutti gli esseri viventi sia identica. La realtà biologica non è qualcosa di unitario, è quanto mai differenziata, presenta forme e strutture diverse per ogni tipo di organismo” (Cassirer, Saggio sull’uomo, Roma, Armando, 1968, p.77).
Ciò premesso, possiamo ora comprendere meglio la posizione di Cassirer facendo riferimento a tre fondamentali concetti: funzione, struttura e simbolo.
L’unità tra scienze matematico-naturali e scienze antropologiche, nel rispetto delle differenze, è perseguibile, servendosi in entrambi i casi di uno stesso principio ermeneutico, interpretativo. Tale principio, mutuato da Kant, stabilisce il primato della funzione rispetto all’oggetto. Già Kant con i concetti a priori (categorie) aveva liquidato il vecchio concetto della conoscenza, intesa come “rispecchiamento” di una realtà preordinata. Cassirer non fa altro che estendere il punto di vista funzionale dall’ambito gnoseologico a ciascuna altra sfera dell’umana comprensione del mondo. La conoscenza è soltanto “una” delle forme dell’umano esperire: le altre, e tutte saldamente valide nella loro identità e struttura, sono: il mito, la religione, il linguaggio, l’arte, la storia, la scienza. A queste Cassirer dedica pagine di grande passione filosofica che hanno giustamente avuto grande seguito e sviluppo.
Il filosofo tedesco, dunque, ci offre una vera critica della cultura, una visione unitaria del mondo, piuttosto che il riflesso di una realtà già formata e divisa in settori privi di connessioni. Un qualsiasi campo oggettivo non si può cogliere se non entro l’orizzonte del nostro esperire e nei nostri modi di fare esperienza. La filosofia dovrà studiare queste varie direzioni o mondi culturali nella loro specificità e avviarne nel contempo una comprensione unitaria.
Emerge un nuovo concetto di cultura dal significato estensivo, non limitato al solo conoscere, ma aperto a tutto il nostro fare, anche se i mezzi di cui ci serviamo sono diversi e a volte perfino contrastanti. Mito, arte, linguaggio, ecc. sono simboli, formazioni simboliche significative per se stesse nella loro interna struttura.
In sintesi: a fondamento dell’esperienza vi è una unitaria funzione simbolica che dà forma e senso all’esperire e lo rende significativo. Il globale contesto dell’esperire si articola in vari campi, ognuno di per sé significativo e determinato.
Vincenzo Fiaschitello
Nato a Scicli il 18/10/1940. Laurea in Materie Letterarie presso l’Università di Roma con il massimo dei voti (1966) e Abilitazione all’insegnamento di Filosofia e Storia nei licei classici e scientifici; pedagogia, filosofia e psicologia negli istituti magistrali (Esami di Stato D.M.10/8/1966). Docente di ruolo di Filosofia e Storia nei licei statali (Vincitore Concorso nazionale a 119 cattedre, indetto con D.M. 30/6/ 1969) e Incaricato alle esercitazioni presso la cattedra di Storia della Scuola –Facoltà di Magistero Università di Roma dall’anno accademico 1965/66 al 1973/74. Direttore didattico dal 1974 (Vincitore Concorso nazionale D.M.25/9/1970), preside e dirigente scolastico fino al 2006. Docente nei Corsi Biennali post-universitari. Membro di commissioni in concorsi indetti dal Ministero P.I.
Autore di vari saggi sulla scuola, di opere di narrativa e di poesia.
Onorificenza su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri: Commendatore Ordine al Merito della Repubblica Italiana (Decreto Pres. Rep. 2/6/1997)