IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

Immigrazione: dal multiculturalismo alla interculturalità

(Fonte: 21secolo.news)

(Fonte: 21secolo.news)

di Vincenzo Fiaschitello

Un proficuo scambio culturale può avvenire solo se ciascun protagonista ha piena consapevolezza della propria identità. Quando ci incontriamo con l’altro appartenente ad una cultura diversa dalla nostra è come se venissimo “interrogati”, per cui è indispensabile avere piena coscienza della nostra visione del mondo, dei nostri valori, dei modelli di vita cui ci ispiriamo, della nostra cultura.

In questo senso possiamo dire che il fenomeno dell’immigrazione diventa per noi un fatto prezioso di grande rilevanza, perché ci obbliga a definire meglio la nostra identità e a liberarci da una tendenza negativa che spesso ci inclina all’autodenigrazione, a orientarci verso il cinismo, il qualunquismo e l’indifferenza, cose tutte che le migliori intelligenze della nostro popolo ci hanno da sempre rimproverato.

Questo invito a prendere posizione, ad essere sicuri e forti nei principi fondamentali, ai quali siamo legati per tradizione, per storia, per cultura, non significa affatto credere in una nostra supremazia culturale da imporre a tutti coloro che entrano nel nostro paese.

Purtroppo è stato questo l’errore dell’occidente nell’epoca della colonizzazione.

L’invito a interrogarci per conoscere meglio chi siamo serve sicuramente ad eliminare quell’errore, ma anche il suo opposto, nel quale ci siamo smarriti in varie circostanze nel tempo presente.

Si pensi, per esempio, a quel che è accaduto in alcune scuole dove certi insegnanti in maniera superficiale hanno voluto accantonare la tradizione del presepe o certi amministratori che, altrettanto superficialmente, hanno cambiato il regime alimentare nelle mense scolastiche, imponendo menu del tutto estranei alla nostra dieta mediterranea.

Così operando, taluni hanno creduto di sanare la propria coscienza nei confronti di un numero sempre crescente di immigrati, restando tuttavia sorpresi e delusi per il persistere di atteggiamenti non conformi alle attese sperate, non riflettendo abbastanza sul quadro generale in cui si inscrive il fenomeno migratorio, e cioè sul fatto essenziale che tutti noi, autoctoni e loro venuti da lontano, ci muoviamo in un mondo che non è affatto pacificato, stabilizzato, ospitale, ma profondamente diviso da interessi contrastanti, da ingiustizie e da disuguaglianze.

La globalizzazione del nostro tempo ci impedisce di guardare alla immigrazione secondo una prospettiva educativa internazionale. I campi da condividere sono molto vasti e vanno dal piano strettamente del sapere a quello sociale, politico, economico, religioso e comunque niente affatto ristretti a quello dei diritti. Si è fatto e si fa tuttora molta retorica attorno al rispetto dei diritti umani, ma quando tuttavia si va nel dettaglio del reale, che cosa accade? Accade che ogni istituzione delegata a tale rispetto, ogni settore della società all’interno di uno stato e ogni stato si tiri clamorosamente indietro, allorché deve mettere in moto le azioni concrete per realizzare il rispetto di cui sopra.

Vediamo perciò che nella scuola i proclamati progetti di educazione interculturale perdono efficienza e efficacia; vediamo che gli amministratori di città, di regioni, vengono meno ai loro doveri, lasciando languire iniziative che rimangono solo sulla carta; vediamo stati che si rimballano le responsabilità sugli sbarchi clandestini, nonché sulla distribuzione razionale degli immigrati.

Questa mistificazione di principi, questa confusione di idee, persiste ancora oggi, dopo ormai lunghi anni di esperienza del fenomeno migratorio. E’ una colpevole inadempienza della nostra civiltà occidentale che, appunto, fa proclami e dichiarazioni a favore dei perseguitati, di coloro che fuggono dalle guerre e dalla fame; civiltà che è pronta a far donazioni nei casi di calamità, ma è altrettanto pronta a “scippare”, come all’epoca della colonizzazione, ricchezze e risorse dei paesi di origine della gente disperata che giunge nella nostra terra. Insomma in nome degli interessi commerciali (capitalismo delle multinazionali) siamo pronti a chiudere un occhio se non tutte e due ( si veda per esempio lo sfruttamento del petrolio sul Delta del Niger) per favorire i pochi autoctoni che detengono il potere e ad affamare la gran parte della popolazione.

E’ in atto in tutto il pianeta già da qualche decennio un processo di unificazione, grazie allo sviluppo dei trasporti e delle comunicazioni, che va sotto il nome di globalizzazione. Lo scambio di capitali, di merci, di immagini, avviene in un tempo così rapido che qualsiasi evento ha immediata risonanza sino nella più lontana area della terra. Tutto ciò naturalmente ha generato una mescolanza di persone delle più diverse etnie, una interdipendenza di paesi, su cui poggia l’economia mondiale con il conseguente consolidamento dei flussi migratori.

L’Italia sin dagli anni settanta del secolo scorso, annoverata tra i paesi “ricchi” del mondo, è diventata come vari paesi europei meta di immigrazione per molti lavoratori provenienti dall’est europeo dopo il crollo dell’URSS, dai paesi del sud e dal lontano oriente coinvolti in guerre e in calamità naturali.

Quando si parla di immigrazione e comunque di presenza di stranieri nel nostro paese, è chiaro che tutti i problemi (accoglienza, organizzazione, concessione di servizi come casa, scuola, sanità, luoghi di culto, ecc.) sono legati a quei flussi, per lo più irregolari, che riguardano gli extracomunitari e che impongono quasi sempre alle nostre autorità militari e di polizia un impegno ogni giorno più arduo, a partire dall’intervento in mare per salvare le loro stesse vite, affinché non si ripetano i deplorevoli e gravissimi naufragi, l’ultimo dei quali a Cutro  sulle spiagge calabresi, che ciascuno di noi ricorda con dolore e raccapriccio per i tanti morti.

Ora evidentemente non si può pensare di poter stabilire un qualche raffronto con l’arrivo e la presenza di altro genere di extracomunitari, quali possono essere per esempio imprenditori o figli, parenti, che stabilmente si trovano nel nostro paese per imprese commerciali.

Questo per ricordare che da sempre c’è stata una presenza di stranieri in ogni stato e comunità nazionale a partire dai tempi più antichi. Si pensi ai greci che consideravano barbari non solo coloro che vivevano fuori dalla Grecia, ma anche tutti coloro, più o meno schiavi, che erano nel loro territorio. Furono barbari anche gli stessi romani, fino a che, dopo la conquista militare della Grecia, non impararono a parlare il greco.

Si può dire che sin d’allora l’apprendimento della lingua del paese ospitante divenne il primo importante passo verso l’integrazione con la popolazione autoctona.

Il tema dell’apprendimento della lingua è dunque centrale tra i problemi organizzativi nel corso del complesso processo di accoglienza degli immigrati.

E’ chiaro che viene chiamata in causa la scuola. Lasciando da parte i vari corsi di lingua per gli adulti stranieri, decisi e legittimati a restare nel nostro paese per aspirare ad entrare nel mondo del lavoro, vediamo quello che è accaduto e accade per i minori che vengono inseriti nella scuola.

Per fortuna, poco prima che iniziasse il vero e proprio flusso migratorio, la nostra scuola si era largamente rinnovata in linea con quel movimento della cosiddetta “Scuola Attiva” sin dall’inizio del secolo scorso per merito di prestigiosi educatori e pedagogisti come A. Ferrière, E.Claparède, O.Decroly, e aveva realizzato quella specie di rivoluzione copernicana che non vedeva più il docente al centro dell’istruzione, quasi sempre figura autoritaria , depositaria di un sapere indiscutibile e soprattutto nozionistico, ma il discente portatore di una cultura, di una dignità, di una personalità in formazione e comunque mai da umiliare, ma da sostenere e incoraggiare, secondo le proprie caratteristiche individuali.

Non è difficile ammettere che le nuove prospettive portarono a smarrimenti e a deplorevoli malintesi, in molti casi anche dannosi per gli stessi alunni.

Quando l’America si interrogò sui ritardi della scienza e della tecnologia rispetto a quella sovietica dopo il lancio nello spazio dello Sputnik, il primo satellite artificiale, Jerome Bruner presiedendo la famosa Conferenza di Woods Hole nel 1959, non ebbe alcuna esitazione ad addossare la responsabilità alla scuola che, appunto per un eccessivo ed errato rispetto dell’alunno, procedeva con attività di ricerca e modalità didattiche individualizzate per far sì che fosse l’alunno stesso a “scoprire” gradualmente il sapere. Bruner invece indusse i docenti a stimolare l’intelligenza degli alunni con l’offrire anche in anticipo determinati concetti per favorire la crescita e accelerare lo sviluppo della persona.

In sostanza era un invito, e lo è tuttora, a trovare una giusta strada per evitare da un lato quello che un tempo andava sotto il nome di nozionismo e dall’altro una sorta di “gioco ritardante” della cultura, qualora in nome del rispetto della persona, si volessero accettare anche quelle tante scorie sottoculturali di cui i discenti sono portatori.

E oggi quest’ultimo pericolo è alquanto accentuato, sia perché la nostra società si muove in un clima mediatico devastante che “impone” alle menti dei ragazzi e dei giovani tendenze e approcci, discutibili se non errati, spacciati per scienza, sia perché la scuola ha di fronte un numero sempre crescente di alunni immigrati, per i quali il rispetto per la loro personalità e per la loro cultura non deve indurre il docente a rinunciare al proprio ruolo che deve essere di guida, di tutor, di facilitatore dell’apprendimento, ma anche di “maestro”, il che comporta il dovere di conoscere profondamente se stesso e la propria cultura. Solo a questa condizione il docente può essere in grado di svolgere con competenza la propria azione educativa e didattica.

Tante e lodevoli sono ormai le modalità che la didattica ha messo a punto soprattutto per una vera educazione interculturale ed è bene che il docente le conosca, le scelga, le faccia proprie, senza tuttavia dimenticare la cultura, la propria e quella degli altri in un rapporto dialettico.

Proprio per questo oggi si preferisce vedere la questione non sul piano della multiculturalità, ma su quello della interculturalità. Si deve partire dal presupposto che nessuna cultura può vantare una egemonia. E’ necessario l’incontro, è indispensabile trovare gli aspetti comuni, trovare  l’umanità che ci accomuna in ogni realtà culturale e sulla base di un’Etica interrogarsi vicendevolmente, perché nessuna cultura può dirsi tutta giusta o tutta cattiva.

Il punto fermo sta proprio in questo: laddove l’etica ci dice che qualcosa non è in linea con l’umanità comune, occorre, al di là dell’onore e del rispetto che per principio dobbiamo alla cultura ospitata, una irremovibilità, una fermezza, che non va assolutamente scambiata per sopruso o presunzione. Infatti, per esempio, chi di noi occidentali potrebbe sentirsi in colpa se dichiarasse “inaccettabile” la mutilazione del corpo di una bambina? o il taglio della mano di un ladro? o l’acquisto di una o più mogli? o la negazione del diritto di istruzione a una ragazza? o l’imposizione di un matrimonio?

Premesso tutto ciò, resta a tutt’oggi il problema inquietante della prima accoglienza dei migranti che giungono illegalmente e varcano i nostri confini dopo traversate pericolose, affidandosi a mercanti senza scrupoli.

Il nostro paese da tempo ormai giustamente chiede all’Europa una concreta partecipazione per una equa distribuzione degli immigrati, ma finora le risposte non sono state affatto soddisfacenti. E il problema diventa ogni giorno più grave. Le navi delle ONG perlustrano il Mediterraneo e salvano molte vite umane, spesso incorrendo in sospetti di accordi con i mercanti che trasportano gli immigrati. I nostri mezzi navali, aerei e terrestri sono in continuo allarme ed espletano un servizio encomiabile e massacrante, giorno e notte. Tuttavia non mancano le critiche per insufficienze, ritardi, disorganizzazione. In questa quotidiana e convulsa azione volano anche accuse di disumanità per presunte volontarie crepe nella fase di intervento contro chi si è lasciato sfuggire il pensiero che comunque quella gente non doveva affrontare il pericolo della traversata su imbarcazioni di fortuna.

Quante ali di naufragi ancora debbono toccarci il cuore perché noi abitanti di una terra chiamata Europa ci decidiamo a studiare il problema del fenomeno migratorio con serietà, competenza e creatività per risolverlo? Quante esequie di corpi soffocati dalle acque del mare nostrum debbono ancora essere celebrate per scuotere le nostre coscienze?

Sì, è vero, quella gente non doveva affidarsi al Caronte traghettatore di turno e doveva sapere dei rischi mortali dell’attraversamento.

E allora?

Dove la metti la fame, la guerra, la paura, l’odio tribale, la tortura di ogni giorno?

Non sono forse terrificanti altrettanto e più delle onde tempestose del mare?

Come possiamo fermare queste schegge, questi lembi di fuoco d’ansia e di libertà, questi nugoli, sciami e frecce di palpitante ardore che hanno una visione della vita molto diversa da quella nostra comoda e sicura?

L’immigrazione illegale è tutta qui!

Finché i responsabili politici non sentano l’urgenza irrevocabile della necessità di aiutare queste braccia, queste intelligenze, a integrarsi tra la nostra gente in maniera dignitosa, umana e pacifica, il nostro paese e l’Europa tutta porterà il peso di un fallimento epocale.

Questo impegno gli stati europei lo debbono assumere con responsabilità. Chi più, chi meno, con la colonizzazione prima e con lo sfruttamento ora con la presenza delle multinazionali, ha assestato e continua a farlo la sua quota di sofferenza e di miseria alle genti che si precipitano nelle nostre terre.

D’altra parte, in particolare noi italiani, se prendiamo per buono il pensiero dell’imprenditore E.R.Musk, il quale dice che l’Italia sta scomparendo, dal momento che le nostre donne hanno deciso di non fare più figli (e le colpe sappiamo bene che non sono da imputare alle donne, ma alla politica che per decenni non si è occupata della famiglia e dei suoi problemi), l’arrivo di tanti migranti può costituire un’ancora di salvezza, a condizione ovviamente di predisporre sagge misure organizzative. Per problemi meno importanti e vitali si creano cabine di regia, perché non farlo per la questione migranti? Non credo che possiamo uscirne indenni dalla catastrofe in cui stiamo precipitando con i “pannicelli caldi” dei campi profughi, con il tentativo diplomatico di frenare i flussi migratori ricorrendo alla concessione di beni e servizi alle autorità politiche degli stati da cui provengono i flussi o peggio con la minaccia puerile e antistorica di un progetto di blocco navale.

Lavoriamo seriamente per costruire rapporti di vera umanità, se vogliamo il mantenimento della tanto sospirata pace. E’ sempre presente il pericolo che tanta gente diseredata possa rivolgersi a un falso Mosé, pronto a promettere di aprire le acque del mare che ci separa, per facilitare il “passaggio”.

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