Il caro petrolio, la politica internazionale ed il radicato nichilismo. La società moderna del XXI secolo ha cessato di sognare
di Pompeo Maritati
Visto il delicato periodo economico e sociale che stiamo vivendo in questo scorcio di secolo, desidero riproporre un mio articolo di quasi dieci anni fa, giusto per evidenziare che i decenni passano, ma i problemi restano.
In questi primi giorni del nuovo anno l’ennesima impennata del costo petrolio ha sfondato il muro dei cento dollari a barile. Nel giro di appena tre anni il costo del barile si è letteralmente raddoppiato passando dai 49 dollari di allora ai cento di oggi. Comunque va segnalato che a metà anno 2007 il barile quotava 70/72 dollari quindi l’impennata più rilevante è addebitabile al secondo semestre 2007. Maggiore richiesta di petrolio da parte delle economie emergenti, manovre speculative poste in essere sui mercati, stanno determinando un periodo di instabilità e soprattutto di incertezza. Un costo così elevato sta già innescando una irrefrenabile corsa al rialzo dei prezzi che diventa più preoccupante se accompagnata dal solito comportamento isterico delle masse dei consumatori scarsamente tutelati e mal rappresentati da una miriade di associazioni di consumatori, che proprio per il loro numero e per la loro scarsa incisività poco o nulla possono di fronte a poteri così grandi.
D’altronde noi contribuenti, nelle fatture petrolifere stiamo già da tempo pagando il costo per il mantenimento di basi militari intorno al mondo. Alcune delle componenti del costo petrolifero servono anche per mantenere al potere regimi corrotti, spesso brutali e nel contempo grandi possessori o manovratori dell’oro nero. Non è difficile comprendere che oggi la politica internazionale è protesa oramai alla protezione dell’approvvigionamento di tale fonte energetica primaria. Di fronte ad una tale necessità, su cui ruota tutta l’organizzazione funzionale di una nazione ed ovviamente la parte più preponderante del potere finanziario mondiale, la politica diviene lo strumento meno determinante.
E’ una considerazione difficile da digerire ma l’impressione che si ha è che la politica abbia perso il suo ruolo, divenendo succube dello strapotere di poche società (aziende) divenute troppo grandi, troppo forti che riescono a controllare ingenti masse di capitali, i cui repentini spostamenti possono generare delle vere e proprie crisi che andranno a ripercuotersi sugli equilibri politici dei territori eventualmente interessati. E’ diventato particolarmente complicato seguire il bandolo della matassa degli intrecci. Ecco perché riteniamo che in definitiva grandi scossoni non dovrebbero essercene, in quanto favorendo la crescita dei paesi più poveri se ne favorisce la produzione di ulteriore ricchezza che andrà a beneficio dei soliti i quali, non essendo stupidi, non manovreranno mai contro i loro stessi interessi. Anche questo però va inquadrato come un vero e proprio finanziamento.
La caduta in termini economici e di ricchezza, di qualche area territoriale anche se può produrre eventuali perdite, queste risultano temporanee, favorendo il rafforzamento della propria presenza, divenendo così, nel tempo, determinanti attraverso la scelta degli orientamenti politici. Non è fantapolitica, è la constatazione di ciò che oramai da tempo sta avvenendo sul palcoscenico economico di questo mondo, dove gli interessi di pochi prevalgono su tutti gli ideali dell’uomo.
Il nichilismo esasperato del precedente secolo ha posto le basi per la trasformazione di questa società, in cui al centro, l’uomo ha lasciato lo spazio incondizionatamente al denaro ed al soddisfacimento dei bisogni strettamente materiali.