“Falso movimento” un romanzo a puntate di Gianvito Pipitone (undicesima puntata)
E invece l’archistar parigina, in Francia come altrove, aveva finito col litigare con tutti. Ed era finito nel mirino per un conto troppo salato del suo studio. La procura stava indagando da mesi ormai sui super costi dei 33 piani progettati da Dutroux, che sarebbero stati adibiti ad uffici del Ministero della Difesa. «Un pozzo senza fondo» lo aveva definito il procuratore che aveva in mano il fascicolo e che stimava attorno agli otto milioni di euro il danno erariale per l’amministrazione. Per una valutazione ufficiale sulla parcella chiesta, il magistrato aveva chiesto una consulenza all’Ordine degli architetti: il responso ne era stato che il compenso pagato all’architetto superava di 4 milioni la tariffa prevista dalle tabelle professionali.
L’altro grande progetto dove lo studio di Dutroux era al lavoro con un cantiere ultra decennale era la Cascata di Parigi, il nuovo centro congressi che dovrebbe sorgere nell’esclusivo quartiere de la Défense. Una Cascata di guai, di ritardi e di spese, dove certo, pagava il privato ma anche il Comune e lo Stato nella componente del ministero del Tesoro. Il costo previsto dalla gara d’appalto era di 272 milioni, ma negli anni il conto era lievitato a 415. Il parcellone di Dutroux, 12 anni impegnato nel progetto, si aggirava attorno ai 20 milioni, pari quasi a 1000 anni di stipendio di un architetto di provincia, e per un’opera incompiuta per giunta.
Certo le colpe di questi ritardi non erano da imputare solamente allo studio Dutroux: le numerose varianti in corso d’opera ne avevano dapprima raddoppiato poi triplicato i tempi di esecuzione con un aumento dei costi esponenziale, anche a causa di un eccessivo ricorso ai subappalti.
«La spesa per la parcella del progettista, al di là di ogni più generoso riferimento alle tabelle professionali, appare incredibilmente spropositata, così da chiedersi se la somma debba ritenersi giustificata» aveva sentenziato la Corte in un primo stralcio del processo. Ma Dutroux se ne fregava. Il suo canovaccio era sempre lo stesso: prima incassare, poi mandare a quel paese tutti. «Mi hanno fatto fuori, forse perché vogliono avere mano libera sull’opera. Sono stato preso nella trappola di Parigi perché volevo fare qualcosa per la mia città». Troppa generosità insomma.
E così, dopo aver sollevato un polverone a Parigi e dintorni, parcella dopo parcella, il suo studio viaggiava a gonfie vele, incassando lavori prestigiosi specie fuori dalla Francia, in Russia, o in Cina, dove incontrava meno problemi.
Nel frattempo si andava delineando il suo profilo pubblico, svelando al mondo un carattere a dir poco problematico. Una volta aveva incontrato l’ex capo della Protezione civile in un ristorante a Londra e lo aveva insultato violentemente, con tanto di rissa finale. “È meglio che le mani le usi per il mestiere, che gli rende bene” scrissero i giornali, il giorno dopo. Ma nessuno scandalo, nè la sua iracondia e meno che mai una zuffetta fuori programma, sembravano scalfire la sua fame di ricchezze. E in poco meno di due decenni era riuscito a mettere insieme 6 immobili a Parigi, due piani alla Defense, e una ventina di vani nel cuore del centro storico: nel XIII arrondissement a due passi dal Trocadero. Mentre fuori città la sua pesca si era indirizzata verso le classiche mete estive: una villa a Bonneuil sur Marne, una nelle vicinanze di Arcachon a due passi da Dunes du Pilat, un’altra sulla splendida Costa Azzura appena fuori Tolone e una in Corsica, meta radical chic di svariati vip dell’Intellighenzia sinistroide. Ultima acquisizione, sulla falsa riga di diversi vip del jet set parigino, un dammuso sull’isola di Pantelleria in Sicilia, con mini vigneto terrazzato. Insomma davvero niente male per uno che, almeno all’inizio della carriera, si diceva ispirato dal credo marxista. Non erano passate sotto traccia, ai tempi dell’Università, le sue posizioni estremiste, secondo cui il compito principale della Politica Marxista “non era semplicemente quello di analizzare la società capitalista ma quello di cambiare radicalmente il mondo”. Almeno da quanto si leggeva, dalla quarta di copertina della sua tesi di Laurea.
Cedric rifletteva su tutto quello che l’amico Alain Leclair gli aveva raccontato di Dutroux quella notte. Strano come un uomo che aveva imparato a conoscere debole, incerto, indifeso, quasi ritroso e timido nei suoi atteggiamenti, potesse in realtà nascondere un pedigree così contorto. A guardarlo da lontano, ma anche da vicino non l’avrebbe mai ritenuto capace di quanto gli veniva imputato.
Non era infrequente che Cedric ad un certo punto delle indagini si trovasse in una sorta di impasse. Per un motivo o per un altro non riusciva più a seguire un filo logico, se mai ne avesse seguito uno dall’inizio di quella avventura. Tutto gli sembrava così campato in aria, così irrilevante. La sua teoria della sottrazione all’osso era andata a farsi benedire. Di fatti, prove e indizi non ne aveva raccolto un granchè. Se anche avesse dovuto escluderne alcuni, questo di certo non gli avrebbe depositato in mano la verità. Quello su cui si ritrovava a lavorare erano solo dettagli di piste. Di quella tipologia che si ferma molto prima di ogni riscontro fattuale. Avrebbe forse dovuto scavare più a fondo nella vita di Madame Nerval? Forse. Si rimproverava una certa leggerezza nella gestione del caso. Aveva tralasciato per esempio fino a quel giorno di mettere sotto torchio le uniche persone che avrebbero davvero potuto aiutare a capire davvero chi fosse e come fosse Eric: i suoi genitori.
Cosa sapeva di Mme Nerval? Del suo rapporto passato con il marito? A parte il loro burrascoso presente e un triste passato fatto di ripicche, scontri, veleni e gelosie, poco altro. Niente che non fosse un’istantanea dettata dalle circostanze. Madame Nerval con la sua carica erotica, quella specie di insaziabile mangiauomini, che a dispetto della sua frivolezza e studiata superficialità sembrava sapere bene sempre da che parte tirasse il vento, come sfruttarne la spinta o come mettersene al riparo. Di lei sapeva molto meno rispetto a quanto era venuto a sapere di Dutroux. Ma a torto o a ragione, era convinto che scavare su di lei sarebbe stata solo una perdita di tempo.
Cedric l’aveva battezzata troppo vacua per aver solo potuto costruire alcunché nel corso della sua esistenza. Se si escludeva il matrimonio, all’interno del quale, aveva intuito, valevano le tacite regole del libertinaggio reciproco, non sembrava aver sviluppato interessi personali o particolari reti di amicizie o influenze diverse da quelle dell’archistar. E infatti, a 44 anni suonati, quasi 10 meno del marito poteva contare su poche pochissime persone che non fossero collegate al rapporto del precedente matrimonio.
I soli argomenti che si riusciva a toccare con lei riguardavano shopping, moda, e gossip dell’alta società parigina. Per molto meno, la donna avrebbe ispirato una delle fatidiche metafore del detective. Metafora che non tardò ad arrivare. Una donna così era l’equivalente di una torta Saint Honore’: la cui bellezza statuaria si sposava alla leggerezza e alla bontà incondizionata della sua sfoglia. Ma una volta ingurgitata ti lasciava quel senso di inspiegabile insoddisfazione. Ecco cos’era madame Nerval: una torta pomposa piena di piccole bolle d’aria, ricca all’esterno ma terribilmente vuota dentro.
Dutroux invece, a dispetto della sua fama o anche grazie a quella, si era dimostrato un personaggio dall’enorme peso specifico, ma greve, legato mani e piedi al sistema politico, da cui traeva le sue fortune. Chissà a quale prezzo. Un personaggio che proprio per sua natura e per il suo ruolo risultava divisivo: invidiato e odiato allo stesso tempo. E lì la ragione si perdeva in tanti rivoli. In quasi trent’anni di carriera Dutroux aveva potuto farsi centinaia di nemici che adesso l’avrebbero voluto e potuto ricattare. E come se non bastasse, allo stesso tempo, l’uomo risultava coinvolto in una non ben precisata società di comunicazione, una sorta di massoneria melensa, secondo quanto gli riferiva il giornalista Leclair, che raccoglieva le migliori menti e i migliori portafogli di Parigi: Veterania. Di questa società segreta esisteva l’equivalente in forma giovanile, Novalia, che provava a raccogliere online il favore dei figli dei rampolli, indirizzandone scelte e gusti, oltre che influenzarne abitudini e frequentazioni.
Nonostante la sua avversione ai sistemi tecnologici, Cedric dovette trascorrere il resto della nottata nella sala internet-cafè della hall dell’hotel, a scandagliare il profondo web in cerca di altre informazioni su quelle due società. Senza riuscire peraltro a saperne molto di più.
Su una sola questione il detective aveva raggiunto a quel punto un minimo di verità. Con due genitori così, non c’era da meravigliarsi se Eric, compiuti i diciotto anni, avesse deciso di sparire dai loro radar. E far perdere le sue tracce per qualche tempo, se non per sempre. Ma c’erano troppe incongruenze sull’ipotesi di una fuga deliberata da parte del giovanotto. Ad esempio, il denaro. Chiunque avesse programmato una fuga, si sarebbe per lo meno munito di un grosso quantitativo di cash. Invece non vi era traccia di nessun prelievo sospetto antecedente alla sua sparizione. Almeno fino a quel martedì, gli aveva notificato l’angelo biondo di Tolosa, il poliziotto Antoine che si era ben speso anche sulle visure bancarie del desaparecido. Si sapeva che ad Eric erano collegati due conti, così come confermato da Dutroux. Ma l’ultimo movimento, un prelievo di 100 euro, risaliva a più di una settimana prima. Impossibile, diceva a sé stesso il detective, che con quella somma in tasca si possa pensare ad una fuga in alcun posto che non sia nel giardino di casa propria. Meno che mai in Sudamerica, come facevano eco le parole di Yvonne che continavano a tornare a galla.
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Se Cedric sembrò lasciarsi convincere, fu per pura convenienza strumentale. Muoversi in campagna senza auto sarebbe stato improponibile e il monastero di Citeaux sembrava troppo fuori rotta per avventurarcisi coi mezzi pubblici. Era comunque giunto quella sera ad un compromesso con Dutroux. Avrebbero continuato insieme la loro indagine ma a patto che l’architetto si fosse sbarazzato della ex moglie. La determinazione con cui Cedric aveva proposto lo scambio all’architetto quella sera aveva stupito entrambi. E l’accordo fra i due uomini sembrò allentare le tensioni delle ultime ore, ristabilendo una nuova tregua.
L’indomani di buon mattino Madame Nerval, nera in volto, fu vista uscire dall’hotel e imboccare furiosamente il primo taxi per la stazione. Senza rimorsi di sorta i due uomini si diedero appuntamento a colazione per poi montare subito dopo sul Suv che Dutroux lanciò a tutta velocità sulla E 17 in direzione Beaune. In campagna trovarono qualche grado in meno rispetto a Dijon e non appena furono sul piazzale quasi deserto dell’abbazia di Citeaux, Cedric si sorprese a scrollare la testa nella gelida brezza decembrile, producendosi in un verso animalesco, come a voler scaricare freddo e tensione allo stesso tempo.
-Non mi pare un posto particolarmente popolato, sillabò Dutroux, producendo dalla bocca un getto intermittente di nuvole di fumo lunghe e dritte.
-Non è il posto che ci si aspetta, rispose laconico Cedric, cercando di scorgere l’entrata, da uno dei due varchi nel possente muro di cinta.
Ad intuito scelse il cancello sulla sinistra oltre il quale una falla fra gli alberi secolari, lasciava intravedere quello che sembrava uno spicchio di navata di una cappella. Passarono oltre i bagni e si ritrovarono davanti ad un cartello con gli orari di apertura dell’abbazia. Con un gesto appena accennato di stizza Cedric informò Dutroux che il complesso sarebbe stato chiuso quel giorno, essendo di mercoledì. Dutroux sembrò assorbire la cattiva notizia rimanendo immobile, mentre le sue narici fumanti ad intervalli regolari gli conferivano l’aria di un toro minaccioso.
– E ora che si fa? toccò a Dutroux di rompere il silenzio generato dalla delusione.
Cedric tacque portandosi innanzi al cancello. Sentì una fastidiosa sensazione, come se i propositi di tregua con Dutroux, avessero generato una sorta di strano affiatamento fra loro. E si sentì a disagio. Spiò a destra e a sinistra oltre le inferriate del cancello e subito dopo si mise a perlustrare le mura alla ricerca di un campanello. Ci doveva pur essere da qualche parte un citofono che permetteva di comunicare da fuori con i monaci. Ad ispezione ultimata, dovette arrendersi. Niente citofono.
Dutroux calpestando i grossi ciottoli di ghiaia grigiastra lo aveva intanto raggiunto, mostrandogli lo schermo del cellulare mentre stava per inoltrare una chiamata.
-Ho appena trovato il numero su internet. Ci dovrà pur rispondere qualcuno, no? E nel finire la frase, non riuscì a sopprimere un’espressione di vago compiacimento per la sua trovata.
Ma aveva cantato vittoria troppo presto, poiché dopo una decina di squilli, il telefono si ritrovò in modalità segreteria. Né ebbe maggior successo riprovandoci.
Nonostante il fiasco che sembrava profilarsi, Cedric tentò di cogliere il lato positivo. Provò intanto a respirare a pieni polmoni l’aria di campagna carica di fresco concime. Ne avrebbero beneficiato i suoi bronchi. Poi si rifece gli occhi allargando lo sguardo alla campagna circostante, immersa in un verde ordinato e ammantata di una nebbiolina appena accennata. E per un lungo istante, in quell’atmosfera sospesa, si godette il silenzio profondo della valle. Di tanto in tanto, dalla vicina statale, arrivava il rumore frisciante della scia di un automobile sull’ asfalto reso viscido dalla lieve pioggerellina. Tutto sembrava perfetto, tranne ovviamente la presenza di Dutroux. Quando non era alle prese con qualche grana telefonica del suo ufficio si chiudeva in un silenzio ostinato. Ogni tanto scuoteva la testa, borbottava qualcosa, senza sapere bene cosa. E tornava ad attaccarsi al suo auricolare.
– Qua non c’è nulla che possiamo fare adesso se non pregare. Cedric cercò di allentare la tensione.
– Nemmeno quello possiamo fare. La chiesa è sprangata e non pare ci sia anima viva qua intorno. Rispose Dutroux al quale, rifletté Cedric, non avrebbe certo fatto difetto un po’ più di ironia.
Decisero quindi di rimettersi in macchina ma prima di partire Cedric indicò a Dutroux di costeggiare la fattoria che sorgeva lì accanto, all’ombra delle mura dell’abbazia. Il Suv si insinuò fra le pozzanghere di una strada sterrata e dopo l’ennesima chicane si arrestò al centro di in un enorme piazzale. Da lì si aveva accesso ad una serie di capannoni: un fienile, diverse stalle e un grande deposito centrale con il portone aperto. Cedric intuì movimento all’interno. Qualcuno stava armeggiando con un trattore. Indossava una tuta azzurra e sembrava resistere ad ogni loro tentativo di approccio.
Nonostante li avesse ben notati, il fattore non esitò ad avviare il motore del trattore provocando un fragoroso rumore e sprazzi di fumo nero di gasolio che in breve finirono per saturare l’intera stalla. Cedric si fece schermo con il braccio e provò a penetrare le dense nuvole di fumo.
– Hey, questa è proprietà privata. Irruppe ad un certo punto il burbero contadino, che lasciato il trattore in folle e sollevatosi i piedi dalla postazione di guida, a brutto muso, fece intendere chiaramente che non erano i benvenuti.
– Scusi tanto. Ribatté Cedric alzando le mani e assumendo un’aria educatamente colpevole.
Il Dioscuro, dall’alto dei sui due metri di altezza restò per un bel po’ in silenzio, staccando lo sguardo ora in primo piano su Cedric ora su Dutroux che rimaneva sullo sfondo.
Per quanto inopportuno, Cedric decise di presentarsi.
– Signore ci spiace disturbare ma siamo turisti, veniamo da Parigi e pensavamo che il Monastero fosse aperto oggi. Che Lei sappia, c’è un modo per visitare la chiesa, anche per pochi minuti?
Il nerboruto villico gli diede un’ultima occhiata, poi raccolse i suoi effluvi e sputò a terra. Contemporaneamente si munì di una lunga leva di ferro che prelevò dalla cabina del trattore e si apprestò a scendere minacciosamente dal mezzo.
– Hey hey amico, veniamo in pace… Gridò Cedric incredulo delle cattive intenzioni dell’uomo.
Non ebbe nemmeno il tempo di finire la frase che l’ ombra dell’uomo sembrò piombare sulla sua sagoma. Cedric arretrò e quando comprese che le sole parole non lo avrebbero salvato, girò i tacchi e prese a fuggire disperatamente, gridando all’indirizzo di Dutroux che era rimasto nei pressi della auto:
– Metti in moto, cazzo, metti in moto!.
Il detective si sentì disperatamente il fiato sul collo e una sensazione come se il cuore gli uscisse dalla cassa toracica, quando puntando dritto alla portiera si infilò al volo nell’abitacolo del Suv che, sgommando sullo sterro polveroso, si allontanò velocemente. Non troppo in realtà da evitare un fendente di zappa con il quale il villico riuscì a tirare giù il lunotto posteriore della vettura dell’architetto.
Sbucati fuori dalla strada sterrata, Cedric e Dutroux si guardarono per un istante negli occhi, incerti se essere contenti per aver scampato il pericolo o furiosi per l’assurda insensatezza di quella violenza. Rimasero in silenzio per quasi tutto il tragitto che li vide rientrare a Dijon. Dutroux, nervoso, picchettava sullo sterzo fissando ogni istante lo specchietto retrovisore. Non aveva fornito nessun commento a quella follia, né Cedric ebbe voglia di condividere con lui i suoi pensieri o, tanto meno, di rincuorarlo. Eppure, quell’incredibile incidente aveva, nella mente del detective, contribuito a scagionare l’architetto. Cedric non sapeva bene da cosa e per quale motivo.
Che stupidità la sua, rimuginava il detective, mentre il Suv di Dutroux provava a farsi largo nella stretta via davanti al Lycée Les Arcades. Per un attimo ebbe vergogna del suo titolo di detective, davanti alla Hall of Fame della categoria. Inseguire la pista di un profumo, rilevato sulla cornetta di un telefono pubblico, indirizzato dall’arroganza di un profumiere conteso da due tardone compiacenti dei suoi favori. Un’altra breve istantanea, il fiasco della serata al Baby Luna, lo colse alla sprovvista. E si stupì del buon gioco della sua emotività. Fin quando, spostando un pò di mobilia nella mente, provò a ritrovare il piglio del suo ex capo alla Polizia, Monsieur Vigneron. La sua meticolosità, il suo riserbo, la capacità di maneggiare la materia con estrema freddezza, con distacco. Con acume e sensibilità. Cedric si ritrovò sospeso e agganciato a quella cella mentale dalla quale non sarebbe mai voluto scendere.
Poi scorse da lontano l’imponente sagoma di Yvonne varcare il cancello del prestigioso Istituto privato.
E corse ad intercettarla.
La dodicesima puntata sarà online il prossimo 30 gennaio.