Una R(v)ita vista Senna
di Bianca Apollonio
L’universo di Rita è un maxi schermo sulla Senna, resta intatto se colpito dal vento, acceso persino se nessuno è sveglio.
«Vieni qui, guardati un attimo allo specchio. Mia madre mi diceva sempre: “guardati sempre allo specchio prima di uscire. Se non ti piaci, continua a guardarti finché non inizi ad apprezzarti”. Quando ti piacerai diventerai sicura e nulla ti potrà fermare, è una questione di sicurezza, non di bellezza. Io mi vesto sempre bene, anche solo per andare a fare la spesa al supermercato».
Istintivamente cerco il mio riflesso nelle vetrate color cipria che mi circondano, con il profilo che si perde tra le péniches, sono sempre più lontana dal Quai de la Mégisserie, Parigi 1e, dove i commercianti di animali dell’antico mercato di Les Halles lavoravano le pelli e dove le rive della Senna si portavano via ricordi di pranzi e desideri inespressi di lavatoi e lavandaie.
Cammino sui Sanpietrini, sono a Roma.
Rita ha morbide gote di pesca, ha diciott’anni e lascia che il corpo si muova assieme alle note e chi l’accompagna a tempo.
« Sono nata dopo la guerra, a Roma, in Italia.
Mio marito l’ho conosciuto alla mia festa di diciott’anni. Mio padre mi aveva organizzato una festa in un albergo bellissimo e lui non era stato invitato, un mio amico l’ha portato ed è scattata subito una scintilla, dopo sei mesi ci siamo sposati, ci credi? È stata la mia gioia, lui era una persona intelligente, forte.
Guarda l’intelligenza, sempre l’intelligenza, è meglio avere accanto una persona intelligente e meno bella che una sciocca ma bella. Vale per tutti, uomini e donne, di bellezze ce ne sono tante, ma se hai uno sciocco accanto poi ti scocci. »
Rita siede a gambe incrociate sul divano, le sue parole se ne vanno a spasso per poi giungere dritte nel petto di chi l’ascolta, ha corde vocali gravate dalla dolce vita e dal sole che ha dentro.
Distante eleganza tradita dalla vivacità della città d’origine.
La guardo scoprire Siena, Parigi, facciamo il giro del mondo fino a tornare a pochi passi dal Pont Neuf.
« Ci siamo trasferiti a Parigi trentacinque anni fa, mia figlia studiava qui e mio marito ha adorato questo paese perché c’è rispetto ed educazione, poi i parchi sono bellissimi. La prima volta siamo venuti col pulmino, eravamo giovani, non avevamo tanti soldi ma eravamo felici, stavamo sempre insieme, non come le coppie di oggi che si vedono ogni tanto e abitano in posti diversi. Alla mia epoca sarebbe stato inconcepibile, e poi quando passi la vita insieme a qualcuno ti senti protetto, è bello sentirsi protetti e non soli.
A quel tempo l’amore era la vita, si poteva litigare ma ci si ritrovava.»
Rita guarda indietro, i suoi occhi si colorano di lucciole e sentimento. Vedo lei e suo marito viaggiare su quattro ruote, stretti l’uno all’altro come fili ingarbugliati, sono fiumi diversi che confluiscono nello stesso mare. Poi si zittisce e osserva un punto a me ignoto, forse ricorda le stelle che guardava dal tetto vetrato del pulmino.
Il suo sguardo ricorda la carta vetrata, leviga i muri del presente unendoli al passato. Occhi ruvidi per chi accetta il momento e ricorda con ardore ciò che ha amato.
« Quando è morto mio marito, undici anni fa, è stata dura ma dovevo essere forte, bisogna imparare a scherzare con l’assurdità e col buio, fare come fanno al Pronto Soccorso, dove arriva di tutto… Mio marito mi raccontava che un suo collega, quando doveva tagliare un braccio o una gamba, iniziava a cantare ‘O boscaiolo…’
La verità è che si deve smettere di pensare così tanto, bisogna essere adattabili e meno razionali, i dispiaceri si devono mettere dietro, è l’unico modo per sopravvivere…»
Quasi ogni giorno Rita passa dalla Piazza di Châtelet e si commuove guardando un gruppo di ballerini di tango, a casa invece dipinge con diligente precisione le idee di abiti che le balenano in testa e in seguito le porta in passerella.
Cambiano le stagioni, Rita resta intera anche se intorno a lei è tutto buio.
« Ho sempre disegnato tanto, ho creato tante collezioni di vestiti, ma diciamoci la verità, il benessere ha un po’ deviato la vita delle persone, la vita non è il bel vestito…
Ma si può incolpare qualcuno che non ha le stesse possibilità e si ritrova a scappare dalla guerra o vive una situazione insopportabile e alla fine impazzisce e butta il figlio dalla finestra?
Se non si ha un po’ d’umanità non ci resta nient’altro. »
Rita prende una lampada ricaricabile e mi invita a seguirla nella sala da pranzo per mostrarmi il tratto delicato con cui è stata dipinta una natura morta. Ci spostiamo alla casa d’asta Drouot, Parigi 9e, un aeroporto colonizzato da celebri ciocche di capelli, pellicce, quadri, gioielli e portaombrelli. La mia guida scruta ogni stanza, accarezza tutto ciò che le si presenta davanti.
A volte acquista, a volte no, ciò che la interessa di più è scoprire la storia custodita in ogni oggetto.
Il banditore batte l’ultimo colpo, la folla intorno a noi gradualmente si dirige verso l’uscita dell’hotel, Rita invece porta le mani al petto e riattacca a raccontare.
« Sai, quando ho chiesto a mio padre se potevo partire con il mio futuro marito a Siena e gli ho detto che poi ci saremmo sposati, lui non mi ha chiesto da che famiglia venisse, se fosse ricco o altro, mi ha solo chiesto se fosse onesto, l’onestà è la cosa più importante.
Bisogna insegnare e inseguire l’onestà.
E tu, tu sei onesto? »