IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

“Un ragazzo degli anni settanta” Una storia in dieci puntate di Tiziana Leopizzi (7/10) 

Franco-Repetto

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Per gli studenti italiani esisteva la possibilità di ricevere un assegno di sostentamento annuale chiamato “presalario” destinato agli  figli di genitori a bassissimo reddito.

Un sostegno economico di 250.000 lire per i residenti e 500.000 lire per i fuori regione.

Con papà si fece regolare domanda ma tale assegno non ci venne accordato in quanto il suo stipendio  superava i termini stabiliti di 7.800 lire ogni mese.

Furioso e deluso, mi resi subito conto che non avrei né potuto né voluto chiedere ancora di più ai miei genitori. Cercai al più presto lavori e, assieme ad altri, trovai assunzioni a chiamata per scarico e carico frutta e verdura in ore notturne presso il mercato di San Lorenzo. Sacchi di patate, cipolle, camion di meloni e angurie erano le più terribili con un lavoro ininterrotto e incalzante. Braccia rotte e ritmi ossessivi. Comunque, oltre alla poca ma sicura paga, al mattino si portava a casa anche qualche sacchetto di vettovaglie. Sempre e solo verdura ma … benedetta!

Altra attività notturna consisteva nella raccolta di cartoni e bottiglie vuote.

Uno spartano riciclaggio di quegli anni quando i cassonetti e la raccolta differenziata non esistevano ancora neppure nelle idee dei progettisti comunali. I netturbini, settimanalmente, lasciavano  un numero di sacchetti per l’immondizia nei portoni calcolando le unità famigliari residenti e null’altro.

Noi, selvaggi senza contratto, non avevamo alcun diritto per cui … ci si arrangiava prelevandone indebitamente uno a famiglia.

Noi “quattro della notte” battevamo ogni strada con botteghe e locali alla ricerca di scarti utili da rivendere al mattino. Di certo senza carretti o altri mezzi era un lavoro pazzesco trasportarsi dietro il bottino della notte e ben presto ci rendemmo conto del fatto che senza un briciolo di organizzazione preventiva tutte le nostre fatiche, per altro divise per quattro, producevano degli utili troppo irrisori. Considerando anche il fatto che, nonostante i nostri vent’anni, la fatica e il cumulo di nottate in bianco, minavano anche il lavoro in Accademia.

Il sabato sera era il momento delle inaugurazioni. Dalla bacheca dell’Accademia si prendeva preventivamente nota di tutte le mostre della città e si organizzava lo strategico tour comprensivo del maggior numero di eventi. Non certo per la festa dell’Arte ma per i buffet. E lì, in quelle occasioni, la pittura, la scultura, la fotografia  divenivano un magico pretesto per degustazioni offerte dagli espositori sia conosciuti che non. Il paradosso e la sorpresa stava nel fatto che più l’esposizione era scadente migliore era il rinfresco.

Altro accorgimento alimentare consisteva nel passaggio dei bar sotto casa al momento della chiusura quando, con un l’ultimo caffè prima delle pulizie, si poteva approfittare del dono di qualche cornetto stanco dell’intera giornata trascorsa in vetrina e improponibile al pubblico il giorno seguente.

Assomigliavamo a topi guardinghi e svelti ad approfittare delle occasioni. La faccenda più intrigante consisteva nel fatto di non preventivare mai più di tanto, lasciando sempre un buon margine di improvvisazione.

Tutto diveniva persino elettrizzante anche al compiaciuto e successivo irridente ricordo.

Potrà sembrare strano ma per questa nostra condizione eravamo addirittura invidiati. Ogni tanto, qualche rara sera, un nostro ex compagno di Liceo, fortunato lui, molto facoltoso e potente pittore, presente pure lui in Accademia, ci veniva a far visita d’improvviso intorno all’ora di cena.

Alberto si presentava con le braccia occupate. Nell’ordine: due fiaschi di Chianti Putto, due polli arrostiti fumanti, filone di pan toscano sotto braccio e “cannone” spento in bocca. Suonava alla porta  gridando : “ Aprite, maledetti Artisti !!!”

Gran bisboccia terminante con giro fumoso (il mio sempre di semplice e regolare toscanello). Si parlava di pittura, scultura, poesia, nuove tendenze, di autori e mercato. Si battibeccava come lo si può fare per il calcio o per idee politiche o religione. Ci si accendeva per Duchamp, Goya, Christo , Rilke, Kafka, Tintoretto, Manzù o Marino.

Poi, finito il vino terminavano pure i concetti e l’amico se ne usciva quasi sempre con frasi folli del tipo: “Ecco, stasera ho speso tutto quello che avevo. Ho le tasche vuote. Ora sono come voi!” Lo accompagnavamo alla porta con pacche sulle spalle e moltissimi Arrivederci.

Ricordo una sera gelida ed insipida, Mauro e io, soli, si decise di fare due passi per scaldarci. Pochi sanno che a volte il freddo interno, quello più cattivo, lo si combatte e vince uscendo all’aperto. Senza mete, con le mani in saccoccia, finimmo in via dei Gergofili, poco prima del vòlto dove anni dopo qualche criminale rese famoso quel vicolo piazzandogli una bomba che squarciò persino parte degli Uffizi.

Intorno alle 20,00 suonammo al portoncino con tirante, il nonno dei citofoni odierni, alla nostra comune amica Francesca che dimorava all’ultimo piano. Bella ragazzona dell’Accademia della scuola di  Pittura che, per un periodo, fu fidanzata  con Angelo. Lei, gentile ma spiccia, commise un errore grave,  per lei, e ci fece accomodare in cucina mentre in camera sua ascoltava musica con una amica ed altri due ragazzotti fiorentini. “Ragazzi, scusate ma ho gente a cena. Aspettatemi due minuti e ci saluteremo con calma”. Capimmo che la nostra presenza era inopportuna ma si rimase senza porci troppi scrupoli.

Fattori invitanti che divengono temerari se vissuti assieme: stomaco vuoto, freddo all’esterno, calda cucina che appanna gli occhiali, profumo di cucinato, curiosità per quella pirofila sbollicchiante, senso goliardico, libertà e desiderio di presente, mancanza di pensiero volto alle future conseguenze e tanta complicità tra compagni di avventura. Miscela esplosiva madre di un vergognoso misfatto.

Dopo la somiglianza con i topi, ecco anche quella con i cani.

Un coniglio raggiungeva la giusta cottura nella “bagnetta con patate”. Con occhiata esperta subito si scorse fiasco di vino ancora intonso, pane fresco e cavatappi.

“Solo un assaggino per capire se è salato a dovere. Vuoi mica che Francesca faccia brutta figura con i suoi ospiti …!?” dissi io e in meno di cinque minuti, senza sporcare nè forchette nè piatti, per altro già pronti e appilati per apparecchiare tavola, ecco che nella pentola di terracotta continuavano a cuocere solo ossicine zuppe di sugo ormai anemico. Il fiasco divenne per lo più trasparente e il pavimento vicino al fornello si cosparse di briciole.

Poi, giacca al volo e un saluto a voce alta da dietro la porta della camera dove “i toscani” sovrastavano la musica con le loro risate cariche di intenzioni  per un dopo cena bellicoso.

Solo quindici giorni dopo rividi Francesca nei corridoi dell’Accademia e dovetti correre spedito. “Genovesi bastardi” era l’unica frase ripetibile ma quando mi volsi la vidi sorridere e la salutai con la mano.

OTTAVO E NONO CAPITOLO SARANNO PUBBLICATI IL 4 GENNAIO 2023

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