Il cibo per l’anima
di Riccardo Rescio
Non vi è ancora alcuna statistica o indagine in grado di dare una risposta certa sulla indispensabilità del cibo per l’anima.
Ma sicuramente potremmo affermare che il cibo per la mente non rientra tra le priorità di un certo modo di concepire la vita di tanti, o meglio non rientra nella quotidiana necessarieta’ delle cose.
Indispensabile, è la parola cardine, è da questa che bisogna partire per trovare una chiave di lettura, o cercare una spiegazione al fatto che la conoscenza, il sapere, non rientrano nelle necessità primarie utili ad alimentare la mente, come invece facciamo per sostenere il corpo.
Ciò che il comune sentire definisce indispensabile è in realtà ciò che la comunicazione ha reso tale.
La comunicazione è alla base dei rapporti interpersonali e inalienabile presupposto di una società civile.
Ma la comunicazione, se male utilizzata, diviene dottrina, ideologia, metodo, sistema, che riesce a far ritenere necessarie cose, prodotti e servizi, condizionando persino comportamenti e modi di vivere.
La teoria della indispensabilità comanda gli atteggiamenti, le abitudini, il pensare e persino l’agire.
Vi siete mai posti la domanda del perché nei supermercati i prodotti necessari come il sale e lo zucchero sono sempre relegati in posizioni meno visibili, mentre troviamo sempre a portata di occhio prima e di mano poi ciò che ci fanno ritenere indispensabile.
La risposta è che il necessario vero si cerca, il superfluo si prende, perché placa il desiderio indotto, l’irrefrenabile impulso, che appaga una illusoria necessità.
Fino a quando la comunicazione non avrà come priorità fare comprendere, conoscere, informare e fornire una consapevole considerazione della realtà delle cose e degli avvenimenti e non una proiezione utilitaristica di questi, solo per assecondare ragioni di parte, quando ancora la stessa comunicazione diverrà cibo per l’anima, integratore dello spirito, stimolo del pensiero, solo allora potremo incominciare ad affermare di essere divenuti entità ragionanti e non automi assorbenti, che si illudono di essere liberi, ma che liberi di ragionare, attraverso processi deduttivi che scaturiscono dalla personale capacità critica, non sono.