IL PENSIERO MEDITERRANEO

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“I vecchi e i giovani” di Luigi Pirandello: lettura e analisi del testo

Copertina del romanzo "I vecchi e i giovani" di Pirandello

di  Giovanni Teresi

Pirandello definì ”I vecchi e i giovani” come un “amarissimo e popoloso romanzo, ov’è racchiuso il dramma della mia generazione”. Da questa breve ma eloquente dichiarazione, traspare il risentimento dello scrittore nei confronti della storia. L’opera è pervasa da un senso di soffocamento, che opprime allo stesso modo vecchi e giovani. I primi sono considerati i reali responsabili degli scandali che hanno segnato il corso della storia del nostro Paese, i secondi, invece, sono costretti a vivere in una società in cui non si riconoscono e di cui non si sentono futuri protagonisti.

In questo romanzo accorato, ogni personaggio è la testimonianza di un fallimento e di una speranza tradita. Il Risorgimento, inteso come rinnovamento e ricostruzione di una Nazione migliore, non ha sortito i risultati sperati e, allo stesso tempo, l’Unità nazionale non ha apportato alcun giovamento nelle zone più arretrate del paese; ancora una volta è il Meridione a non poter avere alcuna possibilità di riscatto. Tale rancore continua a manifestarsi, pagina dopo pagina, attraverso il mosaico di volti e di fatti presenti nella narrazione.

Attraverso le parole di don Cosmo, Pirandello offre una drammatica chiave di lettura dell’intera vicenda: “bisogna vivere, cioè illudersi […]; e pensare che tutto questo passerà … passerà …”.

I vecchi e i giovani, pubblicato prima a puntate e poi in forma completa e definitiva nel 1913, è un romanzo storico ove i protagonisti, ex borbonici nostalgici del vecchio regime, esponenti della nuova borghesia in forte ascesa, garibaldini convinti, si muovono infatti sullo sfondo della Sicilia del 1893 caratterizzata dal movimento di rivolta contadina noto come Fasci siciliani. Questi ultimi, divenuti preoccupanti anche per la loro connotazione di tipo secessionista, vengono duramente stroncati da Francesco Crispi, energico capo del governo, con la proclamazione dello stato d’assedio e l’invio sull’isola di un nutrito contingente militare. Pirandello, dunque, analizza a distanza di tempo un passaggio importante della vita politica e sociale della Sicilia e dell’Italia, ma lo fa ovviamente con lo stile e la sagacia che lo hanno reso famoso e ammirato.

 Il contrasto tra i vecchi e i giovani, fra due generazioni a confronto appunto, è il tema ricorrente attraverso il quale si snoda l’intera trama del libro in un gioco di rimandi di colpe e responsabilità.

Il frantumarsi degli ideali risorgimentali nell’Italia della rivolta dei Fasci Siciliani e dello scandalo della Banca Romana, sono al centro delle intricate vicende di due famiglie agrigentine: i Laurentano e i Salvo. L’intreccio si basa essenzialmente sul confronto di due generazioni, come già detto: da una parte ci sono i vecchi – come Roberto Auriti, i fratelli Ippolito, Cosmo e Caterina Laurentano – testimoni diretti delle lotte del Risorgimento e del periodo garibaldino, ma ormai incapaci di opporsi al corso degli eventi e per questo rassegnati a vivere nel compromesso; dall’altra parte dello schieramento, invece, ci sono i giovani che, dopo tanti anni di divisione, confidano nell’Unità della Nazione per dar vita ad un rinnovamento sociale. Fra questi spiccano in modo particolare Lando Laurentano, Dianella Salvo e Aurelio Costa.

Dal punto di vista paesaggistico, dall’incipit del libro, si legge:

 “La pioggia, caduta a diluvio durante la notte, aveva reso impraticabile quel lungo stradone di campagna, tutto a volte e risvolte, quasi in cerca di men faticose erte e di pendii meno ripidi. Il guasto dell’intemperie appariva tanto più triste, in quanto, qua e là, già era evidente il disprezzo e quasi il dispetto della cura di chi aveva tracciato e costruito la via per facilitare il cammino tra le asperità di quei luoghi con gomiti e giravolte e opere or di sostegno or di riparo: i sostegni eran crollati, i ripari abbattuti, per dar passo a dirupate scorciatoje. Piovigginava ancora a scosse nell’alba livida tra il vento che spirava gelido a raffiche da ponente; e a ogni raffica, su quel lembo di paese emergente or ora, appena, cruccioso, dalle fosche ombre umide della notte tempestosa, pareva scorresse un brivido, dalla città, alta e velata sul colle, alle vallate, ai poggi, ai piani irti ancora di stoppie annerite, fino al mare laggiù, torbido e rabbuffato.

E da dire che Pirandello crebbe in una cellula familiare dove la fede politica paterna veniva tramandata come memoria nostalgica di un sentimento politico nazionale irrecuperabile. Stefano Pirandello, il padre di Luigi, partecipò come soldato garibaldino alla battaglia di Aspromonte e nutriva vigorosamente valori nazionalistici. In questo contesto politico, è evidente l’egemonia della Chiesa cattolica locale che controllava moralmente la società e divenne responsabile del tradimento politico dei valori patriottici indipendentisti.

Il romanzo ci permette di percepire Pirandello nel ruolo dell’intellettuale disincantato dalla propria patria e dalla mediocrità politica postrisorgimentale. Pirandello presenta una Sicilia di fine Ottocento che è distaccata dal resto della penisola e contrassegnata da un mondo arcaico pieno di anacronismi politici e sociali, e da una ‘selvaggia ignoranza’, tipicamente feudale, diffusa per tutta l’isola: ‘reati di sangue, aperti o per mandato, … erano continui e innumerevoli, frutto della miseria, della selvaggia ignoranza”.

La rappresentazione dell’alienazione politica negli ultimi decenni dell’Ottocento lo status politico ufficiale della Sicilia di Pirandello avrebbe dovuto essere tutt’altro che desolante. La Sicilia si era unita al Regno d’Italia dopo il processo risorgimentale, ma nonostante il clamore nazionalistico e patriottico che caratterizzava quell’epoca, i siciliani si sentivano abbandonati da un governo democratico postunitario.

Nel romanzo un complesso mosaico di personaggi assiste al crollo totale dei valori patriottici e morali del Risorgimento italiano (‘le putride carcasse del vecchio patriottismo’), al tradimento del governo verso la Sicilia tramite atti di sfruttamento e infine alla frode e alla repressione violenta delle classi lavoratrici e contadine, che porta il popolo siciliano all’inestinguibile sfiducia verso le istituzioni governative: ‘era vivo e profondo il malcontento contro il governo italiano, per l’incuria sprezzante verso l’isola fin dal 1860’

Quando il narratore racconta il passato di Donna Caterina Laurentano si ha una descrizione molto cupa della realtà politica italiana dopo il risorgimento. Il primo governo storico della Destra parlamentare è descritto con un’accumulazione di immagini negative: ‘liti e duelli e scene selvagge’, ‘i furti, gli assassinii, le grassazioni, orditi ed eseguiti dalla nuova polizia in nome del Real Governo’, ‘falsificazioni e sottrazioni di documenti e processi politici ignominiosi’. La descrizione dell’avvento della Sinistra al potere non è migliore della precedente; si usano i termini ‘usurpazioni e truffe e concussioni e favori scandalosi e scandaloso sperpero del denaro pubblico’, ‘prefetti, delegati, magistrati messi a servizio dei deputati ministeriali’, ‘clientele spudorate e brogli elettorali’, ‘spese pazze, cortigianerie degradanti’, ‘l’oppressione dei vinti e dei lavoratori, assistita e protetta dalla legge, e assicurata l’impunità agli oppressori’.

La Sicilia non diventa soltanto una regione abbandonata alla sua sorte ma anche roccaforte del brigantaggio e delle prime bande mafiose che operarono come una forza sociopolitica protetta dall’omertà del popolo (‘Accidia taciturna, diffidenza ombrosa e gelosia’).

L’isola di Pirandello è colma della miseria dei contadini, dei solfatari e dei carusi imbestialiti dalle spaventevoli condizioni di lavoro e dallo sfruttamento (‘facce terrigne e arsicce’, ‘occhi lupigni’), i quali spesso si sfogano in rivolte e insurrezioni violente (‘stupidità armata di diffidenza e d’astuzie animalesche’). Pirandello si sente tradito dalla mediocrità e dalla corruzione del paese che era rinato nel sogno dei grandi ideali della solidarietà e del rinnovamento.

La negatività della storia è rappresentata in questo romanzo da vari elementi: la nascente borghesia spregiudicata arricchitasi velocemente dopo l’Unità, la formazione dei Fasci Siciliani, la dichiarazione dello stato d’assedio dopo la rivolta dei Fasci e la violenta repressione del governo.

La città di Girgenti assume gli stessi connotati gravosi di morte e decadenza (‘era la città dei preti e delle campane a morto’) appartenenti al mondo ecclesiastico che domina acusticamente con le sue campane tutto il paesaggio siciliano (‘le trenta chiese si rimandavano con lunghi e lenti rintocchi il pianto e l’invito alla preghiera, diffondendo per tutto un’angosciosa oppressione’). Poi il clero di Girgenti è dunque incapace di qualsiasi compromesso con la modernità, relegandosi in un mondo anacronistico e arcaico, tagliato fuori dalla storia contemporanea della Sicilia.

Pirandello non avrebbe scritto della Sicilia senza l’esperienza dell’esilio che lo ha aiutato a ‘capire il gioco’ delle realtà siciliana. Rimanendo in Sicilia, senza la visione di un’Europa cosmopolita, Pirandello, quindi, non avrebbe potuto scrivere le sue opere con la creatività e l’intensità che le caratterizza. Giovanni Teresi

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