I doganieri di Leukos, un libro di poesie di Giuseppe Marius Conte, Libreria Editrice Urso, Avola, 2022
di Vincenzo Fiaschitello
In questa straordinaria silloge di 16 componimenti che, come è stato scritto, giustamente ricordano gli epilli di età alessandrina, Giuseppe Marius Conte ha mirabilmente cerchiato il dolore, la capacità di sofferenza, l’orgoglio del popolo ucraino attraverso personaggi (alcuni a lui legati da affetto parentale, altri sconosciuti) e luoghi (monti, fiumi, campi) del caratteristico paesaggio ucraino.
La tempesta di fuoco che ha investito l’Ucraina ha portato morte e distruzione, ma ha forse ucciso anche la speranza?
Si illude forse il poeta che i suoi versi possano fermare i carri armati o far deviare i missili?
Niente di tutto questo. La poesia, purtroppo, non ha questo potere. Il suo compito, se ne ha uno, è quello di tenere accesa la speranza con parole che si radicano nel cuore: “Nessuna cosa dell’esistente muore per sempre/. E niente muore perché tutto è perenne”. E ancora: “Quando poi tutto si sarà placato… non più il grido di dolore/ senza speranza/ di chi non vuol morire”.
Tenere accesa la speranza, credere che comunque il dolore cesserà, che la pace e la giustizia tra i popoli prevarranno, è possibile solo se il mondo non farà mai a meno della Bellezza, la quale diventa il punto in cui si chiude il cerchio dell’esistenza di un individuo, di un popolo, di un’epoca storica. E’ come l’ultimo tratto che viene dopo momenti parziali, alti e bassi, positivi e negativi, che fanno parte della vita.
Possiamo dunque accogliere con commozione l’invito a Nikolaij, il bambino di Kharkiv, di salire quella scala favolosa dove troverà suo padre, il comandante, morto per la patria, là sulle cime, a cavallo dei venti, quel padre che lo salutò sorridendo sulla banchina della stazione mentre lo faceva partire “verso la vita, verso la scelta, la (tua) libertà”.
Simili episodi di dolore si susseguono impetuosamente come le onde del mare: “Nastassja fugge con il suo bambino. Preda del vento/, non saprà dove andrà.”
Ma il dolore, la pietà e le lacrime sono anche per l’altra sponda, senza distinzione alcuna. Il giovanissimo Dan Melnikov, cittadino di Rostov, giace nei campi con il petto squarciato dalla mitraglia. I suoi commilitoni lo riporteranno in Russia.
Cosa resterà di lui?
Certamente lui, in vita, non aveva carezzato il pensiero della gloria.
Qualcuno ora glielo vuole imporre?
Prof. Giuseppe Francaviglia, da Roma
Mentre nuvole nere s’addensano nel nostro pianeta la tua vena poetica, caro Giuseppe, va in profondità nel descrivere il dramma d’un popolo. Realtà dolorosa che inonda di tristezza il mondo occidentale. La tua poesia ricca di venature classiche, mi ha colpito per il dolore che si sprigiona dai tuoi versi ma anche per la speranza, amore per la vita che si fa strada fra tante turbolenze.
Giuseppe Conte, da Sanremo 04.10.2022
Caro Pippo, ho appena finito di leggere il tuo libro, e devo subito dirti che ne sono stato molto colpito: è un libro compatto, ispirato, che vede le tragedie della storia, e la tragedia della guerra in Ucraina che oggi ci attanaglia, nella luce incandescente della poesia. Ho apprezzato tantissimo il passaggio tra il presente e il passato lontano, greco, con il riferimento a Sparta e alle Termopili, il tono lirico e epico insieme, tra Simonide e l’Iliade, il coraggio della pietà, come nei versi dedicati al soldato nemico Dan. Dalle ceneri del male, esce, se c’è pietà, speranza e poesia. Immagini che mi hanno toccato, e di cui condivido pienamente lo spirito, sono quelle del “bimbo nudo appena nato”, del “fiore rosato del melograno”, simboli di continuità della vita, perché “la morte non avrà dominio” (Dylan Thomas) e come hai scritto tu in un verso perfetto “E niente muore perché tutto è perenne”.
Grazie dunque caro Pippo della lettura che mi hai offerto, le mie felicitazioni e un saluto affettuoso.