IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

Lidia Poet

di Giorgio Mantovano

Lidia Poët, nata il 26 agosto 1855, si laureò in giurisprudenza nel 1881 con il massimo dei voti presso l’Università di Torino. 

Fu la prima donna, nell’Italia post unitaria, a chiedere l’ammissione ad un albo degli Avvocati, coerentemente alla tesi di laurea incentrata sulla condizione femminile in Italia e sul diritto di voto per le donne. 

La sua insolita richiesta suscitò, come è facile immaginare, un intenso dibattito nell’ambiente forense ma fu accolta, con 8 voti favorevoli e 4 contrari, dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Torino il 9 agosto 1883, poiché nessuna norma vietava l’accesso alle donne. 

Tuttavia, la Corte d’Appello, su ricorso del Procuratore Generale del Re, revoco’ l’iscrizione. 

Stando a quella sentenza, “La questione sta tutta in vedere se le donne possano o non possano essere ammesse all’esercizio dell’avvocheria (…). Ponderando attentamente la lettera e lo spirito di tutte quelle leggi che possono aver rapporto con la questione in esame, ne risulta evidente esser stato sempre nel concetto del legislatore che l’avvocheria fosse un ufficio esercibile soltanto da maschi e nel quale non devono punto immischiarsi le femmine (…)”. 

E anzi, sarebbe stato «disdicevole e brutto veder le donne discendere nella forense palestra, agitarsi in mezzo allo strepito dei pubblici giudizi, accalorarsi in discussioni che facilmente trasmodano, e nelle quali anche, loro malgrado, potrebbero esser tratte oltre ai limiti che al sesso più gentile si conviene di osservare: costrette talvolta a trattare ex professo argomenti dei quali le buone regole della vita civile interdicono agli stessi uomini di fare motto alla presenza di donne oneste». 

Con queste parole scritte dai giudici – tutti uomini – della Corte d’Appello, nel novembre 1883, Lidia Poët venne cancellata dall’albo degli avvocati di Torino. 

La Poët ricorse alla Suprema Corte che, l’anno successivo, si oppose nuovamente alla richiesta. I motivi addotti dalla Corte di Appello, poi confermati dai Giudici di legittimità, si rifacevano al diritto comune ed alla legge naturale. 

Da un punto di vista medico si diceva che, a causa del ciclo mestruale, le donne non avrebbero avuto, almeno in una settimana al mese, la giusta serenità di giudizio. 

Il secondo argomento, invece, di carattere giuridico, si fondava sulla mancata parità di diritti con gli uomini. Permettere alle donne di svolgere l’attività di avvocato sarebbe stato lesivo per i clienti perché si sarebbe dato loro  “un patrono che non ha tutte le facoltà giuridiche”. 

Solo nel 1920, all’età di 65 anni, Lidia Poët riuscì ad ottenere l’iscrizione all’Albo degli Avvocati di Torino. Difatti, l’anno precedente entrò in vigore la legge n. 1176/1919 recante “disposizioni sulla capacità giuridica della donna”, permettendo l’accesso alle donne ad alcuni Uffici pubblici. 

Ma in quei trent’anni questa donna straordinaria non smise mai di occuparsi di ciò che le stava a cuore, collaborando col fratello maggiore e divenendo attivista dei diritti delle donne, dei minori e degli emarginati. 

Nel 1883, a Roma, prese parte al Primo Congresso Penitenziario Internazionale, mentre nel 1890 venne ufficialmente invitata a San Pietroburgo come delegata al Quarto Congresso Penitenziario Internazionale in rappresentanza dell’Italia.

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