NOTE PSICOLOGICHE SUL FEMMINICIDIO
Cantico dei cantici, Bibbia
Quanto sei bella, amata mia, quanto sei bella!
Gli occhi tuoi sono colombe,
dietro il tuo velo.
Le tue chiome sono come un gregge di capre,
che scendono dal monte Gàlaad.
I tuoi denti come un gregge di pecore tosate,
che risalgono dal bagno;
tutte hanno gemelli,
nessuna di loro è senza figli.
Come nastro di porpora le tue labbra,
la tua bocca è piena di fascino;
come spicchio di melagrana è la tua tempia
dietro il tuo velo.Tutta bella sei tu, amata mia,
e in te non vi è difetto.Io voglio del ver la mia donna laudare, Guido Guinizzelli
Io voglio del ver la mia donna laudare
Ed assembrarli la rosa e lo giglio:
più che stella diana splende e pare,
e ciò ch’è lassù bello a lei somiglio.Verde river’ a lei rasembro a l’are,
tutti color di fior’, giano e vermiglio,
oro ed azzurro e ricche gioi per dare:
medesmo Amor per lei rafina meglio.Passa per via adorna, e sì gentile
ch’abassa orgoglio a cui dona salute,
e fa ‘l de nostra fé se non la crede:e no ‘lle po’ apressare om che sia vile;
ancor ve dirò c’ha maggior vertute:
null’om po’ mal pensar fin che la vede.
Con femminicidio si indica l’omicidio di una donna di qualunque età da parte di un uomo in conseguenza di un mancato assoggettamento fisico o psicologico della vittima, un “omicidio di una donna in quanto donna” violento e brutalissimo retaggio di una cultura arcaica, in cui la donna è vista come proprietà dell’uomo (MacNish,1827).
Un omicidio di genere quindi conseguente a sovrastrutture ideologiche di matrice patriarcale messo in atto da mariti, compagni, padri, fidanzati o comunque da un uomo in ragione di potere e assoggettamento della donna.
Queste caratteristiche lo differenziano dal generico omicidio inteso come azione che alla quale consegue la morte di un soggetto.
Un interessante studio, condotto dalla prof.ssa Georgia Zara della Università degli Studi di Torino, ha riscontrato dati interessanti per fare luce su alcuni aspetti sociali.
Lo studio esplorativo evidenzia come la media dei femminicidi in Italia dal 2016 fino al primo trimestre del 2021 sia di oltre 6 femminicidi al mese per un totale di 406 casi dei quali 139 (34.2%) avvenuti in un capoluogo e 267 (65.8%) in un paese.
Su un totale di 406 persone offese, 304 (74.9%) erano donne italiane e 102 (25.1%) non italiane.
Di contro, su un totale di 409 gli omicidi, 327 (79.9%) erano uomini italiani e 79 (19.3%) non italiani; in 3 casi si trattava di uomini di nazionalità sconosciuta.
In 349 (84.5%) femminicidi, la tipologia di relazione tra omicida e vittima era intima e intensa; in 44 casi (10.65%) si trattava di una relazione superficiale.
Il movente più frequente ( 71,7 era legato alla «multiproblematicità relazionale», evidenziata in 291 casi (71.7%), a cui seguono i femminicidi causati da comportamenti antisociali e impulsivi (n = 33; 8.13%). I femminicidi legati a questioni economiche (n = 24; 5.9%) oppure legati a disturbi mentali del perpetratore (n = 24; 5.9%) sono risultati poco frequenti.
Quindi emergono due dati significativi:
- la multiproblematicità relazionale
- la mancata prevalenza della figura dell’omicida immigrato.
Ma a questi dati dati va aggiunta la considerazione che nel periodo Covid, con i lockdown, le denunce per violenza familiare sono schizzate del 120 % e i femminicidi nel 2022 sono già 40 nei primi sei mesi del 2020.
Il femminicidio, cosi inteso, è un atto antico e complesso che per essere fermato deve essere sempre più capito e combattuto sia sul piano sociopolitico che su quello psicologico. Precisando che la comprensione dei meccanismi non deve essere qui intesa come tentativo di decolpevolizzazione ma solo di contributo alla comprensione finalizzata alla prevenzione.
Sul piano sociale l’origine della violenza viene genericamente attribuita alla incapacità degli uomini ad accettare l’indipendenza e il diritto alla autodeterminazione esistenziale, affettiva e sessuale delle donne considerate ancora come cosa propria in una fase di mutamento dei ruoli sociali e di conseguente emancipazione. Il cambiamento è vissuto come minaccia al proprio ruolo sociale ma anche, più ancestralmente, al proprio ruolo virile di controllo e predominio.
Da un punto di vista politico il c.d. Codice Rosso – legge 69 del 19 luglio 2019 – legifera su maltrattamenti contro un familiare o un convivente, violenza sessuale, stalking, revenge porn, lesioni personali gravi, deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso e costrizione o induzione al matrimonio ma non prevede condanne differenti in caso di femminicidio p.d. rispetto a quelle per omicidio e sono insufficienti i finanziamenti per consultori e centri antiviolenza e poco strutturate le misure in urgenza ai vari livelli di intervento, spesso troppo formalizzate e burocraticizzate rispetto alla vera emergenza “rossa“.
Questo insieme di carenza e lentezza spesso non riesce a costruire quell’area di ascolto alle donne che superi il pudore e dia risposte conseguenti al terrore di chi vive nel terrore.
Sul piano psicologico va chiarito che un contesto infantile violento può favorire nell’adulto un rapporto ambivalente con la propria violenza tra il praticarla e il subirla e che la violenza in generale può nascere da un sentimento di helplessness, di fragilità non accettata come tale, tanto umiliante da dover essere controllata ricorrendo all’acting-out per evitare l’annegamento dell’io nella depressione .
Per quanto attiene invece alla multiproblematicità relazionale occorre considerare che all’interno di rapporti disfunzionali alcune caratteristiche di personalità possono diventare il fulcro dominante attorno al quale si giocano i rapporti di coppia che quando non trovano un compenso e un vantaggio interdipendente diventano lo spazio ove può nascere sia una aggressività non costruttiva sia la violenza dalle forme larvali alle più incisive.
Uno dei fulcri è il controllo .
E’ tipico di coloro che, in carenza di reale autostima, temono di essere messi in discussione e pretendono o prenderebbero un controllo su tutto atteggiandosi a difensori della coppia e reagendo alle critiche con costante aggressività ( dalla perfida ironia, alla costante svalutazione, alla violenza).
Un altro fulcro è la fusione: è tipico di coloro che vivono le perdite come catastrofi e tendono a una rapporto fusionale – totalizzante ed esprimono una violenza proporzionale alla minaccia di perdita dell’oggetto d’amore.
In entrambi i casi può nascere l’abuso, l’aggressività, la violenza e il femminicidio.
In particolare da soggetti con particolari caratteristiche di personalità:
-I narcisisti che vogliono continua ammirazione e sono però insofferenti alle critiche e indifferenti alle esigenze degli altri che tendono a sfruttare.
-I soggetti con “disturbo antisociale di personalità”, conosciuti anche come sociopatici, impulsivi e aggressivi, manipolativi, spesso, senza rimorso, al centro di dinamiche immorali e illegali .
-I soggetti con “disturbo borderline di personalità” (DBP) – tumultuosi ma instabili e caotici nelle loro relazioni affettive nonché autodistruttivi con abuso di droga e alcolici.
-I perversi narcisisti – allo stesso tempo più controllati e controllori, ma il controllo non è esercitato attraverso la violenza brutale, bensì per mezzo del plagio e della menzogna. Si nutrono dell’energia di quelli che subiscono il loro fascino ed è l’invidia a guidarli nella scelta del partner.
-Le personalità paranoiche – coloro che hanno una visione rigida dei ruoli dell’uomo e della donna, che possono diventare tiranni per i quali la donna dev’essere sottomessa, non autonoma, senza interessi e frequentazioni. Un atteggiamento che allontanando la partner diventa il presupposto per ideazioni para- deliranti di gelosia
-il geloso-dipendente – che utilizza la violenza sempre in funzione del controllo, ma soprattutto nel timore dell’abbandono da parte della compagna
– il geloso da alcolismo cronico ( che struttura un delirio di gelosia per i rifiuti della moglie e in risposta alla caduta di autostima per impotenza da alcool )
–gli aggressori antisociali – caratterizzati in realtà da diversi livelli di gravità, ma accomunati dalla caratteristica di praticare la violenza dentro e fuori le mura domestiche, come pattern generale di violazione dei diritti altrui.
Da un punto di vista psicologico è però anche importante prendere in considerazione le donne vittime che spesso non riescono a uscire da situazioni violente e a denunciarle. Si è ipotizzato una propensione alla vittimizzazione determinata dalla storia familiare e dalla cultura di origine, come se ci fosse una incapacità appresa e confermata dalla continuazione dello schema relazionale punitivo con impossibilità psicologica ad assumere il controllo autonomo del proprio comportamento. Come se non ci fossero alternative agli abusi o, e questo è un grave problema sociale, come se non ci fossero alternative economiche per vivere da sole.
Un legame traumatico appreso: le donne che hanno padri violenti rischiano di divenire vittime di uomini violenti (Norwood)
Un “legame traumatico” (Betsos, 2009) potente e distruttivo che ricrea forti legami affettivi tra le donne maltrattate e gli abusanti come nella c.d. Sindrome di Stoccolma nella quale la vittima, costretta in un contesto chiuso, prova sentimenti positivi per proprio aguzzino o la sindrome della donna maltrattata (Battered Woman Syndrome, BWS), più comune tra le donne gravemente maltrattate, che è caratterizzata da un “ciclo della violenza” che si articola in una prima fase di accumulo della tensione, una seconda fase di aggressioni e percosse, e una terza fase di cosiddetta “luna di miele”. Quest’ultima fase “amorosa” amplifica il disagio creando nella vittima speranze illusorie. (Walker, 2007).
Sono questi alcuni degli elementi che possono rendere difficile comunicare, denunciare, chiedere aiuto.
Ma dovrebbe diventare imperativo per la propria salvezza farlo.
Cosi come è elemento importantissimo di salvaguardia leggere i segnali preliminari alla violenza finale e non tollerare mai la prepotenza e la violenza anche di un urlo improvviso, un pugno sul tavolo in una discussione per gelosia, una minaccia di stupro.
Queste violenze vanno sempre comunicate in ogni modo possibile dal telefonare al 1522, al 112 o telefono verde anti AIDS, all’accennarne in Pronto soccorso durante una visita, al segnalarlo in ogni modo in farmacia o al medico curante, nei consultori o nei centri antiviolenza.
Purtroppo non sempre succede e non sempre le risposte sono pronte e adeguatamente protettive e questo rende ancora più difficile la denuncia.
Talora allora, in contesti critici, si rischia l’autoinganno come la missione impossibile di un amore che cambia un uomo violento o il ricorso al chiarimento definitivo.
Un chiarimento che troppo spesso diventa è definitivo con la morte della donna.
Ovviamente il lavoro psicologico può avvenire solo a situazione aperta e può andare dalla psicoterapia familiare per i casi meno urgenti alla presa in carico della donna per aiutarla nel percorso di attivazione di nuove autonomie e prospettive .
Ma restano i problemi di fondo.
Quello del superamento della cultura patriarcale e quello dell’adeguamento delle relazioni affettive ai nuovi ruoli esistenziali e relazionali dell’essere oggi uomo e donna in una società che se, positivamente, apre alla reciproca autodeterminazione, dall’altra si nutre ancora di stereotipi di femminilità e mascolinità fin troppo lontani dal progresso civile che un paese moderno meriterebbe.
Per finire in termini di ben-essere importante non è solo salvaguardarsi ma anche salvaguardare facendoci parte attiva, con riservata disponibilità, nelle situazioni di disagio di coppia conosciute nel tentativo di aprire spiragli di vita e libertà.