Da Pannunzio a Scalfari. Storia della cultura laica
di Elena Tempestini
“Ne mai cose nuove fioriscono se prima distruggendo le vecchie non le aiuta la morte”. Così scriveva Lucrezio nel De Rerum Natura, la nascita e la morte di tutte le cose, il principio e la fine, l’alfa e l’omega come simbolo della ciclicità. La nostra società odierna si trova in un momento molto incerto da collocare, un momento che la nostra percezione potrebbe descrivere come l’epilogo di un lungo ciclo di crisi, oppure come l’inizio di una nuova opportunità per prendere coscienza del nostro mondo. Continuo a pensare ai processi di causa/effetto, e quando l’essere umano si trova in periodi di grandi cambiamenti si immerge in quello che Hegel definiva “il bisogno di filosofia”. Ed è in quel bisogno che l’uomo deve riuscire a leggere oltre le righe, deve trovare una chiave di lettura degli eventi nella loro interezza, riuscendo a superare la dualità degli opposti discordanti. Se questo avviene, riusciamo a comprendere il tempo che viviamo. La percezione della società l’assorbiamo attraverso la comunicazione, e in questo momento con la crisi del gruppo Espresso/Repubblica, stiamo assistendo alla caduta dei media tradizionali, al declino della carta stampata come mezzo di comunicazione di massa, o forse sarebbe meglio dire stiamo assistendo ad una trasformazione della comunicazione di massa, quella che ha da sempre veicolato la storia, la cultura e soprattutto la politica.
Per capire meglio l’oggi, dobbiamo rileggere un pezzetto della nostra storia, lo dobbiamo comprendere con una visione diversa, dobbiamo analizzare le cause che hanno portato a questi effetti, un salto indietro nel passato, che mostrerà un cambio di attori, costumi e scenografie, ma nella realtà il ripetersi della stessa storia. Sappiamo che dopo il trattato di Versailles del 1919, che fu realmente solo un armistizio della durata di venti anni, si formarono molti grovigli di spartizioni territoriali, che con la seconda guerra porteranno un assetto completamente rivoluzionato dei poteri. La vittoria degli alleati, permise l’attuazione dei sistemi di pensiero anglo americani, con la creazione dell’agenzia ANSA tramite lo Psychological Warfare Branch e tramite l’ «Allied Publication Board» (APB), le quali concessero l’autorizzazione ai giornali di poter tornare in edicola, ma con il compromesso di sottolineare la rottura con il passato.
All’indomani delle elezioni del 1948 l’Italia, era dominata dal bipolarismo di due partiti: la Democrazia Cristiana di Alcide De Gasperi e il PCI, il quale era composto da una federazione di partiti di sinistra rappresentata da Palmiro Togliatti (Pci) e Pietro Nenni (Psi). la fedeltà del Partito Comunista a Mosca obbligava l’establishment angloamericano a sostenere il partito della Democrazia Cristiana, anche se era una alleanza abbastanza forzata, Il partito, essendo radicato nel cattolicesimo e nello Stato, poteva stridere con la parte atlantica che si rispecchiava in quella società ebraica o protestante, che era da sempre accanita sostenitrice del libero mercato e delle libertà individuali quali il divorzio e l’aborto.
Anche la finanza, rappresentata in Italia da Raffaele Mattioli, presidente della Comit era attentissima all’evoluzione di una nuova società italiana che andava costituendosi, nonostante le forti pressioni di Harry Truman che aveva lanciato il Piano Marshall, un piano di aiuti di 14 miliardi di dollari per la ricostruzione economica dell’Europa Occidentale, (Piano contestato da Palmiro Togliatti che lo liquidò come un ricatto politico). Non si pensava ad una presa di potere, bensì a un reale ammodernamento dell’Italia, anche grazie a strumenti quali la comunicazione a mezzo stampa per veicolare un pensiero di maggiore cultura.
Fu con la nascita dell’Europeo di Benedetti che per la prima volta gli uomini politici, gli scrittori, gli uomini d’affari, diventarono dei personaggi da raccontare alla società italiana, figure che attraverso la cronaca, divenivano reali per tutti, la condivisione degli eventi tramite un giornalismo che fino a quel momento era riservato solamente ai “dotti” e agli intellettuali. Si stava formando quella che oggi viene definita “L’opinione pubblica”, quella che con il tempo darà vita a un vero e proprio partito politico.
Il 19 febbraio 1949, uscì il primo numero del settimanale “ Mondo” un giornale laico e anticlericale diretto da Mario Pannunzio.
Così scrisse Eugenio Scalfari: “Il Mondo lanciò quella che sarebbe stata l’idea guida ed il programma politico del gruppo per 18 anni: la formazione di una terza forza politica che bilanciasse i due super-partiti DC e PCI”. Ma sarà nel 1955, con la nascita del partito radicale, che si formarono i veri e propri liberals”. ( Eugenio Scalfari). Sono gli anni del potere di Valletta alla FIAT, l’Amministratore Delegato era stato scaltro e intuitivo, aveva compreso che non poteva fare guerra al PCI e al sindacato, specialmente da una posizione conservatrice come facevano quasi tutti gli imprenditori del dopoguerra, bensì solo creando una politica socialdemocratica si sarebbero potuti avere dei buoni risultati, praticamente la vera politica saragattiana che vedrà successivamente in Nenni un rappresentante del centro-sinistra. Il centro -sinistra di Valletta, fu la solida pietra per isolare il PCI, quella differenziazione che lo anteponeva ad Enrico Mattei. Filo americano Valletta, e anti americano Mattei. Con il consolidamento della DC a destra e l’elezione di Segni al Quirinale, Mattei comprese la sconfitta. Lo scenario della stampa di allora, era dominata quasi esclusivamente dal “Corriere della Sera” e dalla “Stampa”, due tradizioni diverse li separavano, più inglese e liberal il primo e più socialdemocratico il secondo, praticamente liberista il Corriere e populista la Stampa. Ma poiché l’Italia era più conservatrice che liberale, il Corriere divenne presto il giornale di maggiore diffusione sul territorio nazionale.
La seconda metà degli anni cinquanta richiese la nascita di un nuovo partito, la creazione di una fazione politica, che accogliesse la sinistra più liberals, quella che si rispecchiava pericolosamente nel PCI e che invece doveva essere “spostata”, consigliata a guardare verso valori più “atlantici e liberali”, quei valori che erano stati sedati sotto il regime fascista, quei valori portati avanti dalla politica di La Malfa, Visentini, Parri, Spinelli, dalla finanza di Mattioli, Cuccia, Carli, dall’industria di Valletta, Olivetti e Merzagora, dalla cultura di Pannunzio, Silone, Croce e Moravia e molti altri. Fu così che nel febbraio del 1956 venne fondato il Partito Radicale, quel partito nato sotto l’inno della Marsigliese, l’unica musica per quel gruppo di liberali di sinistra, devoti all’illuminismo, un partito che li rappresentasse pienamente nei loro valori e principi, quelli che mettevano al centro di tutto l’uomo, valori fondati sull’uso della ragione e della libertà di giudizio, contrapposti alla tradizione dell’autorità politica e religiosa.
La nascita di un nuovo partito richiedeva anche un giornale che avesse una voce di grandi proporzioni verso i cittadini, e il giornale Mondo si stava rivelando troppo elitario per arrivare alla massa.
Fu così che venne ideato “L’Espresso”, un settimanale che non fosse solo letto dagli intellettuali, bensì fosse alla portata di tutti i cittadini, affrontando le tematiche più libertarie e progressiste, un giornale che potesse pubblicare degli scoop e anche “bacchettare” attraverso gli articoli, i poteri interni statalisti italiani, un settimanale che svelasse o “ rivelasse” i retroscena di una Italia, che volendo a volte scappare dal giogo post guerra filo Atlantico, si ribellava con progetti di colpi di stato e accordi non trasparenti, quelli che si profileranno negli anni con la “Speculazione Edilizia del Sacco di Roma e il tentativo di Golpe del Piano Solo che vide protagoniste le più alte cariche dello Stato. La realizzazione del governo Moro arrivò a scontrarsi con il presidente della Repubblica Segni, che vedeva in quella apertura a sinistra un reale pericolo, si era aperta una fase completamente nuova per l’Italia, una nuova prospettiva che andava a scontrarsi con i vecchi equilibri di un assetto burocratico-militare, ma grazie al ridimensionamento di tutte le parti ci fu solo “un tintinnio di sciabole”.
I fondatori dell’Espresso, su consiglio del finanziere Raffaele Mattioli, si rivolsero ad Adriano Olivetti, che non solo fu combattente per gli Alleati, ma apparteneva a una borghesia laica sostenitrice delle idee euro federaliste di Altiero Spinelli. Negli anni arrivarono alcuni cambi di rotta, tra i quali il più importante fu quello di Olivetti che non si rispecchiava totalmente nelle idee di una sinistra radicale, e che lasciò, senza nulla volere in cambio, nonostante l’investimento di 125 milioni di lire, tutte le azioni del settimanale, ripartite tra un 60% al principe Caracciolo, e il resto diviso tra Arrigo Benedetti e Eugenio Scalfari.
Il settimanale fu portato avanti con l’intenzione di fungere da organo di contro potere, che è poi quel ruolo che dovrebbe distinguere un giornale che riporta i fatti, da un giornale che vive e si anima di un pensiero che analizza i fatti. Saranno gli anni di svolte senza precedenti, con un partito socialista quale elemento determinante nella maggioranza parlamentare, anni di scontri con i comunisti della classe operaia e con la democrazia cristiana per la gestione moderata della società. Si arriverà per l’idea di bene comune ad una alleanza della DC con i socialisti, e a una diffusione di idea del benessere come concetto necessario alla vita quotidiana, anche dovendo far fronte all’emigrazione di massa dal sud al nord che si era creata con la manovalanza imprenditoriale.
Purtroppo fu proprio la borghesia imprenditoriale, che avrebbe dovuto essere il motore principale della nazione, ad essere assente. Nonostante tutto la società italiana continuava a crescere, il fronte liberale-progressista si ricompose e la coscienza dei diritti civili si consolidava nel benessere che si diffondeva. Fin dall’antichità la filosofia, l’umanesimo ci hanno trasmesso che tutto inesorabilmente fluisce, tutto è in movimento e tutto si trasforma, e i mezzi di comunicazione sono sempre stati lo specchio e il punto di riferimento dell’opinione dei cittadini, per questo il gruppo dei liberals ebbe la necessità di andare “oltre” un settimanale come L’Espresso, c’era il bisogno di un quotidiano rapporto con i lettori.
Fu nel gennaio del 1976 che nacque “Repubblica”. Giorgio Mondadori, Mario Formenton, Carlo Caracciolo, Eugenio Scalfari, Lio Rubini dettero il via a una trasformazione del fare giornalismo, tanto da creare un “fenomeno Repubblica”.
Si susseguirono anni molto difficili per l’Italia, che vide parte dei partiti inglobati nei sindacati, che come un’arma a doppio taglio, porterà una nuova forza per sedare i movimenti di protesta di tentazioni anarchiche e focolai spesso presenti in Italia, ma per contro, una delegittimazione progressiva delle istituzioni, una incapacità di mantenere l’autorità politica che con il tempo arriverà ad affiliarsi a singoli settori della magistratura, facendo nascere motivazioni trasversali e politicizzando purtroppo l’ordine giudiziario. È il nodo gordiano degli anni 80, quello che vedrà l’inizio di un vero e proprio inquinamento delle notizie, la destabilizzazione attraverso i mezzi di comunicazione, che a loro volta con la delegittimazione dei partiti politici vedrà nascere aggregazioni di gruppi editoriali e singoli giornalisti quali fazioni di influenza politica.
Sono gli anni fine settanta e inizio ottanta, il rapimento Moro, il terrorismo in Italia, la lista P2, gli scandali di Andreotti, la solitudine di Berlinguer e l’ascesa di Craxi fino all’assalto giudiziario di Di Pietro che con “Tangentopoli” nel 1992 distruggerà la classe politica della Prima Repubblica. Saranno anni a seguire di una sinistra trasformista che vedrà nel giornale Repubblica un’area di riferimento molto potente, un prodotto pensato e creato per la funzione di accoglienza a tutto il malessere cittadino davanti agli estremi, una voce potente ottenuta anche grazie alla propria indipendenza dal potere economico italiano. Non so se oggi siamo arrivati alla resa dei conti, non so se quella sinistra trasformista ha portato a termine il progetto iniziale di traghettare un PCI verso le idee liberals, non so se quelle idee sono confluite nel PD odierno, ma sicuramente la percezione è che le manovre non siano circoscritte alla politica di casa nostra, bensì si stiano ripresentando i terreni di un dopoguerra, con scenari più ampi e mondiali che si combattono nell’ombra, quella dualità che vede gli Stati Uniti da una parte e i Russi dall’altra, i filo atlantici contro i filo arabi, un rappresentante quale Soros, contrapposto a Bannon, la continua sfida per l’espansione, il duello di armistizio e non di pace che il trattato di Versailles ha mostrato nei decenni, come se la guerra fredda non fosse mai cessata di essere combattuta nelle retrovie. Perché come esiste una polarizzazione politica liberal/conservatrice tra capitalisti all’interno di una nazione, c’è una polarizzazione tra capitalisti riguardo le politiche estere della propria nazione, un continuo conflitto tra il liberale e il conservatore, tra il globalista e il nazionalista.